Filippo Facci, Libero 16/1/2014, 16 gennaio 2014
ECCO LA KYENGE, IL NULLA ASSOLUTO MA È VIETATO CRITICARLA
La domanda è: come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo? Meglio: com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra? Meglio ancora: è possibile che il sospetto di un processo alle intenzioni debba ogni volta oscurare le inerzie del ministro? Questo non è più un dibattito da terze pagine o un evergreen per talkshow in crisi, un problema concreto e politico che investe il governo e nondimeno una sinistra che molti imbarazzi li condivide in silenzio. Il ministro dell’Integrazione è competente anche sulle adozioni e soprattutto sulle Politiche giovanili di questo Paese, ma in tema di bilanci il discorso vira sempre sul razzismo o semplicemente si parla d’altro, magari di un altro ministro al quale fare le pulci di continuo - talvolta per autentiche sciocchezze - sottoponendolo a uno screening continuo ma, beninteso: democraticamente previsto. E però il discorso non vale per la Kyenge.
AUTOREFERENZIALE
L’assioma l’ha ben espresso lei stessa in un’intervista su Repubblica di ieri: dimissioni? «Sarebbe la vittoria di chi mi ha sempre attaccato. E questa è una battaglia che riguarda tutti, non solo la mia persona». Quindi le sue dimissioni sarebbero una vittoria dei razzisti - parlava di loro, perché nell’intervista non parla d’altro - e se dovesse dimettersi sarebbe una sconfitta nostra, più che sua: la possibilità che lei possa lasciare per inadeguatezza tecnica e pratica non è contemplata, del resto non è, la sua, l’azione di un ministro in tempo di crisi: è «una battaglia».
Forse avrebbe anche ragione se fosse, anziché il ministro di un governo d’emergenza, soltanto la testimonial antirazzista che si sta indubbiamente dimostrando: è ciò di cui, più o meno esclusivamente, abbiamo notizia. Convegni, presentazioni di libri, cittadinanze onorarie raccolte in tutta Italia, interviste imbarazzanti - su tutte quella di ieri - in cui spiegare che la democrazia sta morendo causa attacchi a lei medesima e che occorre promuovere appelli alle Nazioni Unite. Gad Lerner, poco tempo fa - e lo citiamo per paracularci essendo lui di sinistra, ma in teoria sbagliamo - ha ammesso che l’azione legislativa e amministrativa per migliorare la condizione degli immigrati è «completamente paralizzata»: ed è solo un esempio, il suo, delle molteplici accuse di immobilismo mosse al ministro da qualche mese, anche se mosse perlopiù da destra. Bene: a parecchi mesi dal suo mandato, ieri, la risposta del ministro è stata questa: «Stiamo andando verso l’uccisione della democrazia. Nessuna forza politica può più tollerare questo razzismo strisciante... Mi rivolgo alle istituzioni italiane, ma anche europee e delle Nazioni Unite: bisogna rafforzare urgentemente tutti i programmi contro il razzismo». Le questioni di merito che non attengono al razzismo - questioni di cui si occupava il suo predecessore Andrea Riccardi, per dire - sono liquidate in poche righe in fondo all’intervista: il ministro ha detto che quello sulla clandestinità «è un reato inutile» e che, per quanto riguarda i centinaia di profughi accampati in un palazzo romano, «il governo ha recepito le direttive europee in materia e si arriverà a un testo unico sull’asilo». Scusi se gliel’abbiamo chiesto.
IL MERLO FURIOSO
Ora: sappiamo benissimo che l’intervista era a strascico della polemica - rovente - sorta dopo la pubblicazione sulla Padania dell’agenda coi prossimi appuntamenti pubblici del ministro, agenda che pure è stata meramente copiata dal sito ministeriale. Non ci interessa la polemica: è chiaro che La Padania l’ha riportata a titolo provocatorio (anche se, formalmente, ha solo riportato un’agenda pubblica) ed è chiaro che il processo alle intenzioni nel caso appare giustificato: l’hanno già scritto tutti e non lo ripetiamo. Ma vogliamo parlare della reazione di Repubblica? Ieri il siciliano Francesco Merlo ha scritto un editoriale lunghissimo contro la Lega nordista («L’ossessione dei nuovi barbari») e l’ha condita di un odio personale e politico che sinceramente non ci scandalizza, ma non c’è dubbio: c’è. Merlo ha scritto di «punto di non ritorno della barbarie, «gagliofferia ridotta ormai a una minoranza di violenti», «nocciolo duro della xenofobia», «gang di bulli squinternati» coi loro «deliri alcolici» (parlava di quattro esponenti leghisti tra i quali una donna e dei parlamentari) e ancora «spasmo bilioso» e «sacca di marciume». Francesco Merlo, poi, individua un parallelo tra la pubblicazione dell’agenda ministeriale sul quotidiano leghista e il blog di Grillo, che «è stato attrezzato come plotone d’esecuzione con il giornalista Travaglio nel ruolo qui interpretato dalla direttrice della Padania». Non solo. C’è anche un nesso tra tutto questo e «le minacce orribili dei No Tav e il senatore del Pd Stefano Esposito e al cronista della Stampa Stefano Numa... le minacce degli animalisti ai ricercatori scientifici, sino agli insulti a Caterina Simonsen affetta da una malattia genetica». Tutto questo, o meglio la rubrica della Padania sulla Kyenge, «simula e surroga il temibile passo cadenzato». Il nazismo, o giù di lì. Merlo, poche righe addietro, aveva parlato di «giornalismo usato come manganello».
NOMINA «ETNICA»
Ne derivano due cortesi domande che gli rivolgiamo. La prima è se il suo articolo, e il linguaggio che adotta, debbano essere ritenuti estranei a tutto questo; se lui, cioè, pensi di giocare in un altro campionato. Tutto può essere. In caso affermativo, dunque, gli chiediamo se pensa che tutto dipenda soltanto dal soggetto che muova la critica o il manganello: chi, da dove, contro chi. Di difendere i leghisti non ce ne frega niente: al diavolo anche loro e le loro rubriche e i loro circenses. Ma gli altri? La domanda resta: come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo? Meglio: com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra? Il problema esiste anche e soprattutto per un dettaglio: a Repubblica e altrove, tutto questo non lo fanno. La Kyenge, su Repubblica, non si può criticare anche se è un ministro imbarazzante: piuttosto le dedicano un’intervista e un lungo editoriale come quello di Merlo, un signore che in centinaia di righe non ha neppure il fegato - e l’autorizzazione - di aggiungere una banalissima verità: che Cécile Kyenge sarà pure un buon testimonial contro il razzismo, ma è un ministro della Repubblica che è stata nominata essenzialmente perché è nera e che non si può rimuovere per la stessa ragione. Ora: Merlo può dirci i luoghi corretti dove possiamo pensarlo, dirlo e magari addirittura scriverlo: magari in compagnia di tanti colleghi e politici - addirittura ministri - che la pensano nello stesso modo ma debbono tacere, perché mica è in gioco un ministro scarso e un pizzico paraculo, macché, è in gioco la democrazia e il ruolo delle Nazioni Unite e tutte le cazzate evocate per colpa di una rubrica sulla Padania. Merlo, dalla gabbia in cui è intrappolato, ci faccia sapere.