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 2014  gennaio 15 Mercoledì calendario

JEP GAMBARDELLA? UN PO’ MI SOMIGLIA


«Sì, lo so», sorride Raffaele La Capria, classe 1922, «napoletano di Roma» come l’hanno spesso definito, «qualcuno sostiene che la figura di Toni Servillo nella Grande bellezza mi somigli, è una leggenda... in lui c’è, forse, un lontano riflesso di me, io questa somiglianza non l’ho vista. Servillo ha una personalità così spiccata, il personaggio gli appartiene completamente, comunque sarei felice di essere come lui». Eppure un legame stretto tra regista e scrittore, film e ispirazione letteraria, esiste eccome, senza parlare del look da dandy partenopeo di Jep Gambardella, del suo elegante disincanto, né il suo sguardo rassegnato sul degrado morale che lo circonda: «E’ vero - racconta La Capria -, che tra me e Sorrentino esista un rapporto artistico. Venne a propormi l’idea di un film tratto da Ferito a morte. Ero d’accordo, avevo rifiutato tante altre offerte, ma quella volta ho subito pensato che lui potesse essere il regista adatto. Si mise a scrivere, insieme a qualcun’altro, ma poi, quando leggemmo la sceneggiatura finita, decidemmo insieme che non corrispondeva alle nostre intenzioni, che non era quella che avevamo immaginato, che veniva fuori un mondo diverso da quello del libro. A Napoli certi personaggi rischiavano di diventare macchiette». Non ci fu tempo di riflettere sui possibili interpreti: «Non sarebbe stato facile trovare volti adatti, il protagonista del libro ha 25 anni, ci sarebbero voluti attori giovanissimi. Sorrentino aveva altri impegni, il progetto decadde».
Ma se l’impresa della trasposizione cinematografica è rimasta nel cassetto, l’esperienza della collaborazione ha lasciato un’eredità importante, «una congenialità che riguarda la particolare struttura narrativa di Ferito a morte e quella dei film di Sorrentino». Non è un caso che il regista, al telefono da Los Angeles, subito dopo la vittoria ai Golden Globes, abbia definito La Capria «faro» della propria formazione letteraria: «E’ un onore - commenta lo scrittore -, mi fa piacere avere un ammiratore così , con un modo di raccontare che mi corrisponde». Nel film, sospeso tra osservazione di un presente desolante e rimpianto per un tempo giovanile pieno di promesse non mantenute, La Capria ha apprezzato più di tutto l’immagine del protagonista: «Mi è piaciuto Servillo, un grande attore, senza di lui il film non avrebbe avuto punto d’appoggio, è lui che dà senso a tutto il resto, la sua prospettiva fa capire l’intero film». E poi Servillo, aggiunge l’autore, «è un intellettuale raffinato, una persona deliziosa, l’unica dell’ambiente con cui si può fare una conversazione di buon livello, una cosa oggi molto rara da trovare».
La Roma su cui si affaccia Jep Gambardella è profondamente diversa da quella che accolse il giovane Raffaele La Capria, arrivato, come lui, da Napoli nella metropoli, sull’onda di un grande successo letterario («Ferito a morte» era stato pubblicato nel 1961): «Quella che trovai io era una capitale ancora nello spirito degli Anni 50, simile a quella che Fellini raccontava nella Dolce vita. Una città tutta diversa da come è adesso, molto più vivace, culturalmente avanzata, in tutti i settori, teatrale, cinematografico, letterario... Oggi Roma ha perso quei connotati, il livello si è abbassato. E il fenomeno non riguarda solo l’Italia, in tutto il mondo scarseggiano le grandi personalità e le società hanno smesso di produrre quel tipo di fermento culturale». Nei nostri giorni, come racconta La grande bellezza, «la rassegnazione impera su tutto, viviamo in un mondo al di sotto delle nostre aspettative». Il senso dominante, quello che attanaglia Jep Gambardella lungo il suo infinito girovagare, è quello dello spreco: «Sorrentino ha ragione a pensare che , dai fasti della dolce vita, si sia passati a una borghesia degradata, un consesso sociale che abbia perso il suo splendore, diventando grigio, opaco. La Roma di oggi è questa, non quella che conobbi io. La vita non è più dolce, ma mediocre, e i personaggi che la abitano sono tutti come diminuiti». Tra quelli descritti nell’affresco del film, lo scrittore ha amato anche il prelato, interpretato da Roberto Herlitzka: «Bravissimo, mi è piaciuto molto». Come tutto il film, opera, dice La Capria, di «un regista di grande valore, girato bene. Quello che mi ha stupito, e che consideravo inimmaginabile, è il successo presso la stampa straniera... Quei commenti non me li aspettavo, pensavo che all’estero un film così potesse risultare incomprensibile. E invece no, e questa è la mia sorpresa, significa che mi devo aggiornare». Una sorpresa positiva: «Il Golden Globe è un passo importante, speriamo che ora il cammino prosegua. Se l’Oscar dovesse arrivare, sarei felicissimo». La luce del «faro», dice auto-ironico lo scrittore, «risplenderebbe ancora più forte».