Franco Zantonelli, la Repubblica 13/1/2014, 13 gennaio 2014
IL SEGRETO ALPINO DEI FIGLI ILLEGITTIMI DEL RE D’ITALIA
Inaspettatamente la dinastia dei Savoia si arricchisce di nuovi membri, grazie alla scoperta di un nugolo di figli illegittimi avuti da Vittorio Emanuele III durante le sue vacanze estive sulle Alpi del Canton Ticino. Cinque bambini, nati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, che il “re sciaboletta” (così fu chiamato per la sua bassa statura) concepì con donne della Leventina, una regione situata a ridosso del versante meridionale del massiccio del San Gottardo. Vittorio Emanuele, il penultimo sovrano d’Italia, quello che dopo aver subito Mussolini per un ventennio lo fece arrestare, soggiornò, per un certo periodo, nella località di Chiggiogna, a Villa Dell’Era, una splendida dimora, oggi di proprietà di una ricca famiglia milanese. Da lì, a quanto risulta, partiva per le sue battute di caccia ma, pure, per le sue scorribande amorose.
Vicende su cui, in quella valle, nessuno ama soffermarsi neanche oggi, a oltre un secolo di distanza dai fatti. Anche se, nel 2008, il principe Emanuele Filiberto, pronipote di Vittorio Emanuele III, oggi noto soprattutto per le sue comparsate televisive, si prese la briga di incontrare i discendenti di quei montanari del suo stesso sangue. «Ricevetti una telefonata da un avvocato di Ginevra, il quale mi disse che c’era un mio parente che voleva conoscermi », racconta Giuliano Giulini, oggi 83enne, rimasto sorpreso da quella chiamata, visto che non sapeva di avere dei parenti a Ginevra. Poi, quando comparve Filiberto, tutto gli tornò. «Sospettavo — spiega — che mio padre, nato nel 1895, fosse uno di quei cinque figli illegittimi del re. Ne avevo avuto sentore grazie alle confidenze di un ex segretario comunale che giocava a carte con lui. Inoltre, tenga presente che il mio vero nome di battesimo è Vittorio Emanuele Giuliano, mentre quello di mio padre, come è scritto sulla lapide della sua tomba, è Luigi Emanuele Vittorio».
Va detto che il sovrano non si è mai dimenticato, almeno dal punto di vista finanziario, di quei suoi figli svizzeri. «Tramite la Banca dello Stato del Canton Ticino — dice ancora il signor Giulini — faceva pervenire a ognuno di loro 10 mila franchi svizzeri l’anno. A condizione, però, che non facessero domande sulla provenienza di quei soldi». «Mio nonno — ha raccontato un’altra persona, al settimanale Il Caffè di Locarno — cercò di saperne di più e l’accredito dei 10 mila franchi cessò immediatamente». Questo testimone si rifiutò, tuttavia, di incontrare Emanuele Filiberto, spiegando che la sua famiglia ha sempre preferito non parlare di quel passato, come se le creasse imbarazzo. «Mio nonno lo ha sempre vissuto male. Si sentiva un po’ come Oliver Twist ». Il signor Giulini, invece, manifesta una certa riconoscenza, nei confronti di Vittorio Emanuele. «Anche se — ci tiene a precisare — mio padre nacque con lo spirito del vagabondo, tanto che il matrimonio con mia madre durò pochissimo». E poi c’è la storia di quell’abito decisamente particolare, almeno per un panorama alpino svizzero, che gli fu fatto indossare il giorno della cresima. «Un vestito da marinaretto del Regno d’Italia: eravamo in due ad averlo uguale, l’altro bambino era il figlio di un dentista».