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 2014  gennaio 17 Venerdì calendario

LUCE DI SPERANZA NELLA CELLA KAZAKA DEL MANAGER ENI


[Falvio Sidagni]

Da oltre tre anni e mezzo un top manager italiano dell’Eni giace dimenticato in un carcere kazako. La vicenda di Flavio Sidagni, originario di Crema, classe 1955, dirigente Agip detenuto (e inizialmente sottoposto a vessazioni da parte di altri carcerati) nella prigione di Atyrau ha dell’incredibile: sorpreso il 20 aprile 2010 – in base a una “soffiata” piuttosto sospetta – a fumare uno spinello nel residence dove viveva con la compagna Irina (kazaka) e con la figlia di lei, Sidagni veniva tratto in arresto da funzionari della Polizia locale.
Nonostante il consumo fosse a uso strettamente personale, dato che la polizia aveva visto Sidagni passare lo spinello ad amici presenti nella casa, il top manager veniva accusato di traffico di stupefacenti e condannato il 14 settembre 2010 a una pena severissima: 6 anni (17 la richiesta della procura), da scontare nel carcere-inferno di Semey, noto per la sua durezza. A nulla valevano le osservazioni degli avvocati, che obiettavano come un top manager del settore petrolifero non avesse certo bisogno di commerciare hashish.
Sidagni, dopo la laurea in Bocconi nel 1989, era stato stato assunto all’Eni nel 1981 e aveva svolto vari ruoli all’estero, tra i quali il progetto kazako di Kashagan (nel Mar Caspio) tramite la Agip Kco di Atyrau, con il ruolo di Finance & Control Manager. Un enorme giacimento (il più grande scoperto negli ultimi trent’anni a livello mondiale), quello di Atyrau, che vale interessi pesanti.

Botte per i soldi. Dopo la condanna è iniziato il calvario di Sidagni: le attenuanti generiche gli risparmiavano la prigione di Semey risalente ai tempi degli zar, ma non i pestaggi cui è stato sottoposto dagli altri detenuti affamati di soldi. Pochissimi i contatti esterni concessi, a parte la moglie Irina, mentre il silenzio è sceso a poco a poco sulla sua storia. Nell’agosto 2012 Sidagni, a una giornalista kazaka che è riuscita a incontrarlo in carcere, dichiarava: «Ho l’impressione di essere stato usato dalle autorità kazake come mezzo di scambio al fine di ottenere qualcosa, dei vantaggi di qualche tipo… L’Eni aveva detto che mi avrebbe aiutato, ma ho l’impressione di essere divenuto uno strumento politico». E in una lettera aperta del 2011, Sidagni ha scritto «Dall’azienda cui ho dedicato la mia intera vita professionale, confesso che mi aspettavo qualcosa di più». Il cugino di Sidagni, Paolo Gorlani, imprenditore a Crema che da anni segue la vicenda, dichiara: «Da un anno e mezzo la pressione dell’Eni non c’è più, si è spenta l’attenzione su Flavio».
Il gruppo Eni, interpellato dal Corriere, afferma però di avere fatto il possibile: «Sotto il profilo giuslavoristico, a fronte della condanna definitiva intervenuta successivamente, il rapporto di lavoro di Sidagni con Agip Kco si è automaticamente risolto, così come previsto dalla normativa kazaka, mentre il rapporto di lavoro con Eni spa è entrato in regime di “sospensione”». L’Eni precisa: «Durante il periodo di detenzione Sidagni ha ricevuto continuo supporto da parte delle autorità diplomatiche italiane in Kazakhstan, in particolare con visite dell’ambasciatore, del console e del managing director di Agip Kco, nella sua veste di viceconsole onorario in Atyrau».
Il governo Berlusconi era stato tiepido sulla vicenda e Sidagni aveva lanciato accuse precise, nella lettera aperta del 31 luglio 2011: «Passati tutti i gradi di giudizio, e visto che il nostro ministero di Giustizia (all’epoca Angelino Alfano, ndr) non è favorevole per un “accordo ad personam” come richiestogli dal ministero degli Esteri, non mi resta che sperare nella grazia chiesta al presidente Nazarbayev, e nell’aiuto degli italiani». Anche la madre del dirigente Eni, Maddalena Cotti Sidagni, aveva scritto una lettera a Berlusconi, rimasta senza esito.
Buio anche con il governo Monti. L’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, dice di essersi speso per la vicenda: «La tutela dei nostri connazionali è sempre stata una mia priorità, anche in casi difficili come questo», commenta.

Qualcosa si muove. L’attuale ministro degli Esteri, Emma Bonino, dopo aver affrontato la vicenda Shalabayeva, ha preso in esame il caso Sidagni e si è attivata. «Dopo una lunga inattività sul nostro caso, ho scritto una dura mail, piena di insulti, al ministero, spedendola direttamente al ministro Bonino», dice il cugino di Sidagni, Paolo Gorlani. «Il giorno dopo siamo stati chiamati e qualcosa si è mosso. Abbiamo la sensazione che tra i due governi sia stato firmato un accordo che consente ai detenuti di scontare la pena nel proprio Paese, ma credo che debbe essere ratificato dai due parlamenti per entrare in vigore e se questo non sale nella priorità può richiedere anche anni».
La Farnesina conferma ufficialmente: «L’8 novembre 2013 ad Astana è stato firmato l’Accordo bilaterale per il trasferimento delle persone condannate che, una volta ratificato da entrambi i Paesi, potrebbe consentire, se Sidagni lo richiedesse tramite i suoi legali, il trasferimento del nostro connazionale in un penitenziario italiano». I nostri diplomatici seguono il caso: «Sidagni continua ad essere assistito dalla nostra ambasciata a Astana. Nel 2013 sono state quattro le visite consolari presso il penitenziario, l’ultima a ottobre 2013. E attraverso il carcere sono state scambiate circa 50 email».
Il cugino di Sidagni lancia un appello: «Speriamo che la vicenda Shalabayeva abbia smosso qualcosa, ci appelliamo alla sensibilità del ministro Bonino perché faccia ratificare in fretta dal nostro parlamento il trattato. Flavio è in treepidante attesa e in carcere gli è stata promessa la libertà condizionale da aprile in poi, per lavorare all’esterno». Quanto alle circostanze che hanno determinato l’arresto del cugino, Paolo Gorlani ipotizza: «Difficile dire se sia stato incastrato per qualche secondo fine legato alla sua attività, certo quell’irruzione fu molto strana…».
L’avvocato della famiglia Sidagni, Carlo Delle Piane, auspica: «Se si arrivasse a una rapida ratifica dell’accordo bilaterale, Sidagni avrebbe scontato già oltre metà della pena e, con un residuo inferiore a tre anni, in Italia sarebbe affidato ai Servizi Sociali».