Maurizio Piccirilli, Il Tempo 14/1/2014, 14 gennaio 2014
STUPRI IN SUDAFRICA, ISRAELIANI UCCISI. GLI ORRORI IMPUNITI DEI SOLDATI INDIANI
Il vizietto indiano. New Delhi si vanta di fornire il maggior numero di soldati per i contingenti di caschi blu, lautamente pagati dal consorzio di nazioni, ma allo stesso tempo può vantare il record di inchieste sui suoi militari per traffici illegali commessi sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
Il reato più diffuso è la violenza sessuale, ma si parla di contrabbando di armi, droga, oro e persino di complicità nel rapimento dei tre soldati israeliani fatti prigionieri nell’ottobre 2000 al confine con il Libano dai miliziani Hezbollah. In tutti i casi nei quali sono coinvolti soldati indiani, New Delhi ha rivendicato il diritto di processarli in patria. In tutti i casi i processi si sono conclusi con pene irrisorie quando non sono stati assolti.
Andiamo per ordine. Nell’ottobre del 2000 una pattuglia israeliana viene catturata dagli Hezbollah mentre sono in servizio sul confine. La vicenda scatenò una guerra, ma i tre soldati della Tshal erano stati già uccisi. Grazie a un video trasmesso da Al Jazeera e poi ripreso nell’agosto 2001 dalla televisione israeliana emerse che gli Hezbollah erano stati aiutati da tre soldati indiani della missione Unifil delle Nazioni Unite.
Dopo la rivelazione, un soldato del contingente di New Delhi confessò che insieme a tre commilitoni aveva partecipato a quel sequestro. Alcuni giorni prima dell’agguato i tre militari indiani erano stati ricevuti al quartier generale Hezbollah a Beirut dal capo supremo Nasrallah e dove avevano ricevuto 5.000 dollari. La testimonianza del soldato indiano chiarì che i tre erano stati contattati dagli Hezbollah tempo prima e in cambio di donne e alcool avevano chiuso un occhio, e anche tutti e due, sui traffici di armi attraverso il Libano del Sud. Poi arrivò la richiesta di aiutare le milizie nella cattura di soldati israeliani. L’inviato dell’Onu in Medio Oriente, Terje Larsen, prima cercò di smentire, poi ammise al ministro della Difesa di Gerusalemme che esisteva un video che documentava la complicità dei caschi blu di New Delhi.
Le immagini parlavano chiaro, del resto, e come ammise il soldato indiano pentito, le avevano girate loro per poter poi ottenere altri favori dagli Hezbollah.
Nel video appare una jeep bianca con le insegne Onu che affiancava il mezzo dei miliziani sciiti e li scortava lontano dalla «blu-line» che segna il confine con Israele nelle ore seguenti alla cattura dei militari israeliani. Nonostante le proteste di Israele, dall’Onu si cercò di minimizzare, e prima che l’inchiesta si concludesse i tre militari colpevoli di aver collaborato con i miliziani Hezbollah nel sequestro, furono rimpatriati dal governo indiano. In Libano poi scoppiò un nuovo conflitto e a sostituire gli indiani andarono i soldati italiani a mettere una pezza dopo le malefatte dei soldati con il turbante.
Il vero vizietto indiano però è lo stupro. Mentre sono ancora in corso inchieste del Palazzo di Vetro su attività illecite dei soldati indiani in Sudan e Etiopia, dove i militari di Delhi sono coinvolti in contrabbando di armi e abusi sessuali, nel marzo 2008 finirono nelle galere di Pretoria tre ufficiali indiani che erano stati mandati lì in licenza dal Congo. Un tenente colonnello e due maggiori del contingente Monuc furono accusati di stupro da una ragazza sudafricana di 20 anni che denunciò di essere stata violentata a Plettenberg Bay dai tre ufficiali dell’Onu.
I tre dopo mesi nella foresta del Nord Kivu al comando delle truppe Onu per garantire la tregua in Congo, si presero qualche libertà di troppo con la giovane costringendola a subire violenza ripetuta per più giorni in un motel.
La ragazza un po’ di tempo dopo raccontò alla polizia di essere stata costretta a subire abusi di ogni genere dai tre indiani che ripetutamente, a turno, l’avevano violentata. Il caso rischiò di far scoppiare una crisi diplomatica tra India e Sudafrica perché, proprio nei giorni dell’arresto, il ministro della Difesa indiano Anthony era in visita ufficiale a Città del Capo a capo di una delegazione per trattare affari e scambi di collaborazione militare.
Per uscire dall’imbarazzo il ministro Anthony ordinò al capo di stato maggiore dell’esercito, generale Deepak Kapoor, di prendere «azioni severe» contro i tre ufficiali se le accuse si fossero rivelate vere. Così i tre ufficiali indiani lasciarono le celle di Pretoria e le autorità sudafricane li consegnarono alle autorità di New Delhi certi di una severa punizione. I tre furono trasferiti al consolato indiano dove ricevettero una lasciapassare diplomatico e tornarono in patria con la delegazione del ministro. Il Sudafrica si ritenne soddisfatto aveva salvato gli affari e i tre sarebbe finiti sotto processo a New Delhi. Niente di tutto questo. Il tenente colonnello e i due maggiori, tornati in patria, ricevettero una reprimenda e tornarono ai loro battaglioni. Giustizia indiana.