Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

«TORNO IN ITALIA SOLO SE CONDANNATO» RIVA E IL VERDETTO SULL’ESTRADIZIONE


[Fabio Riva]

Fabio Riva, 60 anni, quando il 27 novembre 2012 parte l’ordine di arresto dal tribunale di Taranto lui è già a Londra. Si è costituito a Scotland Yard ottenendo la libertà vigilata su cauzione. Fabio Riva è il vicepresidente del quarto gruppo siderurgico d’Europa.
Ma lei si trovava a Londra per caso, o una talpa l’ha informata che era meglio cambiare aria?
Riva: «A parte che nell’ambiente degli avvocati già girava voce di come buttava, comunque io ero qua per una riunione con i brasiliani».
Come ha passato gli ultimi 14 mesi ?
«A studiarmi le carte… e guardi la qualità dell’aria a Taranto è migliore che a Milano in Via Senato, perché la storia è cambiata negli ultimi tempi, avesse visto cos’era anni fa!».
L’aria è cambiata perché, a causa dello stato pessimo degli impianti la produzione è stata ridotta; altrimenti non si capisce perché il commissario Bondi non li attivi. I periti dell’Arpa dicono che si muore. L’accusa è di associazione per delinquere finalizzata al «disastro ambientale e avvelenamento di alimenti».
Ieri pomeriggio si sono chiuse presso la corte inglese le udienze per l’estradizione di Fabio Riva. A tentare di convincere il giudice della malafede dei magistrati di Taranto, la potenza di fuoco dei suoi numerosi avvocati e periti. Per la parte ambientale hanno argomentato il professore Carlo Monti e il professore Suresh Moolgaukar, di Exponent, un’associazioni mondiale di esperti, nata per fornire consulenza alle aziende su come affrontare i temi critici legati all’ambiente.
«Non sono persone di parte», ci tiene a precisare Riva, «come ha sentito hanno giurato di dire la verità, perché ci credono, non perché li abbiamo pagati noi! Anche perché loro non pretendono altro che il compenso pattuito, anche se il giudice dovesse esprimersi a favore».
Secondo loro la previsione dei livelli di agenti nocivi negli individui richiede numerose supposizioni: livelli nell’aria, nell’acqua, nel suolo, nelle polveri, negli alimenti, abitudini personali. «I contaminanti sono presenti ovunque nell’ambiente, più elevati nelle società industrializzate. I poveri vivono in zone inquinate e fanno una vita meno sana, fumano di più. Questo dato è stato escluso dai periti dei giudici di Taranto, non è un’analisi seria! L’area di Taranto rispetta le linee guida dell’Oms!».
Anche i periti del giudice Todisco giurano. E visto che le autorità giudiziarie italiane non li hanno mandati a Londra, non hanno potuto garantire con la forza persuasiva dell’oratoria un confronto equilibrato davanti al giudice. È stato inviato un rapporto scritto, che certamente il giudice leggerà con attenzione; dovrà anche considerare che il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, con l’ipotesi che il nostro Governo non abbia garantito il rispetto delle direttive UE da parte dell’Ilva di Taranto, e per «mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell’acciaio».
Analoghi stabilimenti nel mondo hanno chiuso o risanato. La ThyssenKrupp, che ha fatturato 40 miliardi di euro in un solo anno (dimostrando come sia possibile coniugare profitto ed etica), è stata indicata come esempio da seguire per i commissari che devono bonificare. In Corea i parchi minerari vengono coperti. Certo, bisogna investire.
I dirigenti dell’Arpa e i custodi giudiziari scrivono che nello stabilimento di Taranto le irregolarità riguardano i filtri per abbattere i fumi tossici, emissioni non convogliate nei camini, sistemi privi di controllo automatici, nessun accorgimento per limitare la dispersione di polveri minerali che trasportano particelle tossiche nei polmoni. Infine stimano gli interventi necessari: 8 miliardi di euro. Investimenti che Ilva aveva l’obbligo di fare. La famiglia Riva ha avuto invece un certo riguardo a portare 1 miliardo e 200 milioni nei trust dell’isola di Jersey. Denaro sequestrato dalla Guardia di Finanza di Milano, che ne ha ricostruito la provenienza: si tratterebbe proprio dei profitti dell’Ilva.
«Profitti legittimi» precisa Riva. Gli chiediamo se sarebbe disponibile a non opporsi all’eventualità che questo denaro venga investito nel risanamento della sua azienda. «Non decido io», mi risponde «sono soldi del Trust». Ma i beneficiari del Trust sono gli stessi Riva!
Davanti al giudice inglese i suoi avvocati producono anche una perizia sullo stato delle carceri italiane e sulla legislazione che prevede la carcerazione preventiva. Infine chiedono per Riva lo status di rifugiato, poiché siamo di fronte ad un «processo ideologico». Cosa farà Riva se il giudice non dovesse accogliere la richiesta?
«Probabilmente si farà ricorso. Io non ho intenzione di fare del carcere preventivo, in Italia ci tornerò e andrò in carcere se verrò condannato!».
Difficile dargli torto. In fondo è lo stesso Paese che avrebbe permesso all’Ilva di inquinare impunemente per anni. La decisione del giudice è attesa nelle prossime settimane.
Milena Gabanelli; Sabrina Giannini