Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 14/1/2014, 14 gennaio 2014
IL DEBITO USA RINGRAZIA LA FED
Il primo contribuente americano è la Fed: per il 2013 verserà alle entrate federali ben 77,7 miliardi di dollari. È il netto di pertinenza del Tesoro, dedotte le spese, di quanto ha fruttato la negoziazione sul mercato aperto dei titoli del debito americano e di quelli che hanno come sottostante i mutui immobiliari garantiti dalle Agenzie federali (Mbs): al lordo, l’incasso della Fed è stato di 90,4 miliardi. È un giroconto: spese per interessi poste a carico del bilancio, accreditate alla Fed, e da questa riversati nuovamente alle entrate del bilancio.
Uno storno che alleggerisce non poco il costo del debito per i cittadini statunitensi.
I numeri sono questi: alla data del 1° gennaio del 2013, considerando i titoli federali per tutte le scadenze, la Fed ne deteneva per 1.666 miliardi di dollari, divenuti 2.208 miliardi a fine dicembre a seguito degli acquisti mensili disposti dal Qe3: l’incremento è stato infatti di 542 miliardi di dollari, corrispondenti ai 45 miliardi mensile previsti. Ma naturalmente gli interessi percepiti dalla Fed, e ora riversati al Tesoro, si riferiscono al totale detenuto.
Il debito pubblico americano in circolazione nel 2013 dovrebbe essere arrivato a 17.723 miliardi di dollari, mentre era di 10.797 miliardi nel 2008, allo scoccare della crisi. Tra la fine del 2008 e la fine del 2013, quindi, gli Usa hanno emesso maggior debito netto per 6.926 miliardi di dollari. La Fed, a sua volta, alla data del 31 dicembre 2008 deteneva titoli del Tesoro per 476 miliardi di dollari: l’incremento a fine 2013 è stato di ben 1.732 miliardi. La Fed, quindi, ha sottoscritto il 25% del maggior debito pubblico complessivamente emesso nella media degli anni post-crisi. Il sostegno dato dalla Fed al Tesoro americano è di gran lunga più rilevante se andiamo invece a computare il rapporto tra il maggior debito federale emesso nel 2013, pari a 1.035 miliardi di dollari, e la quota sottoscritta dalla Fed nel corso dell’anno, alla base del Qe3, i citati 542 miliardi di dollari: siamo oltre il 52%. In pratica, più della metà del maggior debito americano del 2013 è stato coperto dalla Fed, con maggiore liquidità.
Una volta, prima del cosiddetto divorzio, anche da noi il rapporto Tesoro-Banca d’Italia funzionava così. E così funziona ancora in Gran Bretagna ed in Giappone. Se avessimo ancora una Banca centrale autonoma, libera di comportarsi come la Fed, la Bank of England o la Bank of Japan, forse avrebbe sottoscritto a titolo definitivo il 25% dei 392 miliardi di euro del maggior debito pubblico italiano emesso dal 2008 in poi, pari a 98 miliardi. E, quest’anno, avrebbe acquistato il 50% dei 50 miliardi di euro del maggior indebitamento netto, pari a 25 miliardi. La Banca d’Italia avrebbe, infine, retrocesso alle entrate dello Stato circa 4,5 miliardi euro di interessi. Ma l’impatto sarebbe stato ben superiore a quello aritmetico, che abbiamo appena abbozzato: il mercato avrebbe seguito con minore isteria le varie fasi politiche, perché ci sarebbe stata sempre una Banca centrale alle spalle del Paese. E magari, invece di essere costretti a subire la clava dello spread, sarebbe stato il mercato a non contrariare la nostra Banca centrale
Forse, se avessimo avuto ancora la vecchia Banca d’Italia, le cose sarebbero andate meglio: più che un divorzio, con ognuno che si fa una nuova vita, siamo ormai come i separati in casa. Una sterile convivenza, ricordando i bei tempi andati.