Elisabetta Soglio, Sette 17/1/2014, 17 gennaio 2014
13.000 METRI QUADRI 500 CAMERE 660 POSTI MENSA BENVENUTI AL CAMPO BASE
Nell’Expo dedicata al tema del-l’alimentazione non si può certo scherzare col cibo e oggi gli operai sono decisamente soddisfatti. La pasta al forno è buona e abbondante, in alternativa c’è un risotto ai funghi meno scotto di quelli che di solito vengono serviti nelle mense. Chi non ha voglia di pesce (oggi va il filetto di nasello dorato) può proseguire con la tagliata di manzo e il menù si completa con le verdure, crude o al forno, la frutta e la torta. E pane, tanto pane. Vassoi pieni, quelli delle maestranze che stanno costruendo il sito di Expo: gente che ha bisogno di buttar giù calorie perché comincia a lavorare alle 6 e mezzo ed è lavoro duro, questo. Di quelli che quando arriva mezzogiorno, certo non puoi cavartela con un tramezzino. La mensa è un pezzo del Campo Base di Expo: una città nella città. Allestito per operai o impiegati e tecnici che sono lontani da casa e non potrebbero andare avanti e indietro ogni giorno, potrà ospitare anche le squadre che i vari Paesi partecipanti manderanno a Milano per costruire i loro padiglioni, già dalla prossima primavera, oppure i volontari che si alterneranno nei sei mesi dell’esposizione.
La città nella città, realizzata a un paio di chilometri dal sito vero e proprio (c’è una navetta che collega al cantiere) ha aperto i battenti all’inizio di dicembre: ci sono voluti dieci mesi di lavoro, 102 mila ore di montaggio delle costruzioni, comprese le opere civili, gli impianti e i parcheggi. Il risultato sono oltre 13 mila metri quadrati di area destinata a dormitorio, mensa, area ricreativa e lavanderia. Cinquecento posti letto in camerette singole, ciascuna dotata di un proprio bagnetto, una scrivania, l’impianto di riscaldamento e condizionamento autonomo, il collegamento wi-fi; sono stati previsti 660 posti mensa dove si può fare colazione, pranzare, cenare e c’è chi è pronto a scommettere che quando bisognerà correre ancora di più per rispettare la scadenza del maggio 2015 e si dovranno fare turni di notte, verrà chiesto di servire un pasto caldo anche a chi stacca all’alba. Per ingentilire i dormitori degli operai, che sono 14 edifici su tre piani, nei vialetti sono appena stati piantati alcuni alberi: l’effetto container in realtà un po’ rimane, ma l’obiettivo qui è garantire, anche se in strutture spartane, tutti i comfort possibili.
La struttura è articolata in diversi spazi: c’è la zona degli uffici, per i tecnici e i dirigenti di Expo, per i colleghi della Metropolitana Milanese che ha la direzione dei lavori, per l’impresa che ha vinto l’appalto della gestione del campo (la seconda impresa arrivata nella gara, in realtà: la prima si era poi scoperto che non aveva i requisiti richiesti e quindi si è perso un po’ di tempo fra carte e scartoffie e l’assegnazione è stata rifatta). La zona dei dormitori è divisa fra operai e dirigenti, quelli che hanno qualche metro quadrato in più e un letto con la testiera. E poi, oltre al centro medico e alla sala ricreativa con le due maxi tivù al plasma, c’è la grande area della mensa: il locale cottura con i bollitori, le friggitrici e l’abbattitore di temperatura; i locali per la preparazione degli alimenti, quello per il lavaggio di pentole e stoviglie, gli spogliatoi e i magazzini dove sono stipate le derrate secche, mentre quelle fresche arrivano ogni giorno. Dicevamo che, parlando di «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita», non si può scherzare col cibo: per questo la società che ha vinto l’appalto (la Dussmann) garantisce frutta e verdura biologiche, consegne a chilometro zero, carne di produzione italiana certificata, prodotti Igp e Dop. Ci sono menù etnici e vegetariani, c’è il percorso light per le impiegate che devono tenersi in forma e quello energy per i carpentieri, i ferraioli e i muratori che non hanno certo il problema della linea con le calorie che bruciano ogni giorno. Barbara Scalzo, che dirige la mensa, e Stefania Video, la responsabile, cercano di tenere tutto sott’occhio: bisogna accelerare lo “scodellamento”, perché gli operai hanno i minuti contati e non possono perdere tempo in coda, bisogna controllare i distributori dell’acqua (vietate le bottiglie di plastica, perché questa Expo vuole essere ecosostenibile), servono altri tappetini all’ingresso perché chi arriva dal cantiere ha le scarpe piene di fango e poi le raccomandazioni al personale: gentili e sorridenti, come è sempre Claudia Perez, la cassiera trentatreenne “felicemente single”, che lavorava come impiegata, poi è finita in mobilità e ora cerca un riscatto e una speranza in Expo.
A tavola si discute di come sta andando il cantiere: la preoccupazione maggiore resta quella delle condizioni del tempo, perché se piove qui si ferma molto e si rallenta tutto. Ivan Calimani, 31 anni e aspirante “project manager”, dopo la laurea era volato a Londra per realizzare il suo sogno, ma poi è tornato perché la crisi finanziaria del 2008 aveva travolto tutti e anche la possibilità di portare nella capitale britannica la fidanzata, oggi moglie e mamma della sua bimba. Lui è uno dei due che, con Daniel Lanzillotto, un gigante buono di 28 anni, segue come un’ombra Romano Bignozzi (ne parliamo in una delle schede) per il monitoraggio degli avanzamenti lavori. L’ottimismo è d’obbligo ma bisogna essere realisti e approfittare del sole: in cantiere questa mattina di fine dicembre si gela, il ferro arriva a 5 sotto zero ma ferraioli e carpentieri non perdono neppure un minuto. Alcune squadre lavorano a cottimo e, pur di finire la commessa, saltano il pranzo fintanto che non piove e quando proprio non ce la fanno più si siedono su un blocco di cemento del cantiere e mangiano lì. Ci sono molti giovani, ma anche teste già ingrigite sotto i caschetti di protezione. Giovanni Mozza, geometra di una delle ditte appaltatrici dei lavori, ha una lunga esperienza alle spalle: «Quando si apre un cantiere», sentenzia, «hai bisogno di giovani per la manovalanza, ma anche di gente che abbia esperienza, che sappia far andar le mani e sappia come organizzarsi».
Ultimi in mensa arrivano gli ingegneri: Guido Gramaglia dirige la squadra che sta mettendo i sottoservizi, quelli che hanno posato 100 chilometri di tubi in polietilene da cui passano luce, elettricità, telefonia, comunicazione dati. «Tutto bene, ingegnere?». «Lavoriamo sodo», dice lui che di corse ne ha appena finita una, con lo stadio nuovo della Juve. Arriva da Torino l’architetto Gianmaria Ferrero che è stato uno dei primissimi a trasferirsi a vivere al Campo Base: un suo collega viene tutti i giorni avanti e indietro in treno. Ma, tra le spese e la stanchezza, Ferrero ha scelto di prendersi una stanzetta qui. «Mi fermo un paio di notti, al massimo tre alla settimana», spiega, visto che lavora per Agenzia Torino 2006 e il suo è un contratto di consulenza. E alla sera, cosa si fa? Un giro a Milano o si resta al campo a guardare la tivù e chiacchierare con i colleghi? Ferrero sorride: «Lei non ha mai lavorato in un cantiere, vero? Dopo aver scarpinato tutto il giorno, essere stato al troppo freddo o al troppo caldo, dopo aver sopportato rumori di betoniere e ruspe, alla sera hai solo voglia di andare a dormire. Il libro che ho sul comodino è un soprammobile...». Vita di cantiere. Vita di Campo Base.
Elisabetta Soglio