Fabio Gambaro, La Repubblica 14/1/2014, 14 gennaio 2014
MALEDETTO CELINE
PARIGI Eccessivo, paranoico, rancoroso, apocalittico. Louis-Ferdianand Céline, l’autore maledetto delle lettere francesi, torna a far parlare di sé. Sono infatti appena giunte in libreria quarantuno lettere inedite che il romanziere scrisse a Henri Mondor, tra il 1950, quando si trovava ancora in esilio in Danimarca, e il 1961, anno della sua scomparsa. In queste epistole pubblicate oggi per la prima volta – Lettres à Henri Mondor (Gallimard, pagg. 167, 18,50 euro) – l’autore di Viaggio al termine della notte si rivolge a quello che all’epoca è un uomo colto e influente, un medico e scrittore molto apprezzato, nella speranza di essere aiutato a rientrare in patria ed essere riabilitato nel mondo culturale francese. E per conquistarsene l’appoggio insiste molto sulla similitudine dei loro percorsi, tra medicina e scrittura. Tuttavia, come sottolinea la curatrice del volume Cécile Leblanc, l’intesa tra i due all’inizio non era assolutamente scontata. Mondor – autorevole membro dell’Académie de Médecine e dell’Académie Française – nell’immediato dopoguerra aveva infatti partecipato al Comitato Nazionale degli Scrittori all’origine di una lista nera di autori collaborazionisti nella quale figurava evidentemente anche il nome di Céline.
Qualche anno dopo però, in occasione del processo in cui l’autore antisemita di Bagatelle per un massacro fu condannato in contumacia a un anno di prigione, Mondor iniziò ad interessarsi più da vicino al percorso di Céline, sostenendo che il suo grande valore letterario dovesse essere distinto dai comportamenti privati e dalle dichiarazioni politiche. È in questo senso che scrisse al presidente della Corte di Giustizia che si occupava del caso dello scrittore. Céline lo ringrazierà calorosamente il 7 marzo 1950, con una lettera che segnerà l’avvio di una corrispondenza durata
oltre un decennio, in cui a poco a poco i legami tra i due diventeranno sempre più stretti. Tanto che, quando Céline chiederà a Mondor di scrivere la prefazione per la pubblicazione di Viaggio al termine della notte e Morte a credito nella celebre collana della Pléiade, questi, dopo una prima esitazione, accetterà, contribuendo così a quella consacrazione a cui il romanziere aspirava da sempre.
In queste lettere cariche d’invettive e di lirismo, di trovate linguistiche e di provocazioni burlesche, Céline spinge a fondo sul registro del vittimismo, dicendosi perseguitato e insultato dai suoi concittadini: «Questa frenesia di farmi soffrire è cosmica, è atomica!», scrive fin dalla prima lettera, aggiungendo in quella successiva: «Da molti anni sono così tanto infangato, oltraggiato, perseguitato, cacciato, stritolato». Per lui, «la caccia allo scrittore è lo sport nazionale della Francia». A perseguitarlo sarebbe un «branco di sciacalli », in particolare gli intellettuali vicini a Sartre, tanto che, con il suo stile iperbolico, scrive senza mezzi termini: «Attualmente, il nazional-sartrismo sostituisce dappertutto – e con foga – il nazionalsocialismo appena liquidato».
Céline, che non esita a definirsi «un medico fallito, un poeta fallito, un musicista fallito», in realtà desidera più di ogni altra cosa il riconoscimento letterario. La sua è un’ambizione divorante. Vorrebbe vincere dei premi letterari, ottenere la stima dei critici e soprattutto pubblicare le sue opere nella collana della Pléiade, ma l’editore Gaston Gallimard tergiversa. È il motivo per cui lo tratta da «imbecille», definendolo un «disastroso droghiere». E quando finalmente il progetto inizia a prendere corpo e Mondor accetta di scrivere la prefazione, Céline contribuisce direttamente alla costruzione della propria leggenda, fornendo numerose informazioni e indicazioni al medico intento a lavorare sui suoi testi.
Gli ricorda, per esempio, l’infanzia difficile, la partecipazione alla Prima guerra mondiale, le ferite subite, le difficoltà economiche, l’assenza di vocazione letteraria e la decisione di lanciarsi nella scrittura esclusivamente per motivi economici. Un’affermazione che tuttavia non gli impedisce di vantare l’originalità del suo stile: «Secondo la tradizione “all’inizio era il verbo”: io dico di no! “all’inizio era l’emozione”. L’ameba appena sfiorata non parla, si ritrae, s’emoziona... La piccolissima novità del Viaggio è forse questa capacità di ritrovare l’emozione del linguaggio parlato attraverso la scrittura... In fondo, la storia conta poco, io non sono che uno stilista, o almeno ho cercato d’esserlo».
Insomma, in queste epistole sorprendenti il romanziere francese, che non esita ad avvicinare la propria scrittura a quella di Rabelais, un altro medico passato alla scrittura, esibisce senza remore le proprie ossessioni e le proprie frustrazioni, ma anche il suo genio e il suo straordinario talento di scrittore. Motivo per cui leggerle oggi è un modo per inoltrarsi nella personalità complessa di uno dei più grandi scrittori del XX secolo.