Federica Fantozzi, L’Unità 14/1/2014, 14 gennaio 2014
PAOLO TABALLIONE IL RE DEL FLAUTO CHE L’ITALIA NON PUÒ PERMETTERSI
Paolo Taballione, romano figlio di abruzzesi, ha 33 anni e studia flauto da quando ne aveva 10. Vincitore di molte gare internazionali, ha suonato con maestri come Maazel, Muti (che lo ha scelto per l’orchestra Giovanile Cherubini) Temirkanov, Repin. Nel 2008 la sua carriera ha avuto una svolta: ha vinto in un anno tre concorsi da primo flauto solista al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna, e alla Bayerische Staatsoper. E poiché a Firenze c’era il bando ma non il posto congelato per mancanza di soldi - il musicista è volato a Monaco. Da dove, nonostante la nostalgia, non torna.
Ci racconta la sua storia?
«Premessa: le orchestre italiane sono in difficoltà economiche da sempre. A fine anno chiudono in passivo e lo Stato interviene. Nell’ultimo decennio, con la crisi, si è aggiunto il blocco delle assunzioni. Anche se i concorsi si fanno. Se manca un primo flauto al Maggio, si fa il bando per quel posto e c’è un essere umano che lo vince».
È quello che è successo a lei?
«Ho fatto il primo concorso al Maggio nel 2007 e non ho vinto, mi hanno ritenuto troppo giovane. Mi è dispiaciuto, ci tenevo molto».
Che cosa ha fatto allora?
Ho tentato in Germania e ho vinto. Il giorno dopo mi hanno inviato il contratto per fax. Che potevo fare? Non sapevo cosa mi riservasse il futuro. Ho firmato. Anche se volevo restare in Italia. Nella mia incoscienza sottovalutavo un’occasione straordinaria dal punto di vista professionale ed economico.
E siamo all’estate 2OO8. Lei è primo flauto al Teatro dell’Opera di Monaco.
«Ma dato che per me rimaneva una priorità a luglio 2008 ho ritentato con il Maggio e stavolta sono passato. Però l’orchestra era in deficit: il bando è stato non anniullato ma congelato».
Per quanto tempo?
Chissà, mesi o anni. Mi hanno offerto un contratto a progetto. Da precario. Solo un pazzo avrebbe rifiutato l’offerta tedesca. Ma insistevo a restare in Italia. E si è inserito il Comunale».
In che modo?
C’era anche lì un posto da primo flauto vacante. Mi hanno proposto di concorrere. Per me fu l’anno dell’exploit. Bologna era meno dissestata di Firenze, sapeva gestirsi meglio, con dimensioni ridotte e meno pretese artistiche».
Ha vinto il terzo concorso. A quel punto?
Ho chiesto al Comunale di lasciarmi finire l’anno di prova a Monaco per avere il posto confermato. Licenziandomi subito l’avrei perso. Con il timore che in Italia le cose andassero male».
Insomma, non si è fidato.
«Beh, poco dopo il governo ha chiuso le assunzioni per 4 anni. Fino a poco fa il Comunale è stato senza uno dei due primi flauti. E solo nel 2011 mi ha chiamato il soprintendente del Maggio: Taballione, abbiamo il suo contratto...».
È di pochi giorni fa l’annuncio del ministro Bray sul salvataggio della fondazione lirica.
«Sono in contatto con i colleghi, vedremo. Resterà il nome, l’orchestra sopravvivrà. Ma le condizioni di lavoro erano precipitate da anni. E mi dispiace».
Era triste nel lasciare l’Italia?
«Lo sono ancora. Fortunatamente non ci rifletto, ma non ho una valida risposta al perché debba fare il mio lavoro fuori quando potrei farlo a dieci minuti da casa, se le cose andassero meglio».
A Roma?
«Il mio sogno da bambino era diventare primo flauto al Teatro dell’Opera di Roma. A 19 anni si libero un posto. Un’occasione straordinaria, così anche se la probabilità di vincere era remota, mi misi a studiare. Bene: aspettai questo concorso 5 o 6 anni. Tutto bloccato. Fu la mia prima delusione».
Si dibatte molto sui giovani talenti italiani costretti a cercare lavoro fuori. La sua storia è simile a quelle di coetanei?
«Ogni storia è personale. Se io sto qui, un altro ragazzo italiano lavora al Maggio. Il punto è il “come” si lavora».
Come lavora un musicista in Germania?
«Nelle condizioni di rendere al meglio. La mia non è la fuga di un cervello, ho fatto una scelta. In Italia certe professioni non funzionano: c’è chi all’università trova i macchinari rotti, i parenti del capo... Ho cominciato a studiare flauto a 10 anni e lo faccio ogni giorno 4-5 ore. Ovvio che voglia farlo al meglio. È la mia passione e la mia vita».
Che differenze vede con l’Italia?
«Trovo fantastico l’amore del pubblico per la musica, e soprattutto il rispetto che da noi si sta perdendo. Con il teatro sempre pieno vedi ripagato l’impegno. Il potenziale è sfruttato al massimo: più spettacoli più introiti. Si pedala».
Quanto guadagna?
Gli stipendi non sono diversi dall’Italia. Solo che stanno al passo con l’ inflazione e il costo della vita, e non vengono tagliati. Così il divario aumenta».
Se oggi un teatro italiano la chiamasse andrebbe?
»Le nostre orchestre di punta sono la Scala e Santa Cecilia. Lavoro con entrambe. Ma non tornerei. Forse sbaglio, ma vedo un senso di negatività e incertezza sul futuro del mio Paese che mi scoraggia. Monaco è una città europea. Dopo lo choc iniziale , mi sono abituato».
Il suo sogno professionale?
«La Berliner Philarmoniker è la migliore orchestra del mondo. Ma anche Roma, in un’Italia diversa».