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 2014  gennaio 18 Sabato calendario

MAGRIS, IL PUDORE AI TEMPI DI INTERNET

Aun certo punto, mentre si par­la di verità nascoste e regole del silenzio, Claudio Magris fa una pausa, come se avesse un ripensamento: «Bisognerebbe scrivere un altro saggio – dice –. Sul rispetto o, meglio, sul pu­dore. Esiste un diritto all’opacità, come lo definiva lo scrittore Édouard Glissant, un’esigenza di non essere passati da par­te a parte». Il gusto della sfumatura e il co­raggio della distinzione sono, del resto, i tratti dominanti di Segreti e no (Bompiani, pagine 64, euro 7,00), nel quale Magris, da germanista e narratore, mette in dubbio l’ossessione contemporanea per la tra­sparenza incondizionata. «WikiLeaks, teo­rie del complotto, rivelazioni in tempo reale – elenca – ma se vogliamo ca­pire l’Afghanistan degli ultimi an­ni dobbiamo andare a rilegger­ci il Kim di Kipling…».

Non si fida dei segreti, pro­fessore?
«Al contrario, ne ho grande rispetto. Proprio per questo, però, mi mette a disagio la schizofrenia in cui viviamo oggi. Da una parte siamo os­sessionati dall’esigenza di trame occulte, dall’altra sia­mo in preda alla febbre del­la confessione pubblica.

Tutto deve essere detto, tut­ti devono sapere, non c’è nulla che vada trattato con discrezione».

Ne fa una questione politica?

«Una questione di stile, in primo luogo. So­no cresciuto nella consapevolezza che l’a­micizia è una realtà che coinvolge poche persone. Quando si ha una confidenza im­portante da fare, ci si rivolge a qualcuno che si conosce, non si chiude un messag­gio nella bottiglia per poi affidarlo ai ma­rosi di Internet. Rinunciare al segreto è un passo impegnativo, e anche molto ri­schioso ».

Perché?

«Perché induce al cinismo, al pregiudizio meschino per cui così fan tutti, ogni ar­madio è pieno di scheletri, ogni segreto ne dissimula un altro. Viene meno il rispetto dell’altro, appunto, che già Kant conside­rava come una pre-virtù irrinun­ciabile. E la lotta contro il vizio non diventa per questo più efficace».

Ne è sicuro?

«Sicurissimo, così come non ho dub­bi che ci siano ca­si in cui la porta va abbattuta con l’ascia. I reati de­vono essere rivela­ti e perseguiti. Ep­pure anche qui la categoria del rispet­to resta irrinunciabi­le. Abbiamo visto troppe gogne pubbliche, troppe condan­ne emesse dai media senza attendere la sentenza dei tribunali, troppe vittime del­la vergogna».

L’alternativa quale sarebbe?

«Esigere di conoscere quello che è davve­ro rilevante per le nostre vite ed essere pru­denti per il resto. Una fusione bancaria è qualcosa che mi riguarda e che richiede totale trasparenza. Ma la curiosità morbo­sa è un altro discorso: è un atteggiamento intollerabile, al quale purtroppo ci stiamo abituando. La casa di vetro non è che un mito. Ognuno di noi dovrebbe conservare la capacità di chiudere la porta, di dire: a­desso basta, questo non vi riguarda».

La letteratura può essere d’aiuto?

«Mi viene in mente un classico del Nove­cento, Il segreto del cosiddetto Anonimo Triestino. Quel che c’è da scoprire il letto­re lo scopre nelle prime pagine, ma a con­tare davvero è la rappresentazione del ri­serbo, di quanto sia difficile e indispensa­bile non rivelare una parte di sé. La lette­ratura serve a questo, a farci toccare con mano che cosa significa fare o non fare qualcosa. Nello specifico, mantenere un segreto oppure violarlo».

E la dimensione religiosa?

«Mi ha sempre colpito la tenacia con cui la Chiesa ha difeso il valore del segreto nel sacramento della Confessione. C’è un ele­mento di grandezza, in questo, e di ri­spetto autentico per la persona. Da am­miratore di Chesterton, sono invece diffidente verso ogni atteggiamento e­soterico. Non amo i custodi del buio i­niziatico. Il più delle volte, basta ac­cendere la luce per rendersi conto che il sacrario è vuoto. La verità è semplice e Gesù, nel Vangelo, invita ad annun­ciarla con semplicità e chiarezza, gri­dandola dai tetti e proclamandola nelle piazze».

Anche Papa Francesco è un estimatore di Chesterton.

«Sì, Francesco ha la straordinaria saggez­za dei bambini».

In che senso?

«Un bambino, quando gioca, non fa fin­ta di giocare. È se stesso, in tutto e per tut­to. Non mette in scena il segreto, ma lo vive, perché il segreto ha senso solo nel momento in cui viene vissuto. Il Papa ci sta ricordando che il cristianesimo, nel­la sua essenza più profonda, è questo in­vito a vivere in pienezza. A essere noi stessi, rinunciando alle rigidità dell’i­deologia e alle illusioni del buonismo. Correndo qualche rischio, magari, per­ché anche questo fa parte della concre­tezza. Ma la verità, alla fine, è semplice e lieta, come l’acqua che Gesù trasfor­ma in vino a Cana, come la spiga di gra­no che, già per i greci, raffigurava l’em­blema di ogni mistero».