Maurizio Molinari, La Stampa 16/1/2014, 16 gennaio 2014
GAS ISRAELIANO E GREGGIO SIRIANO IL RISIKO DI PUTIN NEL MEDITERRANEO
Sigla accordi con Siria e Israele, corteggia il Libano e Cipro, ammonisce Ankara e fa concorrenza ai petrolieri texani: protagonista della corsa al Bacino del Levate è la Russia di Vladimir Putin, intenzionata a costruire attorno ai giacimenti di gas e petrolio un rafforzato ruolo strategico in Medio Oriente.
Le stime del «Geological Survey» degli Stati Uniti assegnano al Bacino del Levante nel Mediterraneo Orientale risorse pari a 3,5 trilioni di metri cubi di gas e 1,7 miliardi di barili di greggio ovvero una quantità capace di «alterare la dinamica energetica regionale - secondo un rapporto pubblicato dall’Agenzia per l’energia Usa - facendo nascere un’area esportatrice». Se le scoperte di giacimenti sono iniziate nel 1999 è negli ultimi mesi che Mosca ha accelerato i tentativi di siglare accordi con i Paesi rivieraschi al fine di poter avere voce in capitolo sui progetti di sfruttamento. Il primo ha visto il gigante Gazprom impegnarsi a investire 5 miliardi di dollari per realizzare un impianto galleggiante di estrazione ed esportazione del gas dal giacimento israeliano Tamar al fine di indirizzare queste forniture verso i mercati asiatici scongiurando così il rischio di vederle arrivare in Europa per competere con il gas venduto dalla stessa Russia.
Il gas presente nelle acque israeliane - dove oltre a Tamar vi sono altri giacimenti - ha un valore stimato di 280 miliardi di dollari e sebbene siano i texani di Noble Energy ad averli in gran parte identificati l’accordo siglato da Gazprom consente al Cremlino di essere al momento il maggior cliente potenziale di un volume di esportazione stabilito da Gerusalemme nel 40 per cento del totale annuale di estrazione. A Cipro, assicura il ministro dell’Energia Yiorgos Lakkotrypis, le risorse di gas hanno un valore di circa 50 miliardi di dollari ma la posizione geografica vale assai di più perché è grazie all’intesa con Nicosia che Gerusalemme potrebbe esportare verso la Grecia e l’Europa.
Ecco perché quando Ankara ha minacciato Cipro, avanzando rivendicazioni sulle acque dove si trova il gas, Mosca ha reagito spostando una portaerei e un sottomarino erigendosi a protettrice di Nicosia, ovvero una delle capitali dell’Ue. Mosca ha poi tentato di ottenere lo sfruttamento di un giacimento cipriota attraverso Novatek ma quando l’operazione è fallita la contromossa è stata immediata, offrendosi di costruire l’oleodotto israelo-cipriota oppure una struttura per l’export di gas liquido Lng. Più indietro nella ricerca dei giacimenti è il Libano ma le stime sulle risorse presenti - fra 300 e 700 miliardi di dollari - spiegano perché in ottobre una folta delegazione ministeriale russa ha firmato a Beirut un «memorandum di cooperazione sull’energia» accompagnato dalla candidatura di Novatek, Rosneft e Lukoil a guidare il consorzio che potrebbe trasformare il Paese dei Cedri in un rivale del Qatar nel mercato mondiale del gas.
Ma nel Bacino del Levante c’è anche il petrolio e così a fine dicembre il gruppo russo Soyuzneftegaz ha firmato con il regime di Bashar Assad un accordo che ha lasciato di stucco americani ed europei: l’esclusiva per 25 anni in perforazioni, sviluppo e produzione di greggio e gas in un’area di 2190 kmq davanti alle coste siriane. Se finora il sostegno di Putin ad Assad era stato giustificato dall’interesse russo a mantenere l’accesso alla base navale di Tartus, ora appare evidente che il Cremlino ha anche in mente ciò che si trova sui fondali davanti alla costa abitata.
«Mosca sta tentando di capitalizzare il sostegno ad Assad sul terreno dell’energia - spiega Jihad Yazigi, direttore di Syria Report - sfruttando la Siria per avere voce in capitolo sul Bacino del Levante». Il tutto a fronte di un investimento minimo, appena 90 milioni di dollari, perché come lo stesso ministro del Petrolio siriano Sleiman Abbas ammette «nelle attuali circostanze applicare tali accordi energetici si annuncia assai difficile» .
Ma Putin è convinto che il tempo giochi a suo favore: la rete di intese, siglate o imbastite, con Siria, Israele, Cipro e Libano trasforma l’energia nel vettore dell’influenza russa in Medio Oriente, consentendo a Mosca di avere un proprio network di rapporti privilegiati con nazioni ancora formalmente in guerra fra loro, potendo ambire a diventare il regista di futuri possibili equilibri. «Questo è solo l’inizio della partita di Putin - prevede Peter Glover, autore di Energy and Climate Wars - perché ciò a cui punta è Shale Gas e Oil presenti in Israele, Cisgiordania e Giordania».
Senza contare il gas davanti a Gaza. A confermare che Putin punta sull’energia per consentire alla Russia di riguadagnare in Medio Oriente il terreno perduto dall’Urss c’è la mossa compiuta con Teheran: l’offerta di un patto «energia in cambio di beni» per 1,5 miliardi di dollari mensili che ha fatto sobbalzare Washington.