Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 13 Lunedì calendario

COSÌ STAMINA SBARCÒ A BRESCIA “I PRIMI MALATI? RACCOMANDATI”


Da uno scantinato torinese a uno dei più importanti ospedali pubblici italiani. La storia di Stamina prosegue così, con un incredibile e improvviso salto di qualità che proietta il misterioso preparato del professor Davide Vannoni dalle cliniche estetiche di San Marino e dai laboratori nei sottoscala di un call center, agli Spedali Civili di Brescia, considerati un centro di eccellenza sanitaria in Italia. Avviene nel settembre 2011, quando ormai è già pubblico da almeno 4 mesi che la Procura di Torino indaga con ipotesi di reato che suggerirebbero la massima cautela: associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione pericolosa di farmaci. Come è possibile che tutto ciò sia accaduto? Come ha fatto, cioè, una pratica che tutta la comunità scientifica italiana e internazionale considera priva di fondamenti ad approdare in uno degli ospedali migliori d’Italia? E perché proprio in Lombardia?
Per capirlo, bisogna scorrere la lista dei primi 12 pazienti trattati agli Spedali Civili con il metodo Stamina (8 adulti, 4 bambini), dove si scopre che ci sono almeno due malati «eccellenti»: ovvero l’uomo che per primo decide di sottoporsi ai miracolistici effetti di Stamina, cioè il direttore vicario della Sanità lombarda, Luca Merlino, affetto da una malattia degenerativa a lenta progressione come da lui stesso dichiarato in un’intervista alle «Iene», e il cognato della direttrice Sanitaria dell’Ospedale, Ermanna Derelli.
Quanto la presenza di questi due malati abbia pesato nella decisione dell’Ospedale di Brescia di aprire i battenti a una terapia che non aveva alcun presupposto scientifico certificato e da alcuni mesi nel mirino della Procura torinese, lo spiega il dottor Marino Andolina, il principale socio di Vannoni, vicepresidente di Stamina e parimenti indagato per associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla somministrazione di farmaci imperfetti e pericolosi per la salute: «A Brescia - racconta in un’intervista a Presadiretta che andrà in onda questa sera - c’era un interesse di importanti personaggi di vedere curati se stessi e i propri congiunti. Un dirigente della Regione Lombardia aveva un problema, una malattia neurologica progressiva. Ha pensato che potevamo curarlo e ha favorito l’ingresso del nostro metodo negli Spedali di Brescia. Anche i dirigenti locali avevano qualche fratello, cognato o marito da curare, col morbo di Parkinson. Abbiamo perciò deciso di curare prima i raccomandati, così poi saremmo riuscire a far entrare i nostri bambini».
Dunque, nella migliore tradizione italica, «prima i raccomandati». In modo da aderire alla mission sbandierata fin dal 2010 da Vannoni nel suo blog Cellule staminali adulte: «Ottenere la prosecuzione delle terapie già intraprese... fare pressione affinché tali cure divengano applicabili in Italia presso ospedali pubblici e rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale». Un progetto che, se messo in pratica, stando ai dati forniti da Stamina sulle richieste di pazienti, 25 mila domande, costerebbe allo Stato circa 4 miliardi di euro (fonte: Sole 24 ore).
Che il metodo Stamina non sia precisamente un fiore all’occhiello degli Spedali Civili, lo si capisce dagli imbarazzi di medici e infermieri appena si chiedono informazioni a riguardo: nessuno sembra saperne più nulla. E dalle chiacchiere che corrono su malati «fantasma» che sarebbero entrati senza neppure essere registrati all’accettazione. E che dunque, sospettano gli inquirenti, avrebbero pagato sottobanco le cure miracolistiche promesse da Vannoni. Eppure, per poco meno di un anno, tra l’ottobre 2011 e il maggio 2012, quando la convenzione con il metodo di Davide Vannoni è stata disdetta in seguito a una decisione dell’Aifa che ha considerato la cura «pericolosa per la salute», queste mura circolari di epoca fascista sono state meta di pellegrinaggi della speranza e di entusiasmi un po’ troppo precoci, delusi dalle relazioni degli esperti nominati dalla Procura di Torino: «I miglioramenti che alcuni famigliari dei pazienti, nel corso delle cure, avevano creduto di rilevare, non sarebbero suffragati dai primi test».
E ancora adesso che alcuni giudici ordinano ogni tanto al nosocomio bresciano di riaprire i battenti per interventi eccezionali quanto sporadici (l’ultimo, su un bambino, non più di una settimana fa), con costi esorbitanti per le spese legali, è difficile trovare tracce concrete di Stamina o del laboratorio dell’ospedale dove venivano trattati i prelievi di midollo osseo, che una relazione dei Nas e dell’Aifa ha giudicato «assolutamente inadeguato sia dal punto di vista strutturale sia per le cattive condizioni di manutenzione e pulizia».
Nessun cartello, nessuna indicazione, risposte vaghe e infastidite. Un solo mantra: chiedete alla direzione sanitaria. Ma la direzione sanitaria, nella persona della dottoressa Ermanna Derelli, stimata manager e moglie di un altrettanto stimato pm della Procura di Brescia, attraverso una gentile segretaria, fa sapere di non avere risposte da dare. A quasi trecento chilometri di distanza, un’altra procura, quella di Torino, l’ha iscritta sul registro degli indagati nell’inchiesta sulla truffa di Stamina insieme a un’altra decina di persone dell’ospedale di Brescia. Quanto a Merlino, dal suo ufficio, nega di aver fatto pressioni per fare aprire le porte del Civile a Vannoni: «In questa vicenda sono solo un paziente e come tale vorrei venire trattato».
Nella relazione di 39 pagine compilata dai Nas e dall’Aifa dopo un’ispezione a Brescia si legge però che Merlino veniva tenuto al corrente della corrispondenza tra il direttore del Civile (deceduto nel febbraio del 2013) Cornelio Coppini e Carlo Tomino dell’Aifa e che avrebbe anche risposto «ringraziando» a una mail del 5 agosto 2011. «Ricevo centinaia di mail al giorno - si è difeso Merlino - per quel che ne so, potrebbe anche aver risposto la mia segretaria per cortesia». Inoltre Merlino ottiene di essere trattato da Stamina presso l’ospedale bresciano prima ancora che questi firmi la convenzione.
Ma la relazione, che adesso è alla base del filone dell’inchiesta torinese su Brescia, sostiene anche che «il laboratorio cellule staminali degli Spedali Civili non aveva la richiesta pregressa esperienza di preparazione di medicinali per terapia cellulare somatica». E non ce l’aveva nemmeno la responsabile del laboratorio, Arnalda Lanfranchi, moglie di Fulvio Porta, direttore dell’oncoematologia pediatrica e coordinatore del progetto di collaborazione con Stamina. Il quale a sua volta ha fatto presente agli ispettori «di avere avuto contatti con il dottor Luca Merlino, dirigente dei servizi sanitari della Regione e che era a conoscenza del fatto che il dottor Andolina... aveva trattato pazienti con cellule staminali mesenchimali secondo il protocollo Stamina...».
E qui, per il momento, il cerchio si chiude. In attesa che il pm Guariniello stabilisca il grado di buona o cattiva fede che ha guidato certe scelte. E soprattutto, quanto tutto ciò sia costato alle casse pubbliche.