Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 15 Mercoledì calendario

RACCHETTE CINESI

Chinatown sbuca dal nulla con un grande portale di lacca e ghi­rigori copiato dalla Città Proibi­ta, ma gli spazi sono angusti. Tre strade, poche persone in giro e qualche anatra stecchita nei ne­gozi. La Cina è ovunque in città, meno dove ti aspetti che sia. Il centro di Mel­bourne, grattacieli di vetro e marmi vittoria­ni, alberi altissimi e opossum in fila per un po’ di cibo, è nato come emblema di una città di forti tradizioni anglosassoni con un deciso senso di ospitalità verso le minoranze “accet­tabili”, selezionate da un’immigrazione con­trollata. Oggi gli ingegneri tedeschi, domani i tecnici scandinavi, poi i tassisti greci e così via. Ma i cinesi si sono resi “accettabili” due volte, e la città è cambiata. Prima ristoratori e sguat­teri, dopo imprenditori, con libertà di porta­re qui le maestranze di casa. Grazie a loro Mel­bourne ha sentito meno la crisi, dicono, ma non è più la città di prima. Si è cinesizzata.
Forse è per questo che, da qui, la proposta di un quinto Slam tennistico da organizzare in terra cinese, appare logica. Tanto più se viene dai tennisti del Celeste Impero. Forse perché la Cina è ingombrante, svelta, reattiva, e arri­va ovunque. Forse perché le tradizioni seco­lari dell’Europa sportiva, viste down under, a testa in giù, appaiono meno ineluttabili, e si arriva persino a pensare che se il gioco vale candela e dollari, molti dollari, si può far fin­ta che i quattro Slam di sempre (da Melbour­ne a New York, passando per Parigi e Wim­bledon), siano rimasti tali non perché e­sistono da oltre un secolo, ma perché nessuno aveva le possibilità organizza­tive di farne un quinto. O un sesto. E magari anche un settimo. Ora queste possibilità ci sono, dicono dalla Cina, dunque dateci la concessione. «Noi sia­mo pronti». Shanghai, Pechino. Già si fanno i nomi del­la futura sede. E si ipotizzano pure le cifre: gli organizzatori dei 4 Slam tradizionali dovreb­bero consentire all’ultima arrivata di ospitare il quinto main event per un miliardo di dolla­ri, incassando 250 milioni a testa. Ai cinesi il tennis piace. E uno slam sarebbero prontissi­mi a comprarselo. Sono piaciute moltissimo le vittorie olimpiche di Atene, ai Giochi del 2004, e ancor di più quelle della ribelle Li Na (il primo Slam cinese, a Parigi 2011), oggi nu­mero quattro del mondo. Poi hanno scoper­to che il tennis è una fabbrica di quattrini, al­lora il piacere si è trasformato in amore. In po­chi anni hanno strappato tre date utili a un ca­lendario affollato (Shanghai al maschile, GuangZhou al femminile e Pechino, combi­ned), quest’anno sono giunte la quarta e la quinta (Shenzen e Wuhan), presto arriverà la sesta (Nanchino, forse).
L’Asian Swing già c’è. Dieci tornei nel Sud Est asiatico, con Shanghai e Pechino a fare da fulcro e Corea del Sud, Tailandia, Giap­pone e Malesia in lieto vas­sallaggio. «Un nostro circuito per dare maggiori occasioni ai nostri giocatori», hanno fatto sa­pere, ma con i soldi si fa tutto e la presenza di Djokovic e Nadal, Federer e Murray non è mai mancata.
«Pazienza se vi sembra irrealistico – afferma si­curo il direttore del torneo di Pechino, Alfred Zhang –, ma per noi l’ipotesi quinto Slam è la direzione da seguire. Dieci anni fa anche il torneo di Pechino sa­rebbe apparso impossibi­le, e invece lo abbiamo messo in piedi e contiamo su una larga base di fans». Oggi il tennis, in Cina, è il terzo sport per ascolti tele­visivi, dopo calcio e basket, e il mercato che ruota intorno a racchette e racchettari è sui 4 miliardi di dollari. Piccolo per loro, uno spro­posito per noi. Lo stesso per i praticanti. Era­no 4 milioni a fine anni Ottanta, ora sono 16 milioni. Cifre insignificanti per un movimen­to che punta ai 50 milioni tondi, ma impres­sionante se visto in ottica europea. È come se un terzo della popolazione italiana, ogni mat­tina, uscisse di casa con la racchetta.
La crescita, però, è legata al tennis di vertice, e quando e come la Cina riuscirà a proporre una Li Na al maschile non è dato sapere: il pri­mo cinese nel ranking Atp, Wu Di, è al nume­ro 203. Lì il ritardo è netto, nonostante le die­ci Accademie già operative (dopo la prima a­perta nel 2008 da Michael Chang), ma la ri­sposta è sempre la stessa. «Più tornei, più pos­sibilità di coprire il gap», spiega Anil Kumar Khanna, a capo dell’Asian Tennis Federation. Non bastano gli otto di oggi, ce ne vogliono di più. Con in testa un Grande Slam.
«Prima o poi lo avranno», dice John New­combe, l’ex campione australiano fautore di una deroga cinese alla tradizione. «Rappre­sentano un settore del mondo in frenetica e­spansione, e saprebbero organizzarlo benis­simo. Non solo, potrebbero pagare il loro av­vento agli altri quattro tornei, e rendere tutti felici…». È una regola che i cinesi hanno im­parato presto e bene: con i soldi si creano an­che le nuove tradizioni.