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 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

BÒVOLO E SCHISCIÀ IL DIALETTO PARLA DIGITALE


L’INIZIATIVA
Il serbocroato molisano, parlato da poco più di 2.000 persone in tre comuni della provincia di Campobasso; l’occitano (gardiol) di Guardia Piemontese (Cosenza); il grecanico (grico) del Salento e dell’area di Reggio Calabria; il vallese (töitschu) della valdostana Issime. Tutte lingue minoritarie in serio pericolo, secondo l’atlante delle lingue a rischio d’estinzione realizzato dall’Unesco. «Ogni 14 giorni nel mondo scompare un dialetto e con esso storie, tradizioni e culture preziose», ha dichiarato Claudio Nardocci, presidente dell’associazione (UNPLI) a cui si deve l’istituzione della Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali, giunta alla sua seconda edizione. E ieri, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, una giuria presieduta da Pietro Gibellini ha premiato i vincitori del concorso “Salva la tua lingua locale”; indetto l’anno scorso dalla stessa Unpli ha visto la partecipazione di 256 fra poeti e prosatori in vernacolo.

I GIOVANI
Dialetti che agonizzano o muoiono, ma anche dialetti che si rinnovano. La globalizzazione li ha più volte dati per spacciati, eppure sono ancora lì. Alimentati dal glocal, che vi attinge come a serbatoi di espressività o a fonti di un ritrovato amore per il territorio. Rinfocolati dai linguaggi giovanili cittadini e metropolitani, che affidano alle parlate locali le proprie aspettative identitarie e la rivendicazione di una diversità nemica giurata di ogni forma di omologazione. Corteggiati da mode, generi musicali: il raggamuffin dei salentini Sud Sound System, il punk del lombardo Davide Van De Sfroos, il pop dei genovesi Buio Pesto. Pronti a reagire alle provocazioni: con la malizia dell’arguto accademico che ha tradotto in napoletano (2009) un discorso di Umberto Bossi, con Roma mariola per la leghista Roma ladrona; o con la goliardica vivacità di Tonino Tosto, che romanizzò in uno spassoso volumetto (“Roma de cartello”, Edup, 2004), insegne di negozi e segnali stradali: il dosso era lì un saliscegne, l’incrocio pericoloso un capocroce a risico.

L’INFORMATIZZAZIONE
Dialetti lesti a cavalcare perfino le nuove tecnologie. In gallese è malwoden, in esperanto helico; qualcuno in spagnolo la chiama caracol, in francese escargot, in ceco šnek, in ungherese csiga, in coreano dalphaengi, in ebraico shablul, in inglese snail. Sono alcuni dei nomi con cui è conosciuta at, la chiocciolina informatica. Significano tutti chiocciola o lumaca come il veneto bòvolo e il sardo coc(c)òi, riferibili a loro volta all’animale o al suo avatar virtuale. In friulano @, simbolo ormai familiare a quasi due miliardi e mezzo di utilizzatori di servizi di posta elettronica, è gubanutte. Alla sua base gubane, un tipico dolce pasquale e natalizio simile al nostro gasteropode.
L’Italia è la nazione europea con il più alto tasso di biodiversità, per un melting pot genetico che ha eguali solo nell’area balcanica. A dimostrarlo una ricerca guidata dall’università La Sapienza di Roma, con gli ateenei di Bologna, Cagliari e Pisa: 34 ricercatori hanno studiato per sette anni, sotto la direzione dell’antropologo Giovanni Destro Bisol, 57 diverse popolazioni sul suolo italico. Il nostro è un Paese nel quale basta spesso spostarsi di pochi chilometri per veder cambiare parlate, usanze, gusti alimentari. Sulle prime s’era già espresso Dante nel “De Vulgari Eloquentia” (II, IX): dopo aver detto delle differenze fra le parlate di milanesi e veronesi, romani e fiorentini, napoletani e gaetani, ravennati e faentini, manifestava il suo stupore (“quod mirabilius est”) per le diversità di favella avvertite fra gli abitanti di una stessa cittadina (“sub eadem civilitate morantes”): come i bolognesi di Borgo San Felice e quelli di Strada Maggiore.

IL FUTURO
C’è chi ha profetizzato un futuro nel quale parleremo una sola lingua (l’inglese) o, nella migliore delle ipotesi, tre (inglese, spagnolo, cinese). Intanto molti dialetti italiani non solo resistono, come ha mostrato l’Istat (nel 2006 più del 30% degli intervistati dichiarava di esprimersi, in famiglia o con gli amici, sia in italiano sia in dialetto), ma rifioriscono in tante varietà ludiche, ibride o “tecnologiche”. Agli epiteti affettuosi per at fanno compagnia, nelle annotazioni di un linguista (Massimo Cerruti, “Italiano e dialetto oggi in Italia”, www.treccani.it), le versioni locali per cliccare: schiacciare in piemontese (sgnaché) e lombardo (schiscià), battere, picchiare in genovese (piché). O quelle per rendere sito, naturalmente informatico: sit in Lombardia e in Piemonte, situ in Sicilia, scitu a Genova.
Massimo Arcangeli