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 2014  gennaio 14 Martedì calendario

IL SOSPETTO SU STAMINA “MALATI CLANDESTINI ALL’OSPEDALE DI BRESCIA”


L’ombra di pazienti transitati per trattamento Stamina agli Spedali Civili di Brescia senza nemmeno essere registrati all’ingresso. Malati «fantasma», che in alcuni casi avrebbero pagato sottobanco società legate a Vannoni per trattamenti effettuati in un grande nosocomio pubblico. Cose mai viste. Ma testimoniate da medici dello stesso ospedale che parlano di un clima da cortina di ferro, con pazienti Stamina seguiti da non più di due o tre medici e con gli altri all’oscuro di tutto. I documenti in nostro possesso mostrano come in quell’eccellenza della nostra sanità pubblica, dal Commissario straordinario dell’Ospedale ai responsabili sanitari, tutti ignorino cosa venga veramente iniettato ai pazienti, visto che a Brescia il protocollo Stamina, più volte reclamato, non è mai arrivato.

Come sia potuto accadere tutto ciò in uno dei più grandi ospedali d’Italia è all’attenzione della Procura di Torino, che non a caso sta indagando sui comportamenti di otto medici che hanno lavorato negli Spedali Civili e coinvolti in qualche misura nella somministrazione delle cellule targate Stamina.
Pagamenti occulti
L’ospedale che preme per far entrare in terapia Stamina il cognato della direttrice sanitaria, il pezzo grosso della direzione sanitaria della Regione Lombardia che fa altrettanto per curare la propria malattia. Ed è questo clima a dare più credibilità a quanto, tra rabbia e paure, spifferano alcuni sanitari degli Spedali Civili circa il traffico di pazienti non registrati dall’ospedale. In una informativa inviata ai carabinieri dei Nas, che abbiamo avuto modo di visionare, si riporta di una ex anestesista dell’ospedale bresciano, che dopo essere stata allontanata dallo stesso nel giugno del 2011, ha raccolto le confidenze di altri suoi colleghi che riferivano «di moltissimi pazienti non registrati» perché, veniva detto alle infermiere, «amico di quello o di quell’altro». Le stesse cose sarebbero state riferite da una infermiera capo-sala, poi trasferita. L’anestesista resta in contatto con altri sanitari dell’ospedale che gli raccontano cose strane, «come quelle di infusioni fatte nel reparto nel tardo pomeriggio, quando non c’è più nessuno». Mentre «qualcun altro ha avanzato dubbi sul fatto che quel che veniva iniettato ai pazienti fosse quanto effettivamente dichiarato nelle carte Stamina».
Ma se i pazienti non venivano registrati come avrebbe fatto poi l’ospedale a giustificare i costi del trattamento? E qui emergono nuove, sconcertanti testimonianze. La stessa Milena Mattavelli, intervistata da «La Stampa», ha dichiarato di aver sborsato per suo marito, poi deceduto, oltre 50 mila euro per infusioni fatte in larga parte a Brescia. E su questo la Procura di Torino sembra volerci vedere chiaro. Così come i fari si sono accesi su un altro dossier finito sul tavolo di Raffaele Guariniello, quello di Caterina (nome di fantasia), che ha fatto l’ultimo carotaggio per prelevare le cellule da reinfondere proprio a Brescia, ma che per i trattamenti Stamina ha denunciato aver pagato complessivamente 40 mila euro.
La cortina di ferro
Una «tratta» dei pazienti che sembra inverosimile possa svolgersi dentro un ospedale del civile nord Italia. Se non fosse che dentro quelle mura si respira un’aria da cortina di ferro. A raccontarcela è il dottor Franco, il suo nome è di fantasia perché la paura di ritorsioni è tanta. «Tutto l’entourage medico dell’ospedale è completamente all’oscuro di quello che avviene intorno a Stamina. E’ una situazione assurda», dichiara. Aggiungendo che «dentro l’oncologia pediatrica non sono più di due o tre medici a seguire i pazienti in trattamento Stamina. Per tutti gli altri quel che accade li dentro è top secret. C’è una totale ignoranza sulle procedure di accettazione e del resto - prosegue - il rapporto tra Stamina e Ospedale si esaurisce in un medico che prescrive, il dottor Andolina e uno che accetta, il primario Fulvio Porta». Che, è bene ricordarlo, dirige l’oncoematologia pediatrica dell’ospedale bresciano, ed è il coordinatore del progetto di collaborazione con Stamina.
Ed è sempre il dottor Franco a riferirci di «macchinoni con i vetri oscurati che dopo le 17 arrivano in ospedale con Vannoni a bordo, che poi scompare nel laboratorio di ematoncologia. Del quale – ci ricorda chiudendo il cerchio - è responsabile la dottoressa Arnalda Lanfranchi, che guarda caso è anche la moglie del dottor Porta».
Le irregolarità
Un intreccio tra interferenze politiche e family story che spiega tante altre irregolarità. Come il fatto che la lavorazione delle cellule staminali da infondere sia stata affidata a personale Stamina, in virtù della segretezza di procedure coperte da un brevetto che non è mai esistito. Oppure l’assenza di documentazione su qualità e provenienza dei reagenti scoperta da Nas e Aifa e che l’ospedale risolve prendendo per buona un’autocertificazione firmata da chi non poteva autenticarla perché medico non è, ossia Davide Vannoni. E poi nei verbali di carabinieri e autorità sanitarie emerge come l’esplicita richiesta, avanzata dall’Aifa, l’agenzia ministeriale del farmaco, di produrre le cellule secondo le regole europee Gmp di buona fabbricazione siano state del tutto disattese da una nota del 29 luglio 2011 dell’allora direttore generale degli Spedali Civili, Anna Coppini. Quei requisiti per la lavorazione in sicurezza delle cellule il laboratorio bresciano non li ha mai posseduti, eppure il Comitato etico dello stesso ospedale non fa una piega all’ordine di andare avanti su somministrazione di sostanze che non si sa cosa siano e prodotte in ambienti considerati da Aifa e carabinieri anche igienicamente inadatti.
Tutte questioni ora all’attenzione della Procura, che sembra volerci veder chiaro anche sulla morte del «paziente 23», affetto da «atrofia multisistemica». Una malattia simile al Parkinson, che solitamente non porta al decesso in tempi rapidi. Il paziente decede invece due settimane dopo la prima infusione. «Ha avuto una grave polmonite», ha dichiarato Vannoni. Ma gli esperti dicono che l’immissione in circolo di staminali con le metodologie Stamina può appunto creare l’accumulo di cellule in vasi polmonari e da qui infezioni anche gravi. Strano è che l’autopsia non sembra essere mai stata richiesta.