Fabrizio Corona, Chi 15/1/2014, 15 gennaio 2014
NINA SEI STATA IL MIO FALLIMENTO
MILANO GENNAIO
Da quella prima volta, nel 2007, siamo stati purtroppo tante volte davanti a un giudice, forse troppe, ed era stato sempre tragico. Il ciclone Vallettopoli aveva spazzato via le ultime speranze della nostra “grande” storia d’amore. Non potrò mai dimenticare quel pomeriggio in carcere a Potenza, Nina. Tornando dall’ora d’aria, mentre ero in corridoio, un detenuto mi urla da dietro le sbarre: «Fabrizio, tua moglie ha chiesto il divorzio, lo hanno detto in tv». E io: «Ma va, è roba vecchia». Torno in cella con un po’ di dubbi e una strana sensazione. Ore 18.30, Studio Aperto, Nina in copertina su “Chi”: «Voglio il divorzio». Clamoroso. Cinque minuti dopo ricevo dal mio avvocato civilista un telegramma con scritto: «Nina ha chiesto la separazione, ma tranquillo, è tutto ok». Ma cos’era tutto ok? Avrei voluto urlare, scappare, telefonare per chiedere spiegazioni, sapere cosa fosse successo.
Mi sono messo in un angolo della cella fino a notte fonda a fumare e bere birra, era la fine giusta. Nina, avevi ragione sotto tutti i punti di vista. Ma dopo quei tre mesi, dopo la morte di mio padre, l’arresto, il sequestro di beni, case, macchine, conti esteri e la chiusura cautelare della mia società, è stato un colpo troppo forte, e tu, Nina, potevi aspettare. Tornando indietro con i pensieri oggi (...) dopo le nostre liti, le nostre risse, le nostre ridicole guerre mediatiche e la gestione di Carlos, rifarei tutto, perché quello che conta sono i momenti di amore puro e innocente che abbiamo vissuto durante i primi indimenticabili anni. La prima volta che ti ho visto alla festa di Roberto Cavalli in Sardegna, avevi forse ventitré anni, eri bella da far tremare le gambe, i tuoi occhi emanavano una dolcezza che mi ha colpito profondamente al cuore. Non ho smesso un solo minuto di tenere lo sguardo su di te, di incrociarlo con il tuo. (...) Ti volevo più di ogni altra cosa ed ero disposto a tutto.
Non avevo niente di grande da offrirti, ere solo un aspirante giornalista, non ero famoso. Tu eri la più bella e la più desiderata da tutti. La nostra passione, dopo esserci baciati e aver fatto l’amore, era irrefrenabile. Certo, il nostro rapporto non è mai stato dei più normali fin dall’inizio, mille litigi, mille discussioni, ma tanto amore e una grande paura di perderci. Vivevamo in un mondo dorato che a poco a poco stavamo conquistando, ma che alla fine ci avrebbe distrutto e cambiato per sempre…
… Oggi sono convinto che non esiste più “Fabrizio”, c’è solo “Corona”, e che però non esiste più neanche “Nina”. Se dovessi raccontare le tue paure, la tua innocenza, la tua purezza, tutti farebbero fatica a crederci. Come quella notte che ti ho convinta a fare il calendario di Max e tu, dopo il primo giorno di “shooting sexy”, piangevi per la vergogna, afflitta dai sensi di colpa, e io, il colpevole, che cercavo di consolarti. Ho avuto tutte le colpe e mi prendo tutta la responsabilità. Fino a quel momento avevo sempre vissuto giorno per giorno, il nostro incontro mi ha cambiato profondamente, volevo essere all’altezza, volevo darti il mondo, volevo che fossi orgogliosa di me e volevo garantirti una vita da favola; così mi sono drogato di lavoro. Ti devo tanto, è vero, ma quei momenti non si devono rimpiangere, Nina, sono la conseguenza dell’amore. La tua voglia di fare tutto insieme, la convivenza, il matrimonio, la gravidanza, Carlos, e poi la società aperta con i tuoi soldi, intestata al cinquanta per cento a testa. La mia smania di riuscire a diventare qualcuno, la mia furbizia, la mia intelligenza, la tua notorietà e la tua grande bellezza. La nostra storia al centro della cronaca rosa, dai programmi tv ai rotocalchi. La fortuna-sfortuna di aver avuto tutto subito: il successo, l’amore, la fama e i soldi. Maledetti soldi...
Quando la Corona’s ha incominciato a lavorare bene, io ho iniziato a perdere te e tante altre cose. La scelta di stare dalla parte dei fotografi, i conseguenti litigi con le tue colleghe e quei fantomatici amici vip, il potere che a poco a poco mi ha accecato, il successo, i primi articoli di giornale su di me, gli errori commessi da giovane imprenditore. Mentre tu combattevi con i tuoi problemi, la tua tristezza, la tua depressione, perché eri sempre alla ricerca dell’amore idilliaco, io non c’ero più, tornavo sempre più tardi e uscivo sempre più presto. Come padre ero un disastro, come marito peggio, anche se con te sarebbe stato comunque difficile. La gelosia, la tua più della mia, ci ha divorato. Era diventata addirittura competizione, quel mondo luccicante di Lele Mora mi ha contaminato e io ho contaminato te. Quante bugie ho dovuto dirti, molte delle quali a fin di bene, altre inutili, dovute al fatto che la tua testa non c’era più e la tua dolcezza era quasi sparita. Sarebbe stato sufficiente fare un pit stop, sistemare il motore del nostro amore e poi ripartire. Lo volevo anch’io. Ti ricordi quando ti dicevo: «Ancora due anni e ce ne andiamo via, a Los Angeles»? Una parte del mio cuore lo sperava veramente. Speravo di poter smettere con tutto quel mondo, ma (...) non ci sono riuscito.
Mi hanno fermato, prima ingiustamente, ma forse poteva essere anche l’occasione buona per ricominciare, se fossimo stati uniti. Ma, come al solito, tu hai esagerato con quel gesto, con quelle dichiarazioni proprio in quel momento, in quelle condizioni. Anche se c’eravamo persi, forse avremmo potuto ritrovarci, pensaci bene, Nina...
...Dopo un mese avevi cambiato idea e sei venuta a trovarmi in carcere. In una lettera ti avevo scritto che mi aspettavo qualcosa di vero: dialoghi maturi, recupero dei valori, prospettive concrete. Ma non avevamo più niente di tutto questo, solo leggerezza e stupidità, non ne potevo più e mi sono staccato. Uscito dal carcere di San Vittore dopo quattro mesi di detenzione, sei stata l’unica che, volutamente, non ho nominato. Gli arresti domiciliari nella nostra casa sono stati una tragedia: litigate continue, la tua fuga per gelosia, il tuo tentativo di distruggere le cose belle che facevo. Come la telefonata fatta a Matrix per sbugiardarmi, o come quella finta separazione che ho voluto riprendere con una telecamera, perché era una buffonata e meritava di essere “sputtanata”, perché vivevamo insieme sotto lo stesso tetto, facevamo l’amore e non era cambiato niente, ma tu la volevi firmare per orgoglio o forse per competizione. Sembrava addirittura un gioco. Quanto ti sei pentita dopo! Eravamo lontanissimi, io perso tra notorietà e vendette, tu tra gelosia e follia. Ho sempre lottato per non far finire il nostro rapporto, senza rendermi conto che era sbagliato stare insieme solo per abitudine e per paura della solitudine. L’errore più grande che potevamo fare, per noi stessi e soprattutto per nostro figlio Carlos. Gli amori nascono e poi finiscono (...) ma i ricordi vanno custoditi e non distrutti. Abbiamo condiviso cose meravigliose: una su tutte, Carlos, che ha pagato le vere conseguenze del nostro rapporto conflittuale. Capire come faccia a essere così perfetto, così speciale con due genitori come noi, resta un mistero. Sono convinto che qualcuno l’ha mandato per salvarci, entrambi, io e te. Il resto è storia, Nina (...). La nostra non è finita per colpa di Belen, era finita prima. La verità è che avremmo dovuto dirci addio tempo addietro per evitare tutto quello che è successo dopo. Specie la tua situazione mentale e fisica, i gesti folli a cui ti sei ripetutamente lasciata andare, le tue strane relazioni. Ti sei buttata via, hai cancellato per sempre la tua autenticità e, credimi, anche se ero di nuovo innamorato e avevo una nuova vita felice, ho sempre sofferto per te, ti ho sempre giustificata e ti ho sempre difesa, litigando con la mia compagna (...) perché, quando finisce una storia così, rimane comunque un grande e incancellabile affetto.
Quanto mi sarebbe piaciuto avere una famiglia allargata, per il nostro bene e quello di nostro figlio! Ultimamente ci abbiamo provato, ti sono stato vicino, sempre a modo mio, ma vicino. Ci sarei sempre stato per te, come le ultime volte che sei stata male e sono venuto in tuo soccorso in ospedale. (...)
Ma tu non cambierai mai, e io ho deciso di dire basta! Quella mattina del 14 febbraio, in tribunale, eri agitatissima mentre io ero sereno, soltanto infastidito che il nostro “privato” dovesse essere discusso davanti a sei poliziotti estranei (...). Dopo i primi cinque minuti e dopo avermi stretto forte la mano e dato due caramelle (più tardi hai raccontato che quella richiesta ti aveva impietosito), hai incominciato a piangere, a urlare, a sputarmi addosso ogni brutto ricordo con la rabbia repressa che ti portavi dentro da molto tempo, senza preoccuparti di dove fossimo, con chi fossimo e che ero stato condannato a 7 anni e 10 mesi di carcere. Volevi quasi picchiare il mio avvocato. Poi, dopo che ho firmato l’affidamento esclusivo (giustamente, vista la mia condizione), ti sei calmata. Mi avevi promesso che il sabato successivo avrei visto Carlos. Ci siamo abbracciati e ti ho detto: «Io per te ci sarò sempre, ti aiuto anche da qui, stai tranquilla, cerca di guarire e fidati che io, nonostante tutto, sono più sereno di te, e questo mi fa stare male».
Ma tu, cara Nina, come sempre hai esagerato: le tue interviste televisive successive sono state vergognose, false, cattive, e mi hanno procurato problemi. Come quella dichiarazione in cui dicevi: «Fabrizio è il boss del carcere», e come le bugie su Carlos. Ti sei resa ridicola agli occhi della gente. Poi la scelta di non farmi vedere mio figlio, un bambino che ha quasi undici anni e che avrebbe potuto rasserenarmi, darmi coraggio. Ti sei rivelata esattamente per quello che sei, ovvero una persona egoista. Guardandoti da fuori, da un luogo di vera sofferenza, mi sono reso conto che non ne vale la pena, non meriti più niente e non ti giustifico più. Sapere che sei stata mia moglie oggi mi fa sentire un fallito.