Cristiana Pulcinelli, l’Unità 13/1/2014, 13 gennaio 2014
IL SIGNORE DI SPOTIFY
Daniel Ek ha trent’anni e un faccione tranquillo. Occhi azzurri, niente capelli, sorriso pacioso da bravo ragazzo svedese. Non si direbbe proprio un rivoluzionario, eppure ha avuto un’idea che ha rivoluzionato il mondo della musica. L’idea sembra semplice: rendere la musica disponibile per l’ascolto non grazie ad un acquisto, ma grazie a una sorta di noleggio. Per di più gratuito. Era il 2006 e in molti pensarono a questa idea come all’ultimo colpo di accetta su un mercato già agonizzante. Non così Ek che invece andava in giro a dire che quello che lui proponeva, al contrario, era l’unico modo per salvare l’industria discografica. Il tutto avveniva a Stoccolma, perché?
Per capirlo bisogna fare un passo indietro e tornare alla fine degli anni Novanta quando il governo svedese decise di creare una società di nativi digitali. La banda larga divenne una priorità nazionale così come il fatto che ogni cittadino fosse dotato di un computer. In quegli stessi anni però negli Stati Uniti veniva lanciato Napster, il primo programma di file sharing costruito nella logica del peer to peer. In sostanza, entravi nel sito di Napster e potevi scaricare tutta la musica che volevi dagli altri utenti che, a loro volta, scaricavano i tuoi file condivisi. Napster andò avanti dall’estate del 1999 al 2001 quando fu chiuso da un giudice per ripetuta violazione di copyright. Nel frattempo però i giovani svedesi avevano potuto per un paio d’anni accedere gratis e velocemente a tutta la musica che volevano. E ci avevano preso gusto. Tanto che quasi nessuno comprava più dischi. Nel 2003 arrivò Pirate Bay, sito svedese per la condivisione dei file particolarmente «resistente», e l’industria discografica continuò a inabissarsi sempre più velocemente. Basti pensare che, come si legge sul Guardian, nel 1999 il reddito dell’industria discografica raggiungeva i 27 miliardi di dollari, mentre nel 2008 si era dimezzato.
Daniel Ek arriva nel mezzo di questa transizione. I suoi nonni erano musicisti e a 5 anni riceve una chitarra e un computer, un Commodore 20. A 14 anni, nel laboratorio informatico della scuola, comincia a disegnare siti web arruolando i suoi compagni di classe. Nel giro di poco arrivano i primi soldi che vanno tutti in videogiochi. Finito il liceo, Ek si iscrive al Royal Institute of Techology, ma ci rimane solo 8 settimane. Nel frattempo ha trovato un lavoro: una società di web marketing svedese, la Tradedoubler, gli chiede di mettere in piedi un programma che li aiuti nella gestione dell’attività. Il programma funziona così bene che il compenso per Ek è addirittura di un milione di dollari. Un altro milione Ek lo guadagna vendendo alcuni brevetti che ha depositato lavorando per Tradedoubler. Il giovane milionario si compra una Ferrari e una bella casa in campagna, ma è depresso. Torna a Stoccolma e, a 23 anni, comincia a pensare di dedicarsi all’altra sua grande passione e diventare un musicista professionista. È in questo periodo che rincontra Martin Lorentzon, il capo della Tradedoubler. Decidono di mettere in piedi qualcosa insieme, qualcosa che si occupi di musica. Ek è infatti ossessionato da un pensiero: «C’era questo paradosso - racconta in un’intervista al Guardian - le persone ascoltavano la musica più che mai, eppure l’industria musicale stava andando sempre peggio. Quindi, la domanda di contenuti era lì, ma ci voleva un modello di business diverso».
Era il 2006 e nasceva così Spotify, un nome che è l’unione di due parole: «spot» e «identify». Con i capitali investiti, i due soci assumono qualche ingegnere e affittano un appartamento di tre stanze. Ek però non c’è quasi mai, va in giro a cercare di accaparrarsi le licenze delle etichette discografiche. Il principio di Spotify è semplice: gli utenti possono ascoltare in streaming una selezione di brani di varie case discografiche ed etichette indipendenti. Il servizio è gratis, ma se vuoi ascoltare musica per un numero di ore illimitato e senza pubblicità, devi pagare un abbonamento mensile che va da 4,99 a 9,99 euro.
L’idea ha successo: molte etichette accettano la proposta di Ek. Spotify cresce e nel 2008 viene distribuito pubblicamente in alcuni paesi europei. Nel 2010 ha già 10 milioni di utenti, di cui un quarto sono paganti. Nel 2013, per il suo quinto compleanno, Spotify annuncia di avere disponibili per l’ascolto oltre 20 milioni di canzoni e 24 milioni di utenti distribuiti su 32 paesi. Ek è convinto che questo salverà la musica. «Sono assolutamente certo che gli artisti si guadagneranno dignitosamente da vivere», ha detto in una recente intervista. «Più gente comincia ad ascoltare, più la base del pubblico è destinata a espandersi. E quando questo succederà all’industria musicale torneranno indietro più soldi di prima. Sono fiducioso sul fatto che l’intero settore sarà molto più grande e molto più in salute di quanto sia mai stato».