Paolo Condò, La Gazzetta dello Sport 18/1/2014, 18 gennaio 2014
INTERVISTA A MANCINI
C’è stato un tempo nel quale Juventus-Sampdoria valeva lo scudetto. Non un tempo lungo, dieci anni a stare larghi, ma sufficiente a rapinarti il cuore, perché in un’epoca nella quale tutti i migliori calciatori del mondo venivano a giocare in Serie A - alla Juve erano gli anni di Platini... - la Samp rappresentò un’idea di giovinezza italiana come nessuno prima di lei, e nessuno dopo. Era il tempo di Vialli e Mancini, i dioscuri come li chiamava Brera, e della loro generazione allegra e sfrontata che avrebbe potuto e dovuto vincere il Mondiale ’90: si sarebbe così guadagnata il posto nel pantheon nazionale tra l’Italia di Rossi e Tardelli e quella di Buffon e Cannavaro. Tutti nomi juventini, a ben vedere. L’uomo con cui ne parliamo risponde da un luogo affollato e chiassoso. Niente di più facile che sia il Gran Bazar di Istanbul.
Roberto Mancini, il primo pensiero che le viene in mente su Juve-Samp?
«Posso passare direttamente al secondo?».
No, vogliamo il primo.
«Il primo è malinconico. Ci ho pensato a Capodanno: nel 2014 compio 50 anni, un’età che ai tempi delle mie Juve-Samp consideravo vecchiaia, o quasi. Ha presente le fate con la bacchetta magica e i desideri da esprimere? Ne potessi realizzare uno, sceglierei di tornare giovane per un giorno - oggi - e giocare la partita di Torino».
Non è malinconico. E’ tenero. Affrontare la Juve per lei è sempre stato un piacere speciale, vero?
«È incredibile come sia diventata la grande avversaria della mia vita. Da bambino papà mi portava a Torino alla domenica, col pullman dello Juventus club Jesi. Partivamo alle sei del mattino con il cestino preparato dalla mamma. Sette ore di viaggio, ma non ci pesavano, eravamo tifosissimi. Certo che il destino sceglie strade strane...».
Che cos’è la Juventus per un rivale storico come lei?
«L’avversaria più forte e, insieme, una patente di grandezza. Se la affronti con possibilità di vittoria concrete - e io sono stato fortunato, mi è successo di prevalere più di una volta - vuol dire che il tuo valore è elevato. E’ automatico».
E pensare che se Boniperti avesse anticipato di un giorno una certa telefonata...
«Sliding doors. Chiamò il Bologna il mattino dopo la chiusura del mio trasferimento alla Samp. Se le due telefonate fossero soltanto arrivate assieme, io avrei spinto per la Juve. Ne ero tifoso. Era la prima stagione di Platini, l’avrei iniziata in panchina: ma con Michel avrei trovato in fretta la maniera di integrarmi, e avreste visto molte belle giocate».
Certo però che l’ultimo incrocio, quel terreno infame sul quale vi siete qualificati...
«Alt. È stata fatta letteratura su trattori e furbate. Semplicemente quel giorno il campo era impraticabile, come dissi all’arbitro prima che iniziasse il secondo round della partita. Poi, è accaduta una cosa non rara nella storia del calcio: la squadra più debole - il mio Galatasaray è sicuramente più debole - ha sfruttato la sua chance di eliminare la squadra più forte».
Dopo la vostra beffa in Champions, come vede la seconda parte della stagione juventina?
«La Roma è una bella squadra e fino all’ultimo non si arrenderà, ma la Juve vincerà il terzo scudetto consecutivo: traguardo raro, lo dice l’albo d’oro. Penso che Conte possa vincere anche l’Europa League, la finale casalinga dà troppa motivazione per fallire. Occhio alla Fiorentina, però».
L’ha sorpresa il rendimento di Tevez?
«Ovviamente no, è un campione. A Manchester sognava il ritorno in Argentina, ma vedo che la Juve gli ha tolto ogni nostalgia».
Mancini, cos’è la Samp di oggi per lei?
«Mah, non faccio differenze tra ieri e oggi, la Samp è la Samp. Se ripenso ai miei tempi dico che un presidente (Paolo Mantovani, ndr) così particolare e un diesse (Paolo Borea, ndr) così particolare non potevano che assemblare un gruppo di giocatori così... particolare. Sono quindici anni della mia vita, una parte incancellabile».
In futuro l’allenerebbe volentieri?
«Non è facile rispondere. Sì, di base certamente sì. Quando ci penso, però, mi chiedo con inquietudine cosa succederebbe se fallissi. Verrebbe cancellato tutto il buono di quei quindici anni? Ho paura di sì, il calcio è anche crudele».
Potrebbe andarci a fine carriera?
«No. Quando leggo che qualcuno vorrebbe chiudere la carriera in un determinato posto, me l’immagino in pantofole e demotivato. Se mai dovessi tornare alla Samp, sarebbe per vincere. E il lavoro che la famiglia Garrone ha svolto in questi difficili anni è stato importante per mantenere un livello».
Al resto sta pensando il suo fraterno amico Mihajlovic.
«Il discorso del cuore vale anche per Sinisa. Lui tifa Sampdoria, e si vede: mette nel suo lavoro quel qualcosa di più che soltanto l’amore può trasmettere. E i risultati lo confermano».
Mancini, alle soglie dei 50 anni sta diventando molto zen.
«Come la guardano i suoi colleghi più giovani quando le capita di raccontare loro le avventure di Vialli e Mancini?».
Beh, come noi guardavamo ai tempi chi ci narrava di Gren, Nordahl e Liedholm.
«E non le sembra che il tempo sia trascorso troppo in fretta?».
Sullo sfondo un muezzin sta salmodiando la preghiera del tramonto.