Anna Tarquini, l’Unità 16/1/2014, 16 gennaio 2014
«STO MORENDO IN CARCERE» AVVIATO L’ITER PER LA GRAZIA
«Spero non sia troppo tardi» dice ora Maria Cacace ringraziando Napolitano. È sicuramente troppo tardi, ma non così tardi per una morte dignitosa. E suo figlio, Vincenzo Di Sarno, malato terminale, rinchiuso da cinque anni nel carcere di Poggioreale per omicidio, adesso l’avrà. Voleva solo questo, morire, ma non in carcere. Poche righe scritte a mano. Con uno stampatello stentato perché si muove male: «Illustrissimo signor Presidente, faccio appello a Lei perché oramai sono allo stremo delle forze sia fisiche che mentali....non chiedo la grazia, mi conceda la pena di morte, mi conceda l’eutanasia». Napolitano e Vincenzo si erano già incontrati. Pochi mesi fa, in settembre. Il presidente era in visita ufficiale al carcere di Poggioreale e lui era dietro le sbarre, su una sedia a rotelle, sbilenco. Tanto malconcio che il Capo dello Stato si era voltato verso una guardia: «Trattatemi bene questo ragazzo». Poi più nulla, e quella che sembrava una speranza era tornata tale sullo scoglio della burocrazia penitenziaria. Un iter lungo, finito ieri quando quella lettera ieri è finita sulla scrivania del Quirinale ha sbloccato tutto, miracolosamente. «Spero che sia l’esame della richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena – è la nota del Quirinale – sia la procedura per la grazia siano condotte in tempi commisurati alla gravità delle condizioni di salute di Vincenzo Di Sarno. Pur consapevole che il reato commesso dal detenuto in questione è stato fonte in altri di dolore che merita rispetto e considerazione».
Il carcere di Poggioreale ha concluso l’istruttoria e inoltrato tutti gli atti al tribunale di sorveglianza di Napoli, a cui compete la decisione sull’istanza di sospensione della pena, in meno di 24 ore. Grazie a Napolitano. Sì perché quella di Vincenzo Di Sarno, 35 anni, è una storia esemplare, ma anche lo specchio di quanto avviene quasi ogni giorno dentro le carceri italiane. Condannato a 16 anni per omicidio, una rissa in piazza Garibaldi a Napoli durante la quale uccise un extracomunitario, da poco meno di cinque anni è in carcere, non si è però mai opposto alla detenzione, nemmeno sapendo di essere malato. Ne ha mai chiesto la grazia. Sono dieci anni che Vincenzo soffre di un tumore cervico-midollare, una malattia che lo sta consumando e che per la sua gravità richiederebbe controlli e cure assidue. È stato operato già due volte, ma in tutti questi anni, o almeno fino a pochi mesi fa, Vincenzo era stato tenuto insieme agli altri, in celle sovraffollate, senza alcuna assistenza specifica. Quando è entrato carcere pesava 115 chili, adesso ne pesa 53. Il suo caso è già da tempo all’attenzione del Dap e del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, ma senza esito. Solo pochi mesi fa, Vincenzo è stato trasferito al padiglione clinico San Paolo. «Doveva andare in ospedale già un mese fa dice ora la madre – Non vorrei che fosse tardi. Anche se è già qualcosa rispetto al silenzio che è calato sulla nostra vicenda e mi fa piacere che il presidente si sia interessato. Ma bisogna fare presto».
Cosa è accaduto in questi mesi lo ha poi spiegato la Presidenza della Repubblica. «La prima domanda di grazia era stata presentata dalla madre del detenuto il 12 settembre 2013, mentre la condanna del figlio non era ancora definitiva e dunque non poteva in ogni caso essere oggetto di esame per l’eventuale provvedimento di clemenza. L’avvio dell’istruttoria su una successiva domanda è stato quindi possibile presso il ministero della Giustizia soltanto dopo il 19 novembre 2013». Venerdì Vincenzo di Sarno riceverà la visita del sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Beretta. E si spera che l’iter per la sua scarcerazione sia breve. «Purtroppo non è l’unica situazione – dice amaro il cappellano di Poggioreale –. Diciamo che questa è quella più appariscente. Lui è stato spostato, dopo la lettera a Napolitano, al centro clinico. Ma è sempre una cella e comunque i detenuti ci restano chiusi per 22 ore al giorno».