Eric Salerno, Il Messaggero 14/1/2014, 14 gennaio 2014
AUSTRALIA LA NUOVA FRONTIERA
Si muovono con vecchie carrette o con jet privati. Con intere famiglie o da soli. Diseredati del sud-est asiatico che assomigliano ai poveracci che puntano Lampedusa e dintorni e nuovi ricchi con il gusto appena acquisito per Chardonney e Merlot e bollicine d’autore. L’invasione è cominciata e la tensione è palpabile. I clandestini, quando non annegano vengono rispediti al mittente o internati nei campi profughi di Christmas Island, l’isola di Natale, oppure in quelli allestiti in Nuova Guinea grazie a un accordo con il governo di quella specie di protettorato australiano. Gli altri sbarcano con valigie stracolme di dollari, salgono sulle limousine e si mettono a fare shopping: ville miliardarie, ristoranti di lusso, appezzamenti urbani su cui far innalzare grattacieli già contestati; e poi industrie, miniere e, ultimo degli investimenti, enormi allevamenti di bestiame.
LE DUE ANIME
L’invasione asiatica dell’Australia ha due anime. Una spaventa la classe media, l’altra non fa dormire i ricchi. Il Paese dei canguri, della più grande barriera corallina del mondo, dei grandi spazi vuoti e di un tenore di vita invidiabile sta subendo una trasformazione che soltanto qualche anno fa non sarebbe stato concepibile. E si vede. Ovunque. L’economia continua a tirare (il Pil è salito del 2,3 su base annua) anche se negli ultimi sei mesi c’è stato un rallentamento che viene osservato con una certa preoccupazione. La disoccupazione resta attorno al 6 per cento, una media quasi costante degli ultimi venti anni. Sono ancora molte le opportunità per gli investitori anche se non sono le industrie (poche) a muovere il benessere bensì le grandi miniere di ferro, carbone e anche uranio, a cui attingono Cina e India. E, da poco, anche l’agricoltura e l’allevamento: l’Australia aspira a diventare il granaio e il fornitore di carne, latte e latticini di un’Oriente in rapida crescita.
LAMPEDUSA
Non è più Berlusconi il soggetto preferito degli australiani di fronte al giornalista italiano di passaggio. Ora vogliono sapere di Lampedusa. Hanno l’impressione che il nostro paese si è fatto onore mobilitandosi dopo la recente tragedia dei migranti annegati a ridosso dell’isola. «Non è stato così qui da noi quando pochi mesi fa una cosa del genere è accaduta ai poveri cristi di una nave stracarica che cercava di raggiungere le coste australiane». E ancora: «Come affrontate la questione dei clandestini? Come integrati i musulmani? Non avete paura per la contaminazione della vostra cultura?».
L’Australia nasce come paese protestante. Gli aborigeni quando non venivano ammazzati finivano nelle riserve e ancora oggi, nonostante pentimenti e scuse ufficiali, le grandi società minerarie continuano a sfruttare le terre di proprietà degli indigeni delle isolate comunità nel deserto.
I cattolici non piacevano e nemmeno, tanto per cambiare, gli ebrei anche se con il tempo gli uni e gli altri sono diventati pilastri della ex-colonia britannica. Oggi il problema sono gli islamici e, per motivi diversi, gli asiatici tutti. Eppure è l’Asia il grande motore dell’economia australiana che, grazie anche una astuta politica di investimenti, è riuscita a superare senza traumi (da poco con una moneta in calo rispetto a dollaro Usa e Euro) la crisi finanziaria mondiale.
DESIGN E ARTE
Già venticinque anni fa, l’Asia come l’Italia, era di moda a Melbourne e Sidney e Perth. Design e arte culinaria. Inizialmente erano i cinesi a dominare nelle loro Chinatown ma quando l’Australia aprì le porte a migliaia di rifugiati dal Vietnam ebbe accesso a una delle più delicate e raffinate cucine orientali. Poi toccò ai giapponesi, attratti dall’abbondanza di pesce di cui vanno matti e dai campi di golf: lasciarono il sushi. E infine arrivarono gli indiani giovani: si laureano e, in maggioranza, tornano a casa. Con orgoglio, allora, la gente parlava di cultura mista. Oggi parla di assalto. Per controllare quello dei clandestini, l’Australia ha firmato accordi con l’Indonesia e con la Nuova Guinea. Navi da guerra pattugliano le acque «infestate»: l’altro giorno hanno rispedito al mittente un altro carico di profughi. Con i poveri, sembrano concordare laburisti e conservatori, non ci può essere tolleranza. Per gli altri, per quanto mettono in crisi chi teme una caduta verticale del tenore di vita, le porte sono aperte.
IMMIGRATI
Arrivano nuovi immigrati ma soprattutto investimenti. Di «boom del secolo asiatico», scriveva l’altro giorno l’Australian, quotidiano di Sydney, sottolineando come l’insaziabile domanda per latticini stia trasformando l’intero settore.
Modesti allevatori e industriali stanno diventando miliardari. Proprietà passano da piccole società a colossi stranieri. L’assalto alla terra e al suo impiego da parte della Cina e dell’India, fa seguito all’arrembaggio ai minerali indispensabili alla crescita delle nuove economie. E quella corsa non dà segni di rallentamento, come si deduce osservando quanto spazio viene dedicato dai media australiani ad economia, finanza, import-export e ai ricchi asiatici alla conquista di terre, case (prezzi in aumento) e altro. Soltanto i supplementi settimanali di gastronomia dei giornali e i programmi tivù affidati ai maestri della cucina attirano maggiore attenzione insieme con le pagine dedicate ai viaggi.
Nel quartiere di Carlton, la vecchia Little Italy di Melbourne, il secolo asiatico non si vede. Sapori e odori sono altri.
Non tanto per l’ottimo espresso che si può gustare nei bar (diversamente da quanto succede in altri luoghi di questa città), quanto per l’insolito numero di giovani avventori che parlano italiano tra di loro. C’è un’altra invasione di cui si parla poco. La qualità della vita, le possibilità di inserimento, una vita culturale intensa e spigliata, stanno attirando turisti-lavoratori. I loro visti limitati (sei mesi o un anno) possono aprire nuovi spiragli per chi in Italia non riesce a vedere una luce alla fine del tunnel buio della crisi.