Giacomo Amadori, Libero 16/1/2014, 16 gennaio 2014
«PAGHE DA FAME E CONTROLLI SIAMO I CINESI DI FARINETTI» [2
pezzi] –
«La vita è troppo breve per lavorare male e guadagnare peggio». All’ombra delle cappelle medicee la ragazza con i capelli mossi e il visino rassegnato parafrasa una delle frasi a effetto esposte nei tanti punti vendita di Eataly. Poco importa se invece per il gaudente inventore del marchio per gourmet, Oscar Farinetti, l’esistenza sia troppo corta per «mangiare e bere male». Un punto su cui Gaia sarebbe pure d’accordo. Lei è vegana da oltre vent’anni, ha un uliveto dove produce il suo olio, ha un orto. Davanti a un bicchiere di vino rosso parla del suo vecchio amore, la storica libreria Martelli di Firenze, già Marzocco e prima ancora, ai tempi di Collodi, Bemporad. Ha fatto per una vita la libraia e poi per quasi un mese, tra novembre e dicembre, la commessa di panetteria a Eataly, negli stessi locali dove un tempo c’erano i «suoi» scaffali. Lei e altri cinque colleghi erano stati riciclati. L’ex direttore della libreria oggi vende pane e ha più di cinquant’anni, ma è contento così perché qualcuno gli ha dato la possibilità di ripartire alla sua età. Per quanto a cinquecento euro al mese. Tutti assunti a tempo con contratti del turismo. Con il livello più basso. Sotto questo scalino della scala sociale ci sono solo i cinesi di Prato, gli sfruttati in nero e i disoccupati.
Dal bilancio di Eataly distribuzione del 2012 apprendiamo che tra gli oltre cinquecento dipendenti dell’azienda non esistono né quadri né dirigenti. Tutti operai, salvo una manciata di impiegati. Il monte salari nel 2012 è stato di 21,1 milioni di euro, in pratica una media di 40 mila euro lordi per ognuno dei 525 assunti. Uno stipendio che diviso per quindici fa circa 2.679 euro lordi al mese, poco più di mille euro netti a testa. Esattamente le paghe che sbandiera Farinetti. Il massimo offerto dalla ditta. Poi ci sono loro, i quasi invisibili della corsia, i paria del bancone. Sono i part-time assunti a tempo determinato, magari attraverso le agenzie di lavoro interinale. Un esercito che fa schizzare il numero dei dipendenti a 3 mila unità. Gaia non serba rancore, ma dopo neanche un mese si è licenziata, sebbene fosse una di quelle fortunate che non era passata dall’inferno del lavoro a cottimo, 30 giorni alla volta. No, lei aveva avuto l’onore di un contratto da sei mesi: 500 euro e rotti per venti ore settimanali. Con turni spalmati su sei giorni. Quindi praticamente impossibile portare avanti altri progetti. L’ex libraia, da poco quarantenne, non ha retto: «Non si può vivere con quegli stipendi da fame, avendo tutta la settimana impegnata». Farinetti predica con convinzione flessibilità, perché in questo momento il mercato chiede questo. Piuttosto che fare contratti da 24-30 ore, preferisce investire in straordinari, extra su cui i lavoratori, però, devono pagare le tasse. «Con questa logica è ovvio che non si pagano mutui e neppure gli affitti», riflette Gaia.Che per sua fortuna ha un tetto di proprietà. «Altri, meno fortunati di me, sono costretti ad accettare le condizioni di Farinetti ». O meglio di Oscar (ha il vezzo di farsi dare del tu pure dai dipendenti) che nei suoi negozi mette in vendita «cibi alti» per portafogli ben imbottiti. Più gonfi di quelli dei suoi operai. I quali, nei negozi del centro-sud (chissà perché), vengono perquisiti prima di uscire. Sul punto Gaia aveva già detto la sua su un forum: «Non mi stupisce che i commessi debbano “dichiararsi” all’uscita e far controllare le borse: con gli stipendi che ricevono nessuno di loro potrà mai permettersi un’intera spesa da Eataly. Trovo più che legittima la preoccupazione della direzione riguardo ai furti dei dipendenti (evidentemente i clienti non destano un egual timore, è evidente che i loro stipendi o pensioni o rendite sono di ben più ampia portata)». «Là dentro si respirava un brutto clima. Sin dall’inizio. Io e una mia collega, con due figli piccoli, siamo state chiamate all’improvviso per andare a fare la formazione a Roma. Ci hanno dato un preavviso minimo e ci hanno detto di portarci molti vestiti perché avremmo potuto fermarci da una a tre settimane. Nessuno si è preoccupato di chiederci se avessimo famiglie, impegni, visite mediche». Neanche l’apprendistato è stato dei migliori. I ragazzi erano sempre tesi, timorosi, sotto esame. Un giovanotto della sicurezza venne ripreso per una battuta sulle scarpe di una cassiera. «I dipendenti hanno paura persino a salutare un amico per non apparire lavativi. Là dentro regna la diffidenza verso il prossimo». Gaia ricorda che a fine giornata il pane veniva pesato e la pizza buttata. «Domandai perché non venisse lasciata a chi lavorava di notte, risposero che bisognava gettarla e basta. Evidentemente temono che in caso contrario i pizzaioli inizierebbero a produrre più pizze del necessario». Sui montacarichi c’erano cartelli beffardi che invitavano a fare le scale per risparmiare la palestra: «Quella ve la facciamo fare noi», c’era scritto.
A Eataly le norme igieniche sono ferree, niente gioielli (tranne la fede), niente unghie finte, niente trucco pesante. E fin qui si può capire. Ciò che l’ex libraia non ha mandato giù è stato il listino prezzi dei capi della divisa e i consigli per un buon lavaggio. Alla fine del rapporto lavorativo i dipendenti devono restituire tutto, comprese le magliette da 3,5 euro, i cappellini da 3, le cuffie da 6. Quando si parla di tshirt la donna si incupisce, visto che ad alcune ragazze ne facevano indossare alcune piene di doppi sensi, magari ideati dal patròn burlone. Un ambiente in cui tutti dovevano far buon viso e mostrarsi allegri. «Mi sentivo come dentro a un Truman show». Gaia ha conosciuto Farinetti personalmente, durante un incontro un po’carbonaro in Comune con i lavoratori della gloriosa Martelli: «”Io voglio gente che si faccia il culo” ci disse. “Garantisco colloquio e assunzione in prova per tutti». Ma la conferma per molti si è rivelata una chimera. Come spiega Paola sul sito Dissapore: «Farinetti dice: “Entro due anni assumiamo tutti?”. Il mio compagno ha lavorato a Torino con contratto a tempo determinato che gli è sempre stato rinnovato per 2 anni consecutivi». Prima attraverso un agenzia di lavoro interinale poi propri da Eataly. Il ragazzo non aveva orari, ma sopportava la fatica, visto che il suo ex capo, nonché socio di Eataly, gli aveva promesso la sospirata «assunzione a tempo indeterminato». Continua Paola: «Gli avevano detto “costituiremo una squadra”. Invece è stato licenziato dopo aver lavorato a Torino e hinterland, Monticello, Genova, Bologna per non parlare di Fontanafredda (l’azienda vinicola di Farinetti) e del velista Giovanni Soldini (con cui Oscar ha attraversato l’oceano, ndr) che lo aspettava al porto di La Spezia». Una disponibilità da sherpa che non gli è servita a nulla.
«CON QUELLO STIPENDIO NON VIVI MA LA FLESSIBILITÀ È NECESSARIA» –
Signor Farinetti, il magico mondo di Eataly non sembra piacere a tutti i suoi dipendenti.
«Su 3 mila lavoratori lei può trovarne qualche decina che parla male di noi. C’è sempre qualche scontento. In realtà Eataly è un bell’ambiente, c’è grande armonia».
Gli scontenti dicono che fate contratti da 500 euro al mese e che con quei soldi non si vive.
«Li capisco. Ma quei 500 euro per 20 ore, sono i mille euro netti al mese per il tempo pieno che ora sono il massimo che posso offrire. In Italia per pagare questa cifra, rispettando i contratti nazionali, il datore di lavoro sborsa 2.500 euro»
Ma non potreste assumere un lavoratore per 40 ore anziché due per 20?
«Oggi non è possibile farlo con tutti. Abbiamo i pranzi, le cene, i giorni di punta. In tutto il mondo nel settore del retail e in particolare in quello della ristorazione bisogna agire così. Bisogna attenersi al mercato. Che richiede orari strani, non possiamo farci niente. E così una parte di lavoratori serve a fronteggiare le fasi in cui c’è più gente. Occorre flessibilità».
Nel 2012 non avevate né quadri né dirigenti.
«Forse neanche oggi abbiamo un dirigente. Da noi vige la regola che nessuno può guadagnare più di 5 volte dello stipendio più basso. All’inizio avevo messo anche un’altra regola: che nessuno può percepire più di mille euro netti. In linea teorica. In realtà ora c’è chi guadagna di più 1.500, 1.700, 2 mila euro al mese. Qualcuno arriva a 3mila. Sono i macellai, i salumai, i panettieri, gente che si fa il mazzo. La verità è che diamo stipendi più alti della media, paghiamo la quindicesima, investiamo i guadagni nell’azienda, diamo premi ai fornitori più in difficoltà, ci sbattiamo per comportarci bene».
Su Internet non tutti sono d’accordo.
«Se lei va a caccia di critiche sulla Rete trova quello che vuole. Quando il Fatto mi ha attaccato molti giornalisti mi hanno mandato sms per dirmi che prendono 20 euro ad articolo. Queste campagne di fango non fanno bene a Eataly, ma neanche al Paese».
È vero che perquisite i dipendenti per controllare che non rubino?
«Abbiamo fatto le perquisizioni a Roma e Bari perché ci sono stati dei furti, ma adesso, visto che non sta bene, faremo controlli a campione e poi li annulleremo. In Italia il furto è in ascesa e non possiamo permettercelo. Sembra quasi che chi cerca di non farsi derubare, sia peggio di chi ruba».