Annalisa Chirico, Il Tempo 16/1/2014, 16 gennaio 2014
NICCOLÒ POLLARI: «TUTTI SANNO LA VERITÀ E MI HANNO PERSEGUITATO»
Non basta una cioccolata calda ad addolcire i pensieri. Per quanto Niccolò Pollari ponderi ogni parola con lo sguardo imperturbabile che lo contraddistingue, il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato la sua condanna per l’«extraordinary reddition» dell’Imam Abu Omar, il timbro della sua voce tradisce una sconfinata amarezza. «Sono un uomo di legge, abituato a rispettarla e a farla rispettare. Ho fiducia negli organi che la applicano e ne sono interpreti. Era per me difficile ritenere che si potesse pervenire a una conclusione diversa in presenza di una verità che emerge per tabulas e che è perfettamente nota a tutte le autorità di governo».
Quattro governi - Prodi, Berlusconi, Monti e Letta - hanno apposto il segreto di Stato. Ora la Consulta dà ragione a loro ribadendo che è prerogativa degli esecutivi delimitare i confini del segreto di Stato e che i magistrati devono rispettare le decisioni in merito.
«Seppure abbastanza disomogenei, gli esecutivi avvicendatisi nel tempo, alla luce della verità da essi custodita, mi hanno impartito e confermato l’obbligo di opporre il segreto di Stato per ragioni che tutti i governi hanno ritenuto essere di salvaguardia della sicurezza nazionale o, se vuole, più ampiamente della salus rei publicae. I conflitti di attribuzione da loro sollevati sono la materiale espressione di ciò. Sul piano umano probabilmente avrei apprezzato che chi aveva contezza della verità dei fatti potesse anche riferire all’opinione pubblica un qualcosa del seguente tenore: "Quest’uomo dice la verità". Ma ciò appartiene alla libera scelta di ciascuno e non costituisce obbligo di legge».
Negli ultimi 10 anni lei è stato oggetto di una campagna mediatica martellante. Negli anni caldi della guerra al terrorismo lei è diventato il bersaglio di un’ondata più ampia di antiamericanismo e antiberlusconismo. Si è mai sentito «tradito» dal suo Paese?
«Il fatto che vi siano stati i conflitti di attribuzione e che la Consulta li abbia accolti è la palmare evidenza che nessuno mi ha abbandonato. Devo anche dire però che una vera democrazia dovrebbe evitare che questioni di interesse generale possano essere ricondotte a un singolo funzionario pubblico, quasi che si trattasse di sue questioni private. Non credo sia concepibile far conto, oltre che sulla fedeltà istituzionale, anche sulla sua tenuta psicologica quando la posta in gioco è l’interesse del Paese. Forse andrebbero attivati altri meccanismi di supporto che nel pieno rispetto della legge valgano a evitare che singole persone debbano sostenere, sostanzialmente da sole, un tale onere con il disagio morale e materiale che ciò comporta».
Che Paese è quello che condanna al carcere dei servitori dello Stato e trasforma in un martire l’egiziano dai mille enigmi, che è a piede libero in Egitto e che il gup di Milano ha recentemente condannato per terrorismo a sette anni di carcere?
«Le rispondo a mia volta con una domanda: che Paese è quello che si esercita nel perseguire persone notoriamente e provatamente innocenti che hanno operato a difesa dello Stato senza commettere abusi né reati? Com’è noto ai quattro governi, io e il Sismi da me diretto non solo siamo totalmente estranei ai fatti oggetto del processo, ma li abbiamo impediti quando ne siamo venuti a conoscenza».
Rimane un dato inspiegabile. La Digos di Milano interrompe i pedinamenti nei confronti di Abu Omar pochi giorni prima del sequestro. Eppure i magistrati si impuntano sul Sismi senza mai approfondire la pista che coinvolge la polizia.
«Sono abituato a parlare delle cose che conosco e che mi riguardano. Certo è che anche io ho letto gli atti processuali».
La sua famiglia ha tirato un sospiro di sollievo?
«La mia famiglia ha sopportato, o meglio patito, quanto accaduto pagando prezzi altissimi in termini morali, fisici e di sicurezza personale. Qualche anno fa qualcuno ha commesso un furto nello studio del nostro medico trafugando soltanto le cartelle mediche delle mie due figlie. È questo il clima che abbiamo respirato in tutti questi anni. Nessuno ha tenuto nel debito conto che additarmi come responsabile del sequestro di un musulmano - cosa che è avvenuta decine di migliaia di volte - avrebbe comportato rischi concreti, minacce di morte, inserimento nella lista dei morti che camminano. Eppure era tutto facilmente immaginabile. Mi domando se sia lecito esporre con disinvoltura una persona a tutto questo».
I tentativi di delegittimazione a suo carico proseguono. Anche di recente Repubblica l’ha tirata in ballo in una vicenda in cui non ha alcun ruolo, soltanto per un fatto di conoscenza.
«È più che evidente che l’azione di delegittimazione presenti molte facce. Mi limito a riferire due aspetti. Sempre ciò che è stato riferito a mio carico si è dimostrato destituito di fondamento o fortemente inesatto se non addirittura falso. Talvolta il mio nome è stato evocato in luogo di altri nomi, spesso strumentalizzando conoscenze occasionali e proiettando su di esse farneticanti illazioni. Chi ha fatto il mio mestiere nella Guardia di Finanza, nella polizia giudiziaria e nei servizi di informazione può aver avuto contatti anche con il demonio per precisi doveri d’ufficio. Quello che conta è la trasparenza e la scrutabilità di tali evenienze. Quando ciò si è verificato io ho sempre ritenuto mio dovere interessare formalmente l’autorità di governo competente e seguirne le direttive. Nulla è affidato solo alle mie parole ma di tutto vi è traccia documentale».
Generale, lei oggi ha superato il giro di boa dei 70 anni. Una spia anela alla quiete senile?
«L’unica cosa che mi importava era che mio padre 99enne potesse assistere a un esito positivo della vicenda. Lui è ancora vivo e ha appreso quanto è avvenuto. Per il resto, continuerò a fare quello che faccio finché Dio me ne darà le forze».