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 2014  gennaio 16 Giovedì calendario

FAURE E L’AMANTE, LA NOTTE FATALE ALL’ELISEO

Il 13 gennaio 1898, Émile Zola pubblica sull’Aurore il suo «J’accuse…!», con il sottotitolo ben visibile «Lettera al presidente della Repubblica», ma il presidente Félix Faure non risponde. Mesi dopo la Francia si trova confrontata all’Inghilterra a Fascioda, in un incrocio epocale tra le due potenze coloniali impegnate nell’espansione una verso l’Est l’altra verso il Sud dell’Africa ma Faure ordina il ritiro, piegandosi alla determinazione britannica.
Due grandi occasioni mancate, per l’ex commerciante di pellami diventato presidente della Terza Repubblica, che riuscirà a passare alla storia comunque: se non per le imprese in vita, grazie all’agonia di morte cominciata tra le braccia dell’amante Marguerite Steinheil, il 16 febbraio 1899, all’Eliseo.
Félix Faure è, tra i molti capi di Stato erotomani francesi, quello che ha pagato alla passione il prezzo più alto. Al perfido Georges Clemenceau sono attribuite due battute che spiegano molto del protagonista in extremis Faure e delle circostanze della sua fine: «Félix Faure è tornato al nulla, si sentirà a casa sua», e soprattutto «Voleva essere Cesare, non fu che Pompeo», perché il capo di Stato amava notoriamente il lusso e i fasti presidenziali, ma morì per una prolungata fellatio.
Quel giorno Félix Faure aveva convocato Marguerite per le 17, dopo il Consiglio dei ministri, ma gli impegni di lavoro si prolungarono oltre il previsto e a quell’ora il presidente stava ancora discutendo con l’arcivescovo di Parigi e Alberto I di Monaco venuti a perorare la causa del capitano Dreyfus. Sembra che il 58enne Faure abbia preso una dose eccessiva di cantaride, il Viagra dell’epoca, prima di dedicarsi finalmente alla 29enne Marguerite.
Dal salone blu dell’Eliseo a un certo punto arrivarono le grida della donna, e il capo di gabinetto Le Gall entrò di corsa nella stanza. Vide Faure agonizzante, senza respiro, le mani che stringevano in uno spasmo i capelli di Marguerite urlante. La donna seminuda venne aiutata a divincolarsi e scappò via, dimenticando all’Eliseo il corsetto. Mentre il medico cercava invano di salvare il presidente dall’emorragia cerebrale, venne chiamato il prete per l’estrema unzione. Leggenda vuole che al suo arrivo il sacerdote chiese a una guardia «Il presidente mantiene ancora i sensi, la conoscenza?», per sentirsi rispondere «No, è appena scappata dalla scala di servizio».
La première dame Marie-Mathilde Berthe Belluot venne avvisata solo due ore dopo il malore, e l’agonia ne durò altre due: Faure esalò l’ultimo respiro tra le braccia della moglie mille volte tradita ma che provava per lui una ingiustificata ma vera devozione. Sapeva delle sue relazioni ma non gliene chiese mai conto, e quando il presidente le chiese di stare non accanto a lui ma un passo indietro, durante i ricevimenti all’Eliseo, lei acconsentì volentieri. «Era un così bravo marito», ripetè la première dame durante i funerali, al Père-Lachaise. Marie-Mathilde visse altri vent’anni dopo la morte di Faure, senza avvenimenti di rilievo, e non riuscì neppure a far sposare la figlia Antoinette a Marcel Proust, come le sarebbe tanto piaciuto. La maîtresse Marguerite Steinheil confermò invece di essere donna di carattere, sfruttando la dubbia e attraente fama ottenuta con la morte di Faure per intrecciare altre relazioni altolocate, per esempio con il ministro Aristide Briand e il re Sisowath della Cambogia.
Di Faure resta solo quel pomeriggio di amore e morte, e la fermata della linea 8 nel metro di Parigi.