Mario Platero, Il Sole 24 Ore 14/1/2014, 14 gennaio 2014
GLI USA RISCOPRONO IL «MADE IN DETROIT»
Come mi dice il nuovo sindaco Mike Duggan, per lui c’è solo una missione centrale: ripopolare la città. Come? Con il rilancio del «business» del settore manifatturiero dove Detroit regna incontrastata. Ma anche dei servizi o della scuola o della ricerca universitaria. Prendiamo il Dime Building. Oggi si chiama oggi Chrysler House, ma solo perché Sergio Marchionne ha deciso di fare un gesto simbolico portando in città degli uffici con una settantina di executive che occupano gli ultimi due piani del palazzo. In cambio ha ottenuto il nome. Ma dietro questo palazzo del 1912, bellissimo, art deco, nel centro di Detroit c’è la storia e la visione di un uomo d’affari diventato leggendario in città. Si chiama Dan Gilbert, ha fondato nel 1985 una società di mutui immobiliare, la Quicken Loans, e negli ultimi tre anni ha investito un miliardo di dollari nel settore immobiliarea Detroit (che vende a prezzi stracciati) e ha riportato al centro, in città, i suoi 8.000 dipendenti in palazzi riorganizzati in uffici moderni. 8.000 persone mediamente giovani che nella maggioranza hanno cercato casa, di nuovo a buon mercato, in città. «Ma l’approccio deve essere metropolitano», mi ha detto il sindaco. Così a Ann Harbor ho visitato il North Campus Research Center della Michigan University.
Ventotto palazzi su una superficie di 174 acri abbandonati dalla grande multinazionale farmaceutica Pfizer che aveva lì alcuni dei suoi più importanti laboratori di ricerca. «Era parte del tessuto universitario, un disastro, una perdita enorme. Poi siamo riusciti a trovare i fondi per rilevare l’intero complesso» mi ha detto David Canter, uno scienziato manager che ha avuto la visione per recuperare e rilanciare il complesso. Oggi con un investimento di 300 milioni di dollari i palazzi sono di nuovo attivi, si conducono ricerche scientifiche, ma si ospitano anche una ventina di «start up» che lavorano nei settori più diversi, con innovazione, nuovo posti di lavoro parte di un tessuto metropolitano di oltre 5 milioni di persone che conta oltre 300.000 attività imprenditoriali.
Ma tornando in città c’è un altro immobile storico che ha ritrovato una vita nuova. Quando la General Motors ha costruito questa palazzina stile Art Deco, undici piani dietro ai suoi vecchi sterminati quartieri generali, l’ha chiamata Argonaut, simbolo di nuove frontiere per la seconda rivoluzione industriale e dell’ambizione sperimentale per il futuro dell’auto. Qui 80 anni fa la GM ha provato e poi introdotto le prime trasmissioni idrauliche. Oggi la palazzina si chiama Alfred Taubman Center for Design Education. Non si fanno più auto sperimentali, ai primi piani c’è una scuola, agli ultimi c’è il College for Creative Studies, una delle più importanti scuole universitarie di design industriale, dove si sperimenta il futuro dell’auto attraverso la linea e il disegno. In mezzo, al quinto piano c’è la fabbrica di orologi, la Shinola inaugurata nel 2011. Il mix scuola-industria coincide con gli obiettivi del nuovo sindaco e la Shinola ha portato 100 nuovi posti di lavoro in citta, soprattutto, è diventata uno dei tantissimi simboli del rinascimento manifatturiero che abbiamo testimoniato in altre regioni americane. In questo caso c’è anche la continuità di una tradizione: «Se siamo venuti a Detroit è perché sapevamo che avremmo trovato il personale giusto, addestrato per svolgere le più delicate operazioni meccaniche» mi dice Brian Ambrozy, uno dei manager della nuova fabbrica. Il progetto è stato disegnato a tavolino dalla Bedrock, una società di venture capital texana, con sede a Dallas, di due fratelli, Tom e Kosta Kartsotis, poggiando su una ricerca di marketing. «Ci siamo accorti – dice ancora Ambrozy – che il consumatore americano paga 3 dollari per un prodotto cinese, 6 dollari per un prodotto Made in Usa ma è pronto a pagare anche 9 dollari per un prodotto Made in Detroit, il marchio cittadino mantiene un che di affidabile, di leggendario...a quel punto dovevamo capire come e dove». Definito il perimetro ci voleva un marchio. Per una coincidenza Tom, il fatello maggiore, che ha lavorato a lungo nel settore del grande consumo viene a sapere che il brand «Shinola» è disponibile. Nulla a che fare con gli orologi. Era un lucido da scarpe lanciato nel 1907 a Rochester nella parte settentrionale dello stato di New York. Ebbe molta popolarità durante la I Guerra Mondiale per una serie di battute sugli stivali di soldati e ufficiali. Alla fine degli anni Venti sponsorizzava uno spettacolo radio con un gruppo che si chiamava «The Shinola Merrymakers». Divenne per decenni un nome tipico della cultura consumistica americana. Poi nel 1960 fallì. Il passaggio dal lucido da scarpe agli orologi può non sembrare consequenziale. Ma per un conoscitore di marchi e di consumo come Kartsotis lo è. Senza mai porsi dei limiti: alla produzione di orologi ha aggiunto anche quella delle biciclette di lusso un po’ retro, diciamo da «crociera». La terza diversificazione è nei prodotti in pelle, derivati sia dai cinturini degli orologi che dalle sacche per le bici. Poi si penserà anche ai lucidi da scarpe ai cosmetici e all’abbigliamento.
Il progetto per gli orologi è stato costruito nel dettaglio con l’aiuto della Ronda una fabbrica di orologi svizzera che ha dato anche una consulenza ingegneristica e di flusso di produzione. Sempre dalla Ronda si importano i 46 meccanismi diversi, di altissima qualità, dalle rotelline alle molle, che vengono assemblati in una cassa disegnata in America molto suggestiva, di nuovo retrò con un quadrante rotondo a doppia cornice, piuttosto grande, rispetto a un orologio normale. Quando ho visitato la fabbrica ho dovuto indossare camice bianco, occhiali e mascherina per non contaminare l’aria.
L’ambiente è asettico. Ho persino trovato due dipendenti italiane, a Detroit per alcuni mesi per addestrare il personale locale. Il prezzo al dettaglio del prodotto finito, di fatto due tipi di orologi e fra i 500 e i 600 dollari. Ma per gli ingranaggi e il lavoro un modello simile di marca internazionale costerebbe anche 3-5000 dollari. E l’America è impazzita, i grandi magazzini, Barney’s, Saks, Neiman Marcus, Bloomingdale’s si sono assicurati la distribuzione. Le vendite tirano, la produzione adesso è di 45.000 pezzi ma potrebbe arrivare alla capacità produttiva massima di 500.000 pezzi al mese. Gli investimenti cumulativi in città mi dice il sindaco ammontano già a 10 miliardi di dollari in tre anni: «Nei prossimi tre ho una certezza: il Made in Detroit sarà una sorpresa per tutti».