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 2014  gennaio 15 Mercoledì calendario

SARA MCKENNA IL MIO EX CORRE TROPPO VELOCE


La voce è quella di una ragazzina, che parla veloce intercalando di slang e di qualche rara risata. Ma la storia di Sara McKenna è terribile, più grande dei suoi 28 anni. Tre i protagonisti: lei, il campione di sci Bode Miller, 36, e il loro bambino, che festeggerà il suo primo compleanno il 23 febbraio. Quando Sara e Bode si incontrano, nell’aprile 2012, cercano una storia d’amore. Dopo poco lei rimane incinta, e lui all’inizio non ne vuol proprio sapere. Però intanto lo sciatore conosce (e sposa) un’altra donna, la modella e pallavolista Morgan Beck, e Sara – quando mancano due mesi alla nascita del figlio – decide di lasciare il lavoro in California per studiare alla Columbia University, a New York. A quel punto Bode decide che no, non lo deve fare: non vuole che lei si sposti e la accusa di rapimento del feto. Un giudice della Family Court di New York gli dà ragione: si tratta di «appropriazione del figlio in utero, atto irresponsabile e riprovevole», e il piccolo dovrà essere affidato al padre. Padre che peraltro, finché il bambino non nasce, non può essere che «putativo». Certo, lui è famoso e si può permettere i migliori avvocati. Lei invece non ha grandi mezzi economici. Ma la storia non finisce così: le associazioni femministe e per la difesa dei diritti civili danno il loro appoggio, lo studio Amed Marzano & Sediva si schiera a fianco di Sara pro bono, per difenderla nel processo di appello. Il collegio dei cinque giudici della corte di appello di New York stabilisce che i diritti della donna sono stati violati e fa sì che il bambino ritorni a lei. Ma il processo per la custodia definitiva è ancora aperto, a fine marzo si avrà una nuova udienza. Ultimo dettaglio: Sara quando parla del figlio lo chiama Sam, Bode quando scrive di lui usa il nome Nate.

Come ha incontrato Bode Miller?
«Attraverso un sito internazionale di incontri».
Che cosa cercava?
«Una storia d’amore, magari anche il matrimonio. Io e Bode avevamo lo stesso tipo di problema, nel conoscere qualcuno: eravamo sempre presi dal lavoro, non c’era tempo. Su quel sito ti propongono persone che abbiano i tuoi stessi gusti, possano andare bene per te».
Lei che lavoro faceva?
«Io ho sempre avuto una vocazione per il servizio pubblico. In origine volevo fare il poliziotto, poi a 17 anni sono entrata nei marine, e ci sono rimasta per quattro. Dopo, sono diventata vigile del fuoco: era un modo per aiutare gli altri, dare il mio piccolo contributo al mondo, e infatti per tre volte ho pure rischiato la vita».
Che cosa pensò quando vide Miller la prima volta?
«Io non lo conoscevo. Ho provato una grande attrazione fisica. Quando siamo usciti insieme la prima volta eravamo entrambi molto stanchi, siamo andati a cena e dopo abbiamo guardato un film...».
Insomma, all’inizio è andata bene.
«Sì, ci eravamo trovati molto bene, era fantastico. Poi però lui stava via per sciare anche un mese, non c’era tempo per stare insieme, anche per i miei turni, poi lui ha iniziato a frequentare quella che è diventata l’attuale moglie».
Quando è rimasta incinta, che cosa è successo?
«Mi sono ritrovata sola. In quei mesi, con Bode è finita, lui ha sposato un’altra. È stato un periodo duro».
Aveva vicino qualcuno, per esempio sua madre?
«Purtroppo no, lei è morta».
Perché ha deciso di trasferirsi a New York?
«Volevo studiare Legge, e alla Columbia hanno programmi di aiuto per veterani. È difficile studiare e prendersi cura di un figlio, ma ce la farò. D’altra parte, prima lavoravo 72 ore a settimana... Certo, mi piacerebbe fare la mamma a casa, ma ho la responsabilità di Sam e devo lavorare».
Per lei è Sam, ma Miller lo chiama Nate, dal nome di un suo fratello morto. Sarà complicato per il bambino.
«È Bode... Lui vuole decidere tutto, senza discuterne».
Miller ha già un’altra bambina, Dacey, da un’altra donna. E su Twitter ha scritto che lei è «tristissima» perché le manca il fratellino. L’ha conosciuta?
«L’ho vista solo una volta, quando stavamo insieme».
Sam dov’è adesso?
«Qui con me».
Miller aveva detto che l’avrebbe portato con sé all’Olimpiade di Sochi.
«Insisteva per farlo, ma secondo me non era il caso. Adesso il bambino è affidato a me, e io all’inizio ero piuttosto contraria».
A parte Sochi, lei vive a New York e lui in California: se arriverete a un accordo, come farete con il bambino?
«Bode ha una casa nel New Hampshire, perché è originario di lì. Potrebbe viverci, sarebbe molto più vicino a New York, e tutto sarebbe più facile. Quello che desidero per mio figlio è che abbia una stabilità. Finora, con tutto quello che è successo, non ho avuto il tempo di essere la madre che vorrei. Ma so che Sam dovrà avere una vita migliore di quella che ho avuto io, e farò di tutto per riuscirci».
C’è qualcosa che ha imparato da questa storia?
«A non andare troppo veloce. Di solito sono cauta, con Bode non è andata così».
Sam sta per compiere un anno: come festeggerete?
«Faremo una festa, con gli amici».
Ha molte amiche a New York?
«La mia migliore amica vive a Brooklyn. E poi ho una rete di amicizie che mi sono fatta quando ero militare, qui non mi sono mai sentita sola. Mentre in California avevo una vita vuota, fatta solo di lavoro».
Uno degli aspetti che colpisce nella sua vicenda è che il giudice che la prima volta ha dato ragione a Miller sia una donna.
«Sì, lo è. Mi aveva accusato di rapimento del feto, e aveva stabilito che io potessi vedere Sam per circa tre settimane all’anno o che dovessi inseguire Bode dovunque lui fosse. Mi ha fatto sentire come una madre surrogata, di quelle che affittano l’utero e lasciano il bambino ad altre. Mi ha inflitto la sentenza come se fosse una punizione per un qualche crimine».
E adesso che cosa vorrebbe decidessero i giudici?
«Io desidero che il bambino stia con me e che Bode partecipi alla sua crescita nel modo migliore possibile».

BOX: In Italia non può succedere
Del caso di Sara si occupa lo studio Amed Marzano & Sediva, con sede a New York, Roma e Salerno, specializzato in Diritto internazionale. In Italia, un uomo potrebbe chiedere l’affido univoco prima che il bambino sia nato? «No, sarebbe prematuro e inammissibile», risponde l’avvocato Elvira Marzano. «Nessun giudice italiano punirebbe una donna per essersi trasferita mentre era incinta, penalizzandola addirittura con la perdita dell’affidamento, che è una misura estrema, prevista in casi tassativi nel nostro Paese. In California esiste la possibilità di una pre-birth petition per l’affido, che da noi non c’è, e che fa sì che in alcuni casi ci sia una vera e propria corsa a depositare la richiesta di affido esclusivo prima della nascita. Miller aveva scelto questa strada. Quando Sara, giunta a New York e dopo la nascita del figlio, ha chiesto di averne l’affido, il giudice Fiordaliza Rodriguez l’ha punita per essersi trasferita lì dalla California, ha dato a lui il permesso di andare a prendere il bambino dalle braccia della madre e portarglielo via. A quel punto c’è stata anche una mobilitazione, il nostro studio ha preso a cuore il caso. Perché Sara, nonostante quello che qualcuno ha detto, da questa storia non si è minimamente arricchita, è sempre stata la parte debole».