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 2014  gennaio 14 Martedì calendario

QUESTO «RIMPASTO» È ROBA DA FORNAI VECCHIO ARNESE PER VECCHIA POLITICA


Si capisce perché il rottamatore di parole Matteo Renzi non vuol saperne di pronunciare il vocabolo «rimpasto». Troppo antiquato. Prima Repubblica? Macché. Si tratta di un termine ottocentesco, se è vero che lo si trova attestato nel Dizionario dei sinonimi della lingua italiana a cura di Niccolò Tommaseo, nell’edizione riveduta dall’accademico della Crusca Giuseppe Rigutini almeno a partire dal 1880. Il termine vi compare già nell’accezione politica, accompagnato dall’aggettivo «ministeriale». Insomma, un vecchissimo arnese lessicale utilizzato da tutti i governi italiani che si sono succeduti dall’Unità a oggi, passando per il fascismo (anche se Mussolini preferiva parlare di «rotazione»).
Certo, fa impressione, al tempo del «Jobs Act» e dello «spread», sentire ancora questa «metafora da fornai», secondo la definizione tecnica del «valoroso letterato» Rigutini? Un unicum italiano. Perché se è vero che neanche gli altri Paesi sono esenti dall’escamotage di cambiare in corsa i ministri pur di salvare un esecutivo in crisi, nessuno si sognerebbe di usare un eufemismo che più casereccio non si può, come accade in Italia. Dove, forse per mascherare l’inveterata abitudine al trasformismo, si ricorre da almeno un secolo e mezzo a un’immagine figurata (non di rado addolcendola con il diminutivo: «rimpastino»), che tradisce però anche una connotazione vulgata meno nobile: avere le mani in pasta… Tant’è vero che gli inglesi preferiscono usare, senza mezze misure, il termine «reshuffle» (rimaneggiamento), se non addirittura «change», più o meno come i tedeschi («Regierungwechsel»), i francesi («remaniement») e gli spagnoli («arreglo» significa riassestamento).
L’uso e l’abuso della pratica, oltre che del vocabolo, ha finito per indebolire il significato letterale di rimpasto da panettieri o casalinghe come «operazione con cui si amalgamano sostanze o materie», e per esaltare l’accezione politica, del resto resa autorevole nei decenni da parlanti illustri. Dopo il letterato e ministro Francesco De Sanctis («da qualche tempo si fanno correr voci di rimpasti ministeriali»), toccò a Giosue Carducci dirsi «spettatore» di una crisi che temeva finisse in un «rimpasto». Postillando: «O Italia di Mazzini, di Garibaldi, di Vittorio Emanuele, a ch’è ridotta!».