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 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

LO SCALO-ISOLA NEL DESERTO ECONOMICO


Dal «Picco del Re», alle prime pendici dell’Aspromonte, si coglie lo spicchio di mare che scampa alle colline, una dietro l’altra fino alla Piana. L’occhio lo scova sullo sfondo, dopo aver planato su distese grigie di ulivi dalle grinze secolari e su quelle più verdi degli aranceti.

Nei giorni schiariti dalla pioggia della notte, si distingue la sabbia granulare, giallo sciupato, e il ricciolo di onde che s’infrangono prima di ritrarsi sconfitte. Era vicino, il mare, ma pure lontano fino agli Anni 50. Ne avevano confidenza i ricchi, e i mulattieri che portavano alla marina, con il carretto attaccato ai muli, l’olio dei frantoi, per venderlo all’ammasso. Gli aranceti arrivavano fino alla spiaggia. Erano una ricchezza. Allora pochi ettari garantivano vita agiata. Al punto che parve un peccato da scontare in un infimo girone dell’inferno aver spiantato per imprigionare acqua salata. A lungo, al posto delle campagne generose, ultime all’occhio, dal «Picco del Re» si vide una larga striscia di terra desertificata, che intristiva, con gli alberi tagliati per far posto a cemento su cemento. Finché germogliò un porto. Incomprensibile, che sembrò inutile e uno spreco. Vi campeggiava desolazione. Era inoperoso e muto. Lo spazzava il vento senza impattare in ostacoli. Un’altra cattedrale nel deserto, si pensò, come già quelle del tentativo di industrializzazione – le officine meccaniche di Reggio e, peggio, la Liquichimica di Saline Joniche, di fatto mai entrata in funzione, dove gli operai sono stati, da subito e per quasi tre decenni dà lavoro a 3mila operai, in cassa integrazione, oggi entrambe ferraglia arrugginita a ridosso del mare apposta imbronciato, sulla curva dove il continente si consegna alle acque.
Per fortuna, spuntò l’idea giusta. Spuntò a un’azienda leader nel business dei terminal container – leggenda e, pare, qualche carta di Giustizia vogliono sia stata la ’ndrangheta competente per territorio a sollecitare l’iniziativa: dopo aver già spremuto ricchezza dalla costruzione, s’è ingegnata per nuove mammelle da mungere. Comunque, l’idea attecchì e il porto decollò. Ed è oggi l’attività più proficua della Calabria. Dà lavoro a più di tremila persone tra operatori portuali, istituzionali e per servizi vari. Ma ha potenzialità molto maggiori. Tutti i grandi porti arricchiscono l’hinterland. Qua ancora non succede, nonostante la posizione al centro del Mediterraneo. Ha ragione Francesco Russo, docente di Trasporti all’Università di Reggio: qua il porto è come un’isola interna, senza contatti o vincoli con la Calabria, la ignora, la sorvola; il freno sono i collegamenti. I milioni di container che giungono bypassano la regione. Via mare sono arrivati e via mare se ne vanno – nel 2013 dalla stazione ferroviaria interna al porto non è partito un solo vagone. E non potrebbe essere altrimenti: il traffico su gomma è improponibile per mille motivi, comprese le condizioni della A3; quello su rotaia è molto più costoso e complicato, per la strozzatura di Paola, dove le gallerie non hanno le caratteristiche tecniche e dimensionali per consentire il transito al maggiore ingombro dei container marini; diventa farraginoso raggiungere le destinazioni, perché occorre aggirare l’ostacolo con deviazioni sulla linea ionica e su quella adriatica; naturale che tempi e costi si dilatino e che convenga la via d’acqua.
Non a caso è la scarsa accessibilità il deterrente maggiore per gli investimenti «forestieri» – contrariamente a quanto si pensi, la ’ndrangheta è giù in classifica, al quinto posto: sarebbe ancora più giù se non si amplificassero, più o meno ad arte, le sue dimensioni e la sua portata.
Una spinta importante dovrebbe arrivare dall’istituzione della ZES (Zona Economica Speciale), che è più di un porto franco e su cui la Calabria è avanti rispetto alle regioni con i grandi porti, essendo già al vaglio del Consiglio dei Ministri la proposta di legge regionale. Altra spinta, dalla produttività industriale delle strutture, finanziate a larghe mani dalla 488 e presenti nell’area adiacente, da dove però giunge molto più il silenzio che il rumore dell’operosità.
All’Italia che torce il muso e a quella che ci governa, la riflessione che è urgente realizzare efficienti infrastrutture stradali e ferroviarie, e l’altra che è tempo cessi il tentativo di far passare per straordinario qui ciò che è ordinario altrove.