Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 14 Martedì calendario

DALLA STRADA AI 4 GOL AL MILAN BERARDI, STORIA DI UN PRODIGIO


Ai giovani preoccupati per il futuro o peggio ancora sfiduciati bisognerà un giorno raccontare la favola di Domenico Berardi.
Domenico Berardi che a 19 anni una notte d’inverno segnò 4 gol al Milan. Anzi, non è una favola, ma una storia vera e spiega come il successo nasca da un mix di Grazia, Caso o Destino, Volontà. Nulla, in teoria, avrebbe dovuto fare di Berardi un calciatore. Fino a 15 anni non era neppure tesserato, a differenza di tanti suoi coetanei i cui padri vanno a urlare ai bordi dei campetti convinti di aver in casa un capitale umano. «Domenico era un giocatore di strada», mi dice Paolo Mandelli, classe 1967, milanese che Mariolino Corso lanciò come centravanti nell’Inter e che di Berardi è stato allenatore nella Primavera.

La sede del Sassuolo è nella zona industriale della città, in mezzo ai capannoni dove fanno le piastrelle. In realtà è sede della Mapei, l’azienda di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che del Sassuolo è proprietario al 95%. Fuori non c’è neanche scritto «US Sassuolo Calcio». Devi entrare nella Mapei e salire al 1º piano, dove ti ricevono con emiliana cordialità. Low profile in un mondo di ostentazioni. «Veramente oggi è lunedì, sarebbe giorno di riposo», mi dicono i dipendenti. Ma come: oggi è un giorno di festa! E però qui al Sassuolo hanno i piedi per terra, com’è tradizione di ogni operosa provincia. Anche il patron Squinzi, che tra un impegno a Modena e uno a Milano trova 10 minuti nel primo pomeriggio per passare a salutare chi c’è in sede, è contento con moderazione. Gli chiedo se è orgoglioso del campioncino fatto in casa: «Sì che sono orgoglioso, lo siamo tutti. Ma io non dico niente. Parla il presidente». Il quale, Carlo Rossi, fa un po’ più fatica a trattenere una gioia che gli esce dagli occhi: «Berardi? L’anno scorso sono venuti a vederlo quelli del Manchester City, del Borussia Dortmund, del Bayern. Ma noi ci eravamo già impegnati con la Juve. I nostri osservatori sono stati bravi a pescarlo. Ma ammettiamo anche un po’ di fortuna».
È il 2009. Domenico - calabrese di Cariati, paese di 8600 abitanti in provincia di Cosenza - viene a Modena a trovare il fratello maggiore, che studia e lavoricchia. Inutile dire che i Berardi non sono una famiglia ricca: in queste favole, la famiglia non è mai ricca. Un giorno il fratello va a giocare a calcetto con gli amici. Si contano e si accorgono di essere in 9. Soluzione di ripiego: chiamano Domenico, così sono 5 contro 5. Ed ecco che entra in scena uno dei tre fattori di cui si diceva: il Caso, o Destino. Uno dei 10 della partita di calcetto è infatti un tale Pasquale Di Lillo, che lavora come osservatore per il Sassuolo. Pochi minuti di partitella gli bastano: Di Lillo va a bordo campo e chiama col telefonino tale Luciano Carlino, che allena una delle Giovanili del Sassuolo. Carlino arriva a partita in corso. Lo vede giocare. Gli chiede se è tesserato da qualche parte. «No», gli risponde Domenico Berardi, nessuno gli ha insegnato a giocare così: è l’altro fattore, la Grazia, che l’ha voluto dotare di un simil talento.
Poi però c’è anche il terzo fattore, la Volontà. Senza la quale, Grazia e Caso sono inutili, fanno poca strada. Racconta Paolo Mandelli, che oltre ad allenare la Primavera coordina tutta la parte tecnica del vivaio del Sassuolo: «Luciano Carlino contattò subito l’allora responsabile dei nostri giovani, Gianni Soli, purtroppo scomparso l’anno scorso. Soli organizzò un allenamento a Domenico. Tutta la società si rese subito conto che era arrivato uno bravo. Però, guardi: io di giovani bravi ne ho visti tanti, ragazzi che poi si sono persi. Domenico si capiva subito che aveva una determinazione pazzesca. Gli chiedemmo di restare. Abbiamo una foresteria, poteva dormire lì: ma per dire com’è timido e riservato, preferì stare a Modena dal fratello. Fece avanti e indietro per 8 mesi, da novembre a giugno, solo per allenarsi. Non poteva giocare perché non era tesserato. Solo l’anno dopo poté cominciare, negli Allievi. Poi, la Primavera».
La svolta arriva quando a guidare la 1ª squadra viene ingaggiato l’attuale tecnico Eusebio Di Francesco. «Una sera venne a vederlo nella Primavera. Gli dissi: Domenico ha un carattere particolare, è introverso, ma ha doti importanti; non è uno che vince le partite da solo, ma ogni anno col lavoro si aggiunge qualcosa. Di Francesco lo portò in ritiro e dopo qualche giorno mi chiamò per dirmi: non contare più su Berardi, lo tengo con me». Mandelli giura che Domenico non c’entra nulla con Balotelli: «Quando rifiutò la convocazione con la Nazionale fu forse per la sua diffidenza verso tutte le novità: ma ha sbagliato e lo sa. È uno umile: quando è stato squalificato ha giocato con noi della Primavera e ce l’ha messa tutta senza far pesare nulla ai compagni. Gioca con lo stesso impegno contro il Milan o contro gli ammogliati. E quello che fa lo fa perché ama il calcio: non perché vuole diventare famoso. Per dire: non dà mai interviste». Il suo vecchio mister della Primavera è sicuro che non si monterà la testa: «L’ho sentito dopo i 4 gol al Milan: era quello di sempre. Mi ha ricordato il giorno in cui Di Francesco l’aggregò alla 1ª squadra. Andai a trovarlo e gli dissi: Domenico, guarda che non hai ancora fatto niente. Mi guardò con una faccia che significava: mister, non c’è bisogno che me lo dica».