James Franco, vice.com 7/1/2014, 7 gennaio 2014
Her di Spike Jonze è una storia che parla della morte dell’amore umano, mascherata da storia d’amore tra un uomo, Theo (Joaquin Phoenix), e il suo sexy sistema operativo, Samantha (interpretata dalla voce di Scarlett Johansson)
Her di Spike Jonze è una storia che parla della morte dell’amore umano, mascherata da storia d’amore tra un uomo, Theo (Joaquin Phoenix), e il suo sexy sistema operativo, Samantha (interpretata dalla voce di Scarlett Johansson). Theo lavora come scrittore di lettere personalizzate, una professione che è a metà tra un detective, un voyeur stanco ma speranzoso e un poeta estremamente empatico. La sua specialità è la lettera d’amore dai toni intimi, e spesso i suoi lavori danno voce ai sentimenti delle coppie che lo assumono. Questo servizio, che si svolge in una non meglio identificata metropoli del prossimo futuro (girata a metà tra Los Angeles e Shanghai per dare all’ambiente quell’atmosfera grigia e dai toni pastello tipica della scintillante era Google) è l’altra faccia della relazione di Theo con il suo sistema operativo, un’amante eterea e super intelligente che dice tutto ciò che lui vuole sentirsi dire, proprio come le lettere di Theo fanno con i clienti. Il film pone delle questioni esistenziali: Cosa vuol dire essere un umano? Come definiamo le emozioni? È possibile che qualcosa di digitale e programmato abbia una personalità? Che valore hanno i nostri corpi in quest’epoca che è all’alba di una totale immersione nel digitale? Durante una lezione su Michael Cunningham e il suo Specimen Days, la mia ex professoressa N. Kathryn Hayles, autrice di How We Became Post-Human, ha definito così la nostra situazione attuale: prima dell’era computerizzata, gli umani definivano la loro esistenza in relazione a quella degli animali. Cosa ci differenzia dalle bestie che vivono all’aria aperta e non cucinano il proprio cibo? La nostra intelligenza superiore, i nostri strumenti e le nostre anime, ovviamente. Nell’era della tecnologia digitale, però, definiamo la nostra natura collettiva in relazione al computer, o più in generale in relazione alle ultime tecnologie esistenti. Questa metamorfosi esistenziale è ancora in corso. Continuerà finché non accetteremo il fatto che i nostri strumenti sono più intelligenti di noi e continueranno a svilupparsi esponenzialmente finché si raggiungerà la pace nel mondo o finché, cosa più probabile, il mondo sarà ingoiato da una materia grigia e appiccicaticcia propagata da nano-robot in grado di riprodursi. Se non l’abbiamo già fatto, questo è il momento in cui inizieremo davvero a definire cosa vuol dire essere umani su tutti i livelli. Abbiamo già iniziato a fare ricorso alle categorie di analogico e digitale come misura della condizione umana: memoria, larghezza di banda, selfie, sms, email, navigazione online, etc. [Da qui in poi verrà parzialmente esposta la trama del film. Un avvertimento dello staff, giusto per essere sicuri.] In Her, la relazione tra Samantha e Theo inizia nel bel mezzo di un periodo di intensa solitudine e depressione scaturito dal divorzio di Theo con l’ex moglie, interpretata da Rooney Mara (che, lo avrete notato, assomiglia a Sophia Coppola). A livello superficiale, la trama del film può essere letta come la messa in scena del vero divorzio di Spike dalla moglie, in cui la passione per l’arte sua e di Theo funge da palliativo per il dolore, qualcosa che al giorno d’oggi è comune quanto lo era una volta drogarsi, passare del tempo con gli amici, essere ossessionati dal lavoro e sfondarsi di gelato. Quando Theo incontra per la prima volta Samantha, sembra che il sistema operativo super intelligente possa dare a Theo tutto quello di cui ha bisogno per uscire dalla sua solitudine—eccetto un corpo da stringere e con il quale avere rapporti sessuali. Questo funge come spiraglio per un’interpretazione queer del film, in cui la loro relazione diventa un nuovo tipo di interazione sociale non definibile in base ai buchi nel corpo di una persona, poiché Samantha non ne ha nemmeno uno; l’unica cosa che orienta il suo genere è il suono della voce (piuttosto roca) e il suo nome, che sceglie perché le piace il suono che fa. Quindi Samantha è, per definizione, una cosa molto queer. È puramente digitale, eterea e potente allo stesso momento. Bisogna ringraziare Scarlett Johansson per aver saputo interpretare un personaggio a tutto tondo senza farsi mai vedere dal pubblico. In questo caso insomma non c’è nemmeno una palla di nome Wilson alla quale dare attributi umani e sulla quale concentrare l’attenzione. Come risultato, il tempo che in un film normale si sarebbe impiegato con inquadrature dei volti dei due protagonisti, qui si concentra unicamente sulla faccia di Joaquin Phoenix. Nonostante questo, abbiamo comunque una forte sensazione della presenza di Samantha: la sentiamo, è un personaggio. È uno di quei rari film che, se ci rifletti troppo prima di vederlo, non solo sarà all’altezza delle tue aspettative ma manderà in frantumi qualunque dubbio tu possa avere su pellicole del genere, perché è stato girato nel migliore dei modi possibili. Questa sensazione data da un’altra persona che il pubblico può sentire ma non vedere è esattamente la stessa che Theo deve affrontare nel film: se la voce incorporea di Samantha gli strappa delle emozioni, perché allora non dovrebbe buttarsi a capofitto in una relazione romantica con lei? Per molti versi è l’esatto opposto (eppure il corollario) degli amanti devastati di Lester Ballard, il protagonista necrofilo di Figlio di Dio di Cormac McCarthy: nel libro, Lester ottiene i corpi degli altri senza tutti i tormenti di coscienza connessi alle relazioni umane (la sua immaginazione mescola coscienza e cadaveri), mentre in Her, Theo ottiene una coscienza estremamente intelligente e attraente di qualcun altro, ma senza il suo corpo. Questo è il punto cruciale di Her, e rivela da un lato una relazione "perfetta" che diventa presto agghiacciante per l’intimità sviluppata con una forma non umana, e dall’altro serve da ispirazione per comprendere l’essenza stessa dell’intimità umana. Con cosa interagiamo esattamente quando ci leghiamo a un’altra persona? Che cos’è davvero essenziale? Che cosa ci eccita? E se un computer potesse avere le stesse connessioni emotive di un umano, o almeno potesse reagire come un umano, allora cosa lo differenzierebbe da un umano vero? La mancanza di un corpo? Non proprio, perché dal film si può capire chiaramente che quella dei computer con forma umana è una possibilità non remota—basti pensare a Terminator. C’è un momento in Her in cui Samantha e Theo si stanno quasi per lasciare, come succede in tutte le commedie romantiche; una scena che ha distrutto molte coppie vere, ovvero quella in cui uno dei due rivela quanti partner ha avuto (o in questo caso, quanti ne ha attualmente). Questo stereotipo trito e banale acquista una nuova vitalità perché immette nel gioco un non-umano—che è un po’ lo stesso meccanismo che ha fatto la fortuna di Brokeback Mountain: una classica e tragica storia d’amore resa interessante dal mero orientamento sessuale degli amanti. Theo si aspetta che Samantha segua gli standard di fedeltà umana, mentre lei ha molti amanti perché ne è capace e può permetterselo. È capace di dare a centinaia di persone la stessa attenzione nello stesso momento, e può addirittura accrescere il suo amore e connetterlo attraverso tutte le relazioni (che forse è la forma avanzata dei casini relazionali causati dai social network). Quindi, non sarebbe profondamente ingiusto limitare la portata del suo amore a un solo umano dal cervello piccolo? Infine c’è la scena in cui un sacco di gente cammina trafficando con il proprio smartphone (o qualsiasi cosa diventerà nel futuro). Una scena potente e triste, perché mostra quanto l’essere umano portebbe diventare inutile in breve tempo: nel film sono i componenti umani i più lenti e i meno intelligenti, tutti tenuti a bada dalle loro grandi madri digitali come Samantha. Ed è questo che succederà, finché gli umani capiranno di non essere gli unici.