Robert J. Shiller, Il Sole 24 Ore 17/1/2014, 17 gennaio 2014
MA L’EPOPEA DELLE «BOLLE» NON È ANCORA ALLE SPALLE
Se c’è una cosa che abbiamo imparato da quando la crisi finanziaria mondiale ha raggiunto il suo picco nel 2008, è che prevenirne un’altra sarà ben più arduo di quanto la maggioranza non creda. Prevenire la crisi non significa solamente ripensare le nostre istituzioni finanziarie secondo un’applicazione creativa dei principi della buona finanza, ma anche che politici ed elettori condividano la comprensione di quei principi.
Oggi, purtroppo, quella comprensione manca. Le soluzioni sono troppo tecniche per buona parte dell’informazione destinata al grande pubblico. E se alla gente piace sentire parlare di "mettere a freno" o di "punire" i leader finanziari, è meno entusiasta quando si tratta di chiedere di ampliare o migliorare la gestione del rischio finanziario. Ma da quando sono fioriti gruppi di interesse specifici intorno alle istituzioni e alle procedure esistenti, dobbiamo fare i conti con loro e gli aggiustamenti possibili sono minimi.
La crisi finanziaria ancora in atto è stata perlopiù generata dalla bolla immobiliare durata diversi anni (negli Stati Uniti i prezzi dell’immobiliare hanno toccato la loro punta massima nel 2006). Nel boom precedente la crisi, chi acquistava una casa era spinto a chiedere un grosso prestito per finanziare investimenti non diversificati, mentre i governi offrivano garanzie a chi concedeva i mutui ipotecari. Negli Usa ciò è avvenuto tramite garanzie implicite di asset della Federal housing administration (Fha), l’agenzia di supervisione immobiliare americana, e delle agenzie di prestito ipotecario Fannie Mae e Freddie Mac.
A una recente riunione del l’American Economic Association che ho presieduto a Philadelphia, i partecipanti hanno discusso della difficoltà di riuscire a far adottare ai governi di tutto il mondo delle riforme radicali. Nella sua relazione, Andrew Capli della New York University ha parlato della mancanza di interesse o di comprensione da parte dell’opinione pubblica sui rischi sempre più alti legati alla Fha che garantisce mutui privati sin dalla sua istituzione durante la crisi immobiliare degli anni 30.
Joseph Gyourko della Wharton School si è detto d’accordo con Caplin. Lo studio condotto da Gyourko nel 2013 conclude che la Fha, con un rapporto di leva finanziaria di 30 a 1 su mutui ipotecari con lo stesso rapporto di 30 a 1, è con l’acqua alla gola per decine di miliardi. Gyourko chiede che la Fha sia chiusa e sostituita con un programma di risparmio sovvenzionato che non cerchi di competere con il settore privato.Anche Caplinnel 2010 aveva detto alla Commissione Finanze del Congresso che la Fha correva seri rischi, mentre un anno dopo il commissario della Fha David Stevens, affermava davanti alla stessa Commissione: «Non avremo bisogno di un salvataggio». Lo studio di Caplin non era gradito dalle autorità della Fha che erano ostili a Caplin e si erano rifiutate di fornirgli i dati richiesti. Da allora la Fha ha sottostimato le perdite anno dopo anno, dicendo di essere in buona salute. Poi a settembre ha dovuto chiedere l’intervento governativo. Alla riunione di Philadelphia ho chiesto a Caplin del suo lavoro, a cominciare da Housing Partnerships, il libro del 1997 del quale è coautore, in cui proponeva di dare la possibilità ai proprietari di acquistare solo una parte di una casa, riducendo così il pericolo di esposizione. La sua idea innovativa, in pratica, potrebbe ridurre l’indebitamento dei proprietari. Ma nonostante fosse stato un mercato ipotecario fortemente indebitato ad aver alimentato la crisi 11 anni dopo, l’idea non aveva trovato terreno fertile. Perché no?, gli ho chiesto. Perché delle persone creative, seguite dai loro legali, non creano partnership? La risposta è complessa, mi ha spiegato Caplin, ma c’è un ostacolo, almeno negli Usa, è il rifiuto da parte dell’Internal revenue service, l’agenzia fiscale, di anticipare come verrebbe tassato questo tipo di accordi. E in mancanza di certezze, a nessuno viene voglia di fare il creativo.
Al tempo stesso c’è un forte bisogno da parte degli americani di avere delle risposte dal Governo per prevenire un’altra crisi e mettere fine al problema delle istituzioni finanziarie "troppo grosse per fallire". Ma la realtà politica è che le autorità governative non hanno le competenze e gli incentivi sufficienti per imporre delle riforme. Per esempio, una riforma adottata negli Usa per impedire il problema del "troppo grosse per fallire" è la misura sulla riduzione del rischio prevista dal Dodd Frank Act, nel 2010. Per essere sicuri che i cartolarizzatori di mutui concorrano al rischio, devono mantenere una partecipazione del 5% dei titoli ipotecari che creano (a meno che non abbiano a un’esenzione). Ma in un’altra relazione, Paul Willen della Federal Reserve Bank di Boston ha detto che imporre una restrizione del genere da parte del Governo non è il modo ottimale per far funzionare i mercati. Gli investitori sanno già che la gente è più incentivata a rischiare se ha qualche partecipazione, ma anche che, in casi particolari, altri fattori possono controbilanciare i vantaggi del contenimento del rischio. Il Governo non sa da che parte girarsi.
La riforma del mercato immobiliare deve ridurre la pressione sui proprietari e la mancanza di diversificazione. Nella relazione presentata alla riunione, sono tornato sull’idea che il governo incoraggi i mutui privati a condizioni agevolate, tutelandoli così dalla malaugurata eventualità di finire strozzati da un ribasso dei prezzi dell’immobiliare. Questa, come la partnership immobiliare proposta da Caplin, sarebbe una riforma fondamentale perché affronterebbe il cuore del problema che sta alla base della crisi finanziaria. Ma per una riforma del genere manca la spinta da parte dei gruppi di interesse o dei mezzi di informazione.
Un altro relatore, Joseph Tracy della Federal Reserve Bank di New York (coautore di House of Partnerships), ha riassunto il problema in poche parole: «Spegnere un incendio fa più scena che prevenirlo». La maggior parte della gente trova più interessanti le storie di incendi della chimica dei prodotti ignifughi, le storie dei crac finanziari delle misure necessarie per prevenirli. E questa non è la ricetta per un lieto fine.
(Traduzione di Francesca Novajra)