Paolo Tomaselli, Corriere della Sera 18/1/2014, 18 gennaio 2014
«È una caccia assoluta, qualcosa di spaventoso e vergognoso, che in tanti anni sul campo non avevo mai visto
«È una caccia assoluta, qualcosa di spaventoso e vergognoso, che in tanti anni sul campo non avevo mai visto. Di questo passo finiremo come con i cavalli, andando a prenotare i bambini a seconda del dna del fattore e della fattrice». Lo sfogo è di un osservatore di un grosso club di serie A. Lo scenario in cui matura è sconfortante, pericoloso e sempre più ai limiti del regolamento. La rincorsa esasperata al baby campione adesso interessa i bambini a partire dai 6, 7 anni e coinvolge le famiglie, a volte compiacenti altre volte messe sotto pressione e magari minacciate per una firma, le società di calcio che hanno un comportamento ambiguo e un popolo in crescita costante di mediatori e sedicenti agenti, attivi in Italia e ancora di più all’estero, dove tra Sudamerica e Africa la tratta dei piccoli calciatori prosegue incessante: la Liga spagnola a fine 2013 ha firmato un documento contro la tratta dei minori, dopo la denuncia di un giovane del Mali, vittima degli «scafisti del gol». «Il problema continua ad aggravarsi sia qui che all’estero — dice Claudio Pasqualin, storico procuratore — e in Italia è reso più evidente dall’offerta che le famiglie fanno delle loro creature: non c’è Esordiente (10 anni, ndr ) delle squadre più quotate che non abbia già qualche pseudo-agente alle spalle. E le famiglie per non sentirsi inferiori alle altre fanno a gara per procurarseli. Questi soggetti a volte millantano, altre hanno un mandato o un rapporto di vicinanza con le società maggiori. Se tra di loro come pare ci sono anche agenti Fifa dovrebbero vergognarsi perché sono fuorilegge che illudono i ragazzini. Figc e Fifa devono vigilare». Le regole ci sono, ma vengono modificate per arginare un fiume in piena. «La Federazione — spiega Roberto Samaden, vicepresidente del settore giovanile e scolastico della Figc e responsabile dei giovani dell’Inter — ha abbassato da 12 a 10 anni l’età in cui un giocatore può essere visionato e valutato nella sua regione. E da 14 a 12 fuori regione. Il pericolo vero sono i personaggi che girano attorno alle famiglie: il mio consiglio è quello di fare sempre riferimento alle società di appartenenza». In ogni regione le grandi squadre hanno storicamente dei club satellite. Ma alcune hanno moltiplicato la rete di osservatori più o meno ufficiali: così l’età dei bambini presi in esame e avvicinati si abbassa, per paura di perderli a vantaggio della concorrenza. «Vedo esempi tutti giorni di questa tendenza sempre più esasperata — sottolinea la psicologa dello sport Marisa Muzio —. Vedo famiglie che si disgregano per seguire questi baby campioni, padri che fanno scelte di lavoro radicali per seguire i figli, creando talvolta danni economici o penalizzando magari i fratelli. Sappiamo bene che pochi poi ce la fanno ad arrivare al professionismo. E nel frattempo è spesso troppo alto il prezzo da pagare: scelte scolastiche di ripiego, per non parlare di pericolosi danni nello sviluppo della personalità, dell’abbandono precoce e del rifiuto stesso di un’attività che non è più vissuta come un gioco». Nelle periferie del pianeta il calcio è una forma di riscatto sociale, da noi lo scenario ormai non è molto differente: Italia ed estero si incrociano, creando un filone ancora più inquietante. «È un tema di rilevanza mondiale — sottolinea Leo Grosso, presidente FifPro e vicepresidente Aic — perché gli escamotage per aggirare le regole sono continui. Il nostro è il 31° campionato nell’area Uefa per l’utilizzo dei giocatori del vivaio e il quinto per l’utilizzo di stranieri, dopo Paesi-ponte come Cipro o Portogallo. È conveniente per tanti importare i giocatori: il 28% dei soldi dei trasferimenti non va alle società e questo significa che una marea di denaro va a chi ha interesse a spostare i calciatori». Ecco quindi il proliferare di scuole calcio e di accademie in Africa e in Sudamerica, dove a differenza che in Europa, il cartellino dei giocatori può essere di proprietà anche di fondi di investimento che fanno dei movimenti di mercato la loro ragione d’essere. «Per i minorenni la norma di riferimento è l’articolo 19 della Fifa — sottolinea il professor Jacopo Tognon, giudice del Tas di Losanna — con tre eccezioni, che però spesso vengono eluse, soprattutto quella che riguarda il trasferimento all’estero di un genitore per motivi di lavoro: in quel caso si paga il padre per prendere il figlio». Per i cacciatori di (presunti) baby talenti, adesso è una strada da percorrere anche per il mercato italiano. Paolo Tomaselli