Luca Ricolfi, La Stampa 13/1/2014, 13 gennaio 2014
IL LAVORO NON LO CREANO I DILETTANTI
Avete presente Qui, Quo, Qua e il Manuale delle giovani marmotte? i tre nipotini svegli e saggi, che indagano, capiscono, sbrogliano le situazioni? e alla fine tirano lo zio Paperino fuori dai guai in cui si è cacciato…
Ci ho provato a fermare il flusso dei ricordi, ma non ci sono riuscito. Più mi addentravo nella cronaca politica, più leggevo quel che Renzi e i suoi dicono e ripetono in questi giorni, più la sensazione di essere in un episodio di Paperino si impadroniva inesorabilmente di me.
Prima le battute, non si sa se originali o un po’ trasfigurate dai suoi, sul povero e confuso zio Paperino, il presidente del Consiglio Enrico Letta: «Ormai siamo diventanti i badanti di questo governo. Sanno solo combinare guai e noi dobbiamo rimediare» (la Repubblica, 9 gennaio). Poi le baldanzose parole con cui la giovane marmotta Renzi presenta la prima versione del «Jobs Act»: «Qui c’è un sommario, con le prime azioni concrete, formulato insieme ai ragazzi della segreteria a partire da Marianna, che si occupa di lavoro, e di Filippo, che è responsabile economia».
La sensazione di essere in un fumetto di Walt Disney è irresistibile.
La stragrande maggioranza delle persone normali, che lavorano e non vivono di politica e di talk-show, sa forse chi è Qui-Matteo, ma non ha la minima idea di chi siano Quo-Filippo e Qua-Marianna. Ma non importa, quel che importa veramente è solo il messaggio: siamo amici, siamo ragazzi, siamo ottimisti, abbiamo un piano per voi. Un piano che vi salverà, farà ripartire l’Italia, un Paese «che ha le risorse per essere leader in Europa e punto di attrazione nel mondo» perché il mondo «ha fame di bello, quindi di Italia».
Mah, sono perplesso, e anche un po’ pentito. Pensate un po’. Non ho mai avuto la tessera di un partito. Non ho mai votato Pd. Però alle penultime primarie (quelle vinte da Bersani e perse da Renzi) ero andato a fare la coda e a votare. A votare per lui, mentre quasi tutti i miei amici e conoscenti preferivano Bersani (ora preferiscono Renzi). Ho votato per Renzi non solo e non tanto perché con lui avevamo l’occasione di archiviare Berlusconi (anziché eliminarlo per interposta magistratura), ma perché mi ero scaricato da youtube il discorso di Verona, e ci avevo trovato diverse ottime idee. Perché avevo letto il suo programma, e molte proposte mi sembravano non solo giuste, ma realistiche, e realizzabili in tempi brevi. Perché con Renzi avevano lavorato o lavoravano persone di grande valore, studiosi con delle idee sul futuro dell’Italia. Gente che da anni analizzava i problemi, e pensava le soluzioni. Che quasi sempre sono complesse, controintuitive, e richiedono anni di duro lavoro sui dati, sulle leggi, sul funzionamento dell’economia e della società. Insomma, mi pareva che nel giornalino a fumetti del sindaco di Firenze un posto di rilevo fosse riservato anche ad Archimede pitagorico, non solo allo zio Paperino e ai suoi simpatici nipotini.
Vedo ora che le cose non stanno così. Il mercato del lavoro è, probabilmente, l’oggetto più complesso di cui la politica possa essere chiamata ad occuparsi. Riformarlo in modo non disastroso richiede competenze di economia e di diritto che si acquisiscono solo in anni e anni di studi. E infatti, molto saggiamente, Renzi aveva fatte sue diverse proposte degli esperti, e segnatamente il «Codice semplificato del lavoro» di Pietro Ichino, un testo frutto di anni di lavoro e ormai perfettamente pronto ad essere trasformato in legge dello Stato. Una riforma a costo zero che renderebbe più facile fare impresa in Italia, e che si può varare in pochissimo tempo, se c’è la volontà politica. Ora invece, in una situazione in cui non si sa neppure se il governo arriverà a maggio, Renzi parla di «presentare» (notate bene: presentare, non approvare) il Codice semplificato «entro 8 mesi», ossia entro settembre (Jobs Act, Parte C, punto 1).
Che cosa è successo? Renzi non condivide più il testo che egli stesso ha sottoscritto più di un anno fa? Ne ha pronto un altro e diverso? Perché far passare tanto tempo? Che fine ha fatto il decisionismo del sindaco di Firenze? Come si fa ad accusare lo zio Paperino di inerzia, di lentezza, di praticare la politica degli annunci, se poi Qui-Quo-Qua, con l’unico disegno di legge pronto, perfezionato in anni e anni di lavoro e di consultazioni, prevedono di «presentarlo» l’autunno prossimo?
Di per sé, questa esitazione non sarebbe preoccupante se il resto del documento contenesse proposte precise, piani dettagliati, idee incisive e ben strutturate. Ma non è così. La bozza del «Jobs Act» è, per ammissione dei suoi stessi estensori, poco più che un insieme di «spunti», su cui – dicono – «ci apriremo alla discussione. Con tutti». Ma che tipo di discussione? E che significa «con tutti»?
La risposta ce la dà lo stesso Renzi nell’intervista di ieri al Corriere della Sera: «Abbiamo sottratto la discussione agli “esperti” e l’abbiamo portata in pubblico. I dilettanti hanno fatto l’arca. Gli ‘esperti’ hanno fatto il Titanic». Come dire: la specie si è salvata con l’arca di Noè, opera di dilettanti, il disastro del Titanic è quel che ci aspetta se ci affidiamo agli esperti.
Curioso. Negli ultimi anni un simile elogio dell’incompetenza l’avevo sentito solo dalla deputata Pd Marianna Madia («metto la mia inesperienza al servizio del Paese»), nelle cui dichiarazioni, tuttavia, almeno si poteva avvertire una punta di autoironia. Con Renzi no. La metafora dell’arca di Noè e l’elogio del dilettantismo sono così sfacciati che l’intervistatore, Aldo Cazzullo, non riesce a trattenersi e gli chiede: «È segretario da un mese e già si celebra?».
Difetto di stile a parte, resta la domanda di sostanza: perché Renzi snobba gli esperti ed esalta i dilettanti?
L’unica risposta che riesco a darmi è la seguente. Il problema numero 1 di Renzi non è costringere lo zio Paperino a riformare il mercato del lavoro in modo utile all’Italia. Se questo, o principalmente questo, fosse il suo scopo, incalzerebbe il governo con proposte ben definite, scelte fra le molte che sono disponibili da anni e che un aspirante premier dovrebbe ben conoscere. Il problema numero 1 di Renzi, a giudicare dai suoi comportamenti, è logorare Letta, e al tempo stesso convincere l’elettorato che solo lui, l’enfant terrible della politica italiana, potrà fare quello che il duo Letta-Alfano non sono stati in grado di fare.
Per questo servono i dilettanti. I dilettanti sono perfetti per aprire dibattiti, lanciare slogan, animare i talk-show, riempire le cronache dei giornali di «retroscena» più o meno succosi. I dilettanti sono preziosi sia perché alimentano l’idea che i problemi abbiano soluzioni semplici, sia perché aiutano a creare un clima di partecipazione (o di guerra di tutti contro tutti) che permette ai leader populisti di offrirsi come salvatori della patria. L’idea di Grillo di far scegliere la legge elettorale alla mitica Rete non è molto distante dall’idea di Renzi di affidare ai dilettanti un problema formidabile come la riforma del mercato del lavoro.
Del resto, basta provare a immaginare che cosa succederebbe se Renzi avesse il coraggio di proporre, anzi di imporre, al premier Letta una delle proposte messe a punto dai detestati esperti di mercato del lavoro, i vari Ichino, Boeri o Garibaldi. Il risultato sarebbe la spaccatura del Pd, l’ostilità della Cgil e della Fiom, un’ennesima rottura del fronte di sinistra fra riformisti e massimalisti. In breve: Renzi potrebbe candidarsi a premier, ma senza l’appoggio pieno e convinto del suo popolo.
Ecco perché quel che mi aspetto, di qui a marzo (poi la campagna elettorale sommergerà tutto e tutti), sono solo diversivi. Tanti discorsi su legge elettorale, riforme istituzionali, costi della politica, ma pochissime azioni veramente incisive per dare un posto di lavoro ai giovani e alle donne.
Per ridurre i costi della politica basta una rivolta popolare, ma per riformare il mercato del lavoro, sfortunatamente, ci vogliono persone competenti, molto competenti. Fossi Renzi, mi terrei stretto il Manuale delle giovani marmotte ma non rinuncerei mai a fare due chiacchiere con Archimede Pitagorico.