David Bidussa, Mondo Nuovo 5-6/2013, 17 gennaio 2014
ILLUMINAZIONE DEL SESSO – [NEL SEICENTO, LE PRATICHE TRASGRESSIVE ERANO PUNTITE IN PUBBLICO. UN SECOLO DOPO, ERANO SOCIALMENTE APPROVATE, IN MEZZO C’È UNA RIVOLUZIONE DEL COSTUME]
[vedi appunti]
Londra, 10 marzo 1612. Palazzo di giustizia. Un uomo e una donna non sposati sono di fronte ai giudici per rispondere della loro relazione sessuale. La corte li condanna al carcere duro. Nessuno ricorda. O comunque non se ne fa menzione da nessuna parte, neppure del destino del figlio nato da quella storia. Non è un caso isolato.
Boston, 1644. Un uomo confessa che in stato di ubriachezza, ha cercato di costringere a un rapporto una ragazza di 18 anni. Arrestata, la ragazza nega che sia successo qualcosa. Alla fine, tuttavia, chiede perdono a Dio. Viene condannata all’impiccagione insieme al suo molestatore. Nel momento in cui la condanna a morte viene eseguita, i due dichiarano pubblicamente di redimersi.
Quell’atto pubblico non serve per sfuggire alla punizione, ma a riconoscere il potere del tribunale. La disciplina sessuale costituisce una preoccupazione sia per la Chiesa sia per lo Stato. I rapporti extraconiugali rappresentano un problema. L’adulterio è considerato un crimine. Non sempre si può essere condannati a morte, ma certo si è severamente puniti e, soprattutto, in pubblico. La punizione ha un valore pedagogico, vale per “educare” e per “prevenire”. Allo stesso modo, il pentimento non attenua la pena, ma ha la funzione di riconoscere la giustezza, l’autorevolezza e la forza dell’istituzione che emette la sentenza. Non vale solo per gli atti riconosciuti come reati in ambito sessuale. Ma anche, per esempio, per tutti i processi ai marrani, agli eretici o ai liberi pensatori tra XVII e XVIII secolo. Con questo processo e questa dinamica, l’Illuminismo rappresenta una spaccatura e una modifica profonda di un atteggiamento e ancor più di un sentimento che non molti contestano. È anche vero, tuttavia, che il processo di apertura verso la tolleranza sessuale presenta anche altri percorsi per certi aspetti non attesi. Fra questi c’è la poligamia, una pratica e una questione che dividono la società.
Nel 1709 Delarivier Mankley pubblica New Atalantis, un romanzo erotico in cui la poligamia è una condizione condivisa e accettata. Il testo subisce vari sequestri, ma in ogni caso viene poi rimesso in circolazione. Ancora nel 1730 Patrick Delany, decano della Chiesa di Irlanda e predicatore noto a Dublino, si muove dapprima contro la poligamia, ma poi non è contrario. Negli stessi anni Samuel Richardson la difende. Nel mondo protestante la sua opinione non è isolata, anzi trova molti riscontri positivi fra gli intellettuali. Solo alla fine del XVIII secolo la poligamia diventerà inaccettabile. Il tema principale, tuttavia, è costituito dalla questione delle donne.
Negli stessi anni cresce la pratica della “borsa delle nubili” dove le donne sposabili hanno una quotazione. Nel 1742 è pubblicato A Master-Key to the Rich Ladies Treasury, una guida che riporta nomi, condizioni sociali, caratteristiche di donne sposabili. Lo schema è lo stesso dell’Harris’s List of Covent Garden Ladies, la guida delle prostitute londinesi che inizia a essere pubblicata nel 1757 e verrà venduta in migliaia di esemplari per tutto il Settecento.
Matrimoni mercenari, prostituzione, libertinismo, urbanizzazione, tolleranza religiosa, innalzamento della cultura di massa, diffusione della stampa sono tutti aspetti tra loro diversi, talora anche reciprocamente contraddittori, e tuttavia fanno parte di uno stesso quadro.
La sessualità inizia a essere vista come un fatto privato, o come parte di una morale personale. La prostituzione cessa di essere sanzionata con severità. Ma il percorso non è lineare. Contemporaneamente quella che si manifesta attraverso la percezione di una maggiore libertà, si presenta poi nella figura di un controllo più severo sui costumi. Così, per esempio, Mary Wollstoncraft nel saggio Vindication of Rights of Woman (1792) celebra la rivendicazione dei diritti delle donne. Ma sei anni dopo, nel romanzo incompleto Maria, non gli concede spazio. All’orizzonte si profila la necessità di un controllo dei costumi in nome dell’equilibrio. Una condizione che Malthus, nel Saggio sui principi della popolazione (1798) definisce al contempo come teoria economica e come morale pubblica. E che prefigura temi e sensibilità dei movimenti evangelici del XIX secolo che avranno spazio nella Gran Bretagna vittoriana. Nel proporre l’idea del regolamento demografico, Malthus si rivolge prevalentemente agli uomini e invoca il controllo della loro attività sessuale.
Sono questi solo alcuni degli aspetti che sintetizzano la parabola della prima trasformazione radicale della pratica sessuale tra Seicento e Settecento.
Il libertinismo rappresenta l’ovvio elemento di rottura. Ma non è il solo. Da sempre il sesso è stato un ambito del comportamento, prima ancora che un’attività del corpo, regolato dalla Chiesa, dallo Stato e dalla legge. Ma, a partire dal XIX secolo, ogni cosa è cambiata.
Attraverso i documenti e le fonti le più diverse – dal diritto alla letteratura, dai racconti pornografici alle corrispondenze e ai diari privati, dalle parole dell’alta società alle tracce, scritte, ma soprattutto giudiziarie di quella bassa – emerge un cambiamento profondo. Tendenze intellettuali si intrecciano a cambiamenti religiosi e culturali, politici e demografici. Prima ancora che nelle parole, la novità è nei comportamenti. Si osa pensare ciò che prima era impensabile, anche se spesso praticato: dunque non solo tutto diventa possibile ma, d’improvviso, pubblico.
L’Illuminismo avvia una riflessione sulla legittimità e la libertà delle passioni (ma anche su questo aspetto, come vedremo, il discorso è meno lineare di quanto si creda) e impone un nuovo codice. Se il sesso costituisce un fatto privato, la moralità non può essere imposta a uomini e donne che sono attraversati dal desiderio e talora su di esso fondano la loro personalità. Così irrompono, prima in modo scandaloso, ma a partire dagli anni ’30 del Settecento in forma più diffusa e accettata, le narrazioni del sesso praticato, delle storie “private” dove si fa sempre più evidente l’arretramento della capacità di controllo sui comportamenti.
Nei diari di Samuel Pepys (1633-1703) i grandi eventi della storia inglese cui assiste (la guerra civile, il regime cromwelliano, il grande incendio di Londra) si sovrappongono e coabitano con la descrizione di un privato in cui non mancano i particolari su tradimenti coniugali (i propri, prima di tutto), storie di letto, passioni e pensieri. Questo genere letterario, la confessione in pubblico del privato, si manifesta nel momento in cui lo sviluppo urbano mette in crisi, fra le altre cose, il rigoroso controllo morale proprio di una società rurale, dove la funzione del villaggio non è solo di contenere gli stili di vita, ma anche di governare la vita pubblica. Al cambiamento dei costumi sessuali contribuisce anche la diffusione dell’idea del lusso, che con Voltaire diventa un giudizio di valore, presentato come il segno del desiderio di raggiungere un alto grado di civiltà e, comunque, come la sfida a una società priva di ambizione (vedi alla voce “Lusso” dell’Encyclopédie). Nel momento in cui smette di essere sottoposto a censura morale, esso diventa lo strumento attraverso cui chi è sufficientemente ricco si procura un’esistenza piacevole, formula che ha nel godimento del corpo una parte essenziale.
Negli stessi anni, i ’60 del Settecento, anche il filosofo David Hume non descrive il lusso come un’infrazione rispetto a una vita virtuosa perché morigerata e frugale. Per cui, scrive nei Saggi morali, politici e letterari, “se accade che l’amore licenzioso, come la stessa infedeltà al letto coniugale, sia più frequente nelle epoche colte, è perché non si vede altro che una manifestazione di galanteria.” E comunque, aggiunge, in tempi più illuminati “è molto meno comune l’ubriachezza, vizio più odioso e più dannoso sia alla mente che al corpo.”
LA TRASFORMAZIONE che si consuma tra XVII e XVIII secolo non viene naturalmente descritta da una storia lineare. Già nel Cinquecento l’esposizione del corpo e la soddisfazione dei sensi avevano avuto il loro momento trionfo letterario nei Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino e nel Gargantua e Pantagruel di Rabelais. Poi, per circa un secolo, hanno avuto la meglio gli elementi morali che ne sanzionano la repressione o la riprovazione.
All’interno di un andamento come sempre ondivago, tuttavia gli elementi di rottura sono adesso preponderanti e più profondi. Non si era mai visto un club per gentiluomini come il Beggar’s Beninson di Anstruther, in Scozia, nella cui iconografia non mancano scene di eiaculazioni collettive. Ne si erano lette pagine sull’omofobia e la sodomia come quelle che il filosofo Jeremy Bentham scriveva in risposta alle tesi di Malthus: quelle pratiche non sono da condannare perché non costituiscono in sé un danno o un ostacolo al regolamento della popolazione, anzi non hanno con quella questione alcuna relazione.
Del resto Bentham non si limita ad accettare la sodomia e i rapporti sessuali tra insegnanti e allievi. Difende qualsiasi modalità di rapporto sessuale dentro e fuori l’istituto del matrimonio.
Al di qua della Manica, il tabù si rompe seguendo un processo diverso. Choderlos de Laclos scrive Le relazioni pericolose negli anni ’80 del Settecento. È un romanzo che può essere letto in due modi. A un primo livello, quello più immediato, come la massima esposizione del libertinismo, ormai ridotto a mera scientia sexualis. Oppure come la desolante conclusione della grande inchiesta sulla società francese avviata 60 anni prima da Charles-Louis Secondat, barone di Montesquieu, con le Lettere persiane.
Nel suo capolavoro giovanile, Montesquieu aveva tracciato l’identikit di una società frivola, galante, imprudente, teatrale, eppure “capace di coraggio, di generosità, di franchezza, di un certo senso dell’onore.” Una società sostanzialmente libera, vitale e aperta al futuro.
Ma quella condizione trovava in Rousseau il suo critico radicale. Lo dimostrano le pagine della Nouvelle Héloïse: contro il libertinismo della capitale, viene sbandierato l’ideale della vita agreste, della vita naturale della campagna, dell’ordine rappresentato dallo stile “Clarins”, una comunità basata sulla virtù e la trasparenza dei cuori.
A Laclos, invece, l’élite nobiliare francese appare troppo corrotta per potersi rigenerare dal suo interno: ha bisogno di una riforma morale imposta dall’esterno, di una “rivoluzione” di cui lo scrittore, con il sopraggiungere del 1789, non avrebbe esitato a farsi parte attiva.
A differenza dell’universo culturale inglese, nell’Europa continentale il rinnovamento dei costumi non ha dato luogo a una nuova etica. Per imporsi, o almeno per farsi spazio, aveva bisogno di altre rotture clamorose. Anche qui, alla fine, si arriverà a una morale in cui si afferma la libertà individuale (comprese le diverse declinazioni dell’amore), ma attraverso altre vie, diversi percorsi e sempre con strappi, ripensamenti e ricuciture. In ogni caso, neppure il mondo anglosassone ha seguito una linea retta. La vicenda Oscar Wilde, alla fine dell’Ottocento è lì a dimostrarlo.