Tonia Mastrobuoni, La Stampa 16/1/2014, 16 gennaio 2014
GLI SCHIAVI DELLA DDR COSTRETTI ANCHE A DONARE IL SANGUE
La Croce Rossa si è scusata. Aldi e Volkswagen hanno puntualizzato che mai avrebbe immaginato che i lavoratori impiegati per fabbricare centraline elettriche o collant al di là della Cortina di ferro fossero dei prigionieri. Ma intanto lo scandalo che ha riunito in segreto le due Germanie per almeno un ventennio, ha inquietanti analogie con il passato.
Una macchia orribile, per il Paese che ha partorito i campi di lavoro e di concentramento, dove negli anni di Hitler miriadi di detenuti vennero sfruttati per garantire manodopera gratuita ai colossi dell’industria tedeschi. Uno studio ha dimostrato che la storia, evidentemente, ha insegnato poco, anche a quei comunisti che costruirono la Germania Est in dichiarata opposizione agli orrori del nazismo.
Negli Anni 70 e 80, innumerevoli detenuti delle carceri della Turingia e della Sassonia, dunque sotto il regime di Honecker, sono stati sfruttati da aziende della Germania Ovest per produrre beni a costi risibili. E persino costretti a donare il sangue che veniva venduto all’estero, anche alla Croce Rossa bavarese.
I detenuti, molti dei quali politici, sono stati obbligati per decenni a produrre mobili per multinazionali come Ikea, a costruire componenti per Volkswagen o a fabbricare macchine fotografiche o altri prodotti per miriadi di centri commerciali come Karstadt, per aziende come Neckermann che vendono attraverso cataloghi - un genere popolarissimo in Germania - o per ipermercati come Aldi. La notizia è emersa da uno studio del Btsu, dell’istituto di studi sugli archivi della Stasi, non ancora pubblicato, ma anticipato dall’emittente televisiva «Ard».
L’autore, Tobias Wunschnik, ha scoperto che a Graefentonna, in Turingia e a Waldheim, in Sassonia, ai carcerati veniva prelevato il sangue, spesso a forza - tanto che molte infermiere si rifiutarono di farlo - per essere venduto al di là della Cortina di ferro. Motivo: nella Germania comunista si stava spargendo la voce che il regime di Honecker stesse esportando sangue donato dai cittadini: il business continuò, dunque, in incognito, attraverso i prelievi forzosi imposti ai detenuti.
Ma nel saggio si parla soprattutto di manodopera, sempre delle prigioni della Germania comunista, sfruttata da numerose imprese occidentali per produrre merci del valore di circa 200 milioni di marchi all’anno, secondo una stima che Wunschnik ha definito «molto cauta», parlando con il quotidiano berlinese «Tagesspiegel». Aldi ha ammesso di aver approfittato dei lavoratori a bassissimo costo, ma ha aggiunto di non essere stata al corrente che si trattasse di prigionieri sfruttati dal regime. Stessa musica per Vw, accusata di essersi fatta costruire componentistica nella fabbrica di Ruhla.
In tutto sono 250 le fabbriche della Ddr che avrebbero impiegato detenuti per prodotti esportati e venduti attraverso catene occidentali come Karstadt, Hertie, Horten, Kaufhof, Kaufhalle, Woolworth, in sostanza tutti i principali centri commerciali tedeschi. Ma i prigionieri avrebbero anche fabbricato televisori, motociclette, macchine per scrivere o altri beni per famose ditte che vendono prodotti attraverso cataloghi come Quelle o Neckermann e mobili per Ikea o altre imprese tedesche come Steinhoff e Hess.
I prigionieri non solo guadagnavano molto meno dei loro colleghi liberi con cui lavoravano gomito a gomito, e dovevano lavorare molte più ore di loro, ma venivano spesso isolati e costretti a utilizzare le macchine più vecchie e a esporsi a prodotti e strumenti pericolosi. Ora le organizzazioni che si occupano delle vittime della Sed, del partito comunista della Ddr, ma anche il capo dell’archivio della Stasi, Roland Jahn, chiedono risarcimenti per gli ex detenuti. E Jahn ha parlato, a proposito dei nomi venuti fuori sinora, della «punta dell’iceberg».