Filippo Facci, Libero 15/1/2014, 15 gennaio 2014
SENTENZA POLITICA: LA CONSULTA LASCIA COL CERINO IN MANO
Tradotta per un parcheggiatore, la sentenza della Consulta sul «Porcellum» ha un che di paternalistico che suona così: «Dài ragazzi, in effetti era troppo, il Porcellum era una legge opaca e che di democratico non aveva nulla, lo sapevate da anni, ma per colpa delle vostre zuffe ci avete costretto a intervenire.
Ora non vi indichiamo precisamente che cosa dovete fare, diciamo che vi diamo degli orientamenti: poi fate come volete, il Parlamento siete voi, anzi, cogliamo l’occasione per ricordare che siete pienamente legittimati; in teoria potreste anche seguire la falsariga della legge che abbiamo appena cassato, nulla lo proibisce anche se ve lo sconsigliamo, basta che non dite che facciamo politica: l’importante è che non esageriate, che non trasformiate un pugno di voti in valanghe di seggi, che un premietto di maggioranza non diventi un vantaggio incolmabile, soprattutto che la gente possa avere una vaga idea dei candidati che saranno effettivamente eletti, insomma: fate una cosa tranquilla, moderata e senza strappi creativi, forza, su, mettetevi al lavoro, dài che siete capaci».
Ma le sentenze della Corte costituzionale non sono scritte per i parcheggiatori, sono scritte per altri costituzionalisti cosicché lasciano noi - e molta classe politica - in mezzo col cerino acceso. Possibile che i partiti ne approfittino per riproporre i pasticci elettorali che preferiscono,ma qualche osservazione profana - nostra - non guasterà. La prima è questa: la sentenza è assolutamente politica. Il fatto che da anni ci si attardi vergognosamente nel riformare una legge iniqua e impopolare - legittimando così un ricorso alla Consulta che in precedenza era stato più volte respinto - non toglie che il merito trattato, e la maniera in cui è stato trattato, sia politico. L’aura di ineluttabilità della sentenza ricorda certi interventi di Napolitano: chiaramente fuori luogo ma al tempo stesso espressamente richiesti. Il problema esiste - da anni - e riguarda molte altre sentenze della magistratura ordinaria che intervengono a causa - o approfittando - della vacatio della politica. La stessa Consulta, ben consapevole del nervo scoperto, ha evidenziato il proprio imbarazzo con una prosa che dice e non dice: sicché, leggendo, si apprende che il premio di maggioranza del Porcellum è sproporzionato - e lo è, sia chiaro - ma non si dice quanto, non si dice in che limiti non lo sarebbe più; si apprende che le liste bloccate sono troppo bloccate - e lo sono, sia chiaro - e si apprende che devono essere più corte, forse cortissime, ma non si dice quanto; si apprende che i candidati quindi sono troppi, ma non è chiaro quanto troppi, eccetera. Il maggioritario spinto è troppo spinto, le liste bloccate sono troppo bloccate. La Corte, eccezioni a parte, non scende in particolari, qui il paradosso, e non vi scende proprio per evitare l’accusa di fare politica smaccatamente: mail risultato è che al legislatore (ai partiti) in questo modo rimangono margini di indeterminatezza che potrebbero portare a nuovi guai e a nuove sentenze. Questo in generale: in altre parti della sentenza, invece, la Consulta indugia nei particolari anche troppo. In tema di preferenze, per esempio, si suggerisce che se ne debba indicare una e non tre: e perché, visto che le liste elettorali sono giudicate troppo lunghe? Non si capisce. Ma uno che ci capisce, Ugo De Siervo, sulla Stampa, ieri l’ha messa così: «L’espressione di una sola preferenza potrebbe essere sostanzialmente inefficace in tanti collegi elettorali... Qui si ha la riprova pratica che la Corte si è impropriamente avventurata nell’area delle scelte tipicamente politiche». In buona fede, certo.
Altre cose tuttavia non sono chiare, perlomeno a noi. Una è per quale ragione, sul tema della legge elettorale, un giudizio di costituzionalità sia stato improvvisamente reputato ammissibile quando in passato non lo era stato: ma anche questo, a quanto pare, è tema da specialisti. «Il sistema elettorale non è esente da controllo», recita la sentenza, o meglio le sue motivazioni, «essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quanto risulti manifestamente irragionevole». Una frase che non fa una piega, ma che illustra come la Consulta, in questo modo, possa intervenire praticamente su tutto. Hanno scritto che la Consulta, con la sua sentenza, ha aperto un’autostrada al Parlamento. Può darsi. Ma i casellanti, da qualche anno, portano sempre l’ermellino rosso.