Massimo Gaggi, Corriere della Sera 17/1/2014, 17 gennaio 2014
I LIMITI DEL COMPUTER SUPER INTELLIGENTE
Watson, il supercomputer delle meraviglie, è l’orgoglio e la grande speranza dell’Ibm ma, in una certa misura, anche un oggetto misterioso. A tre anni dalla sua vittoria sull’uomo in «Jeopardy», il più celebre quiz televisivo americano, centinaia di ingegneri continuano a lavorare sullo sviluppo di questa macchina che, promette il gigante informatico che l’ha costruita, dovrebbe rivoluzionare aspetti cruciali delle nostre vite: dal modo in cui si arriva a diagnosi e terapie per il cancro alle scelte d’investimento dei risparmiatori.
Un anno fa anche il Corriere ha raccontato come alcuni degli ospedali americani più avanzati nella lotta contro i tumori — dallo Sloan-Kettering di New York alla Cleveland Clinic, all’Anderson Cancer Center in Texas — abbiano cominciato a utilizzare la straordinaria capacità di Watson di memorizzare tutta la casistica medica universale e di imparare dai suoi errori diagnostici per migliorare le terapie. Questo sta già avvenendo, ma, evidentemente, trasformare una «Formula 1» in una vettura che può essere guidata per strada non è facile nemmeno nel mondo dell’informatica: Ibm sta faticando più del previsto nei suoi tentativi di fare di Watson una macchina da 10 miliardi di dollari di fatturato l’anno, come promesso dal capo del gruppo, Virginia Rometty. Quella di Watson diventa, così, una storia esemplare delle difficoltà di trasformare in realtà le promesse di un mondo governato da macchine capaci di formulare giudizi più affidabili di quelli dell’uomo. Una storia fatta di grande abilità ingegneristica, ma anche di attesa famelica dei manager che devono giustificare i loro investimenti davanti agli azionisti e di ridotta agilità dei grandi gruppi industriali rispetto alle start-up tecnologiche, molto più adatte a navigare nei flutti dell’economia digitale. A fronte dei dieci miliardi di fatturato posti come obiettivo dalla Rometty, capo di un gruppo il cui giro d’affari è in calo da 6 trimestri consecutivi, fin qui Watson ha portato a casa solo 100 milioni di dollari. Adesso l’Ibm rilancia e diversifica: ha appena annunciato la creazione nell’East Village di New York del Watson Group, una task force di duemila persone incaricata di sviluppare e vendere la macchina. Per «Big Blue», la società più longeva del mondo dell’elettronica (è stata fondata 103 anni fa) già sopravvissuta al succedersi di varie ere geologiche nell’informatica, questo è un altro passaggio decisivo. Ibm cerca di affrontarlo con umiltà (dopo mesi di incomprensioni e istruzioni impartite da lontano, gli ingegneri hanno cominciato a recarsi settimanalmente negli ospedali che usano Watson) e battendo strade nuove: dopo i tentativi con Citigroup di mettere a punto una versione di Watson capace di scegliere gli investimenti più promettenti, ora decolla una partnership con la banca asiatica Dbs, mentre Terry Jones, il padre dei siti turistici Travelocity e Kayak vuole rivoluzionare di nuovo l’industria dei viaggi proprio ricorrendo a Watson. Ma nulla in questo mondo è scontato e Ibm dovrà correre a perdifiato per centrare i suoi obiettivi.
@massimogaggi