Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  gennaio 12 Domenica calendario

QUELLE BANCHE IN GERMANIA SALVATE DA NOI EUROPEI


Con un efficace paragone, l’economista Luigi Zingales ricorda che l’euro è un progetto analogo alla Conquista del Messico da parte di Cortes che si bruciò le navi alle spalle per impedire ogni tentazione di ritirata ai suoi uomini. Quando partì l’euro, chi lo volle sapeva che si trattava di un progetto incompleto che avrebbe probabilmente avuto bisogno di importanti aggiustamenti. Il vertice europeo del giugno 2012 mise a fuoco quelli più urgenti.
Tra essi, si individuarono una Banking Union per evitare la balcanizzazione del mercato comune, oltre che del sistema bancario, e una Fiscal Union per prendere atto che, entrando nell’euro, tutti gli Stati nazionali si ritrovarono indebitati in una moneta che non potevano più emettere. E debiti pubblici in moneta estera superiori al 60% del Pil si sono storicamente quasi sempre dimostrati insostenibili.
Entrambi i progetti sono da allora osteggiati dalla signora Merkel, che vede nella Banking Union e negli eurobond il salvataggio delle banche e degli Stati dei Paesi più deboli della periferia dell’eurozona a spese della Germania. Ma, superata la tornata elettorale tedesca, è ora di prendere atto che uno dei maggiori effetti imprevisti dell’attuale architettura incompleta dell’eurozona è che tutte le nazioni europee in solido hanno in pratica salvato il sistema bancario tedesco dai rischi dei crediti dubbi accumulati come contropartita dei surplus commerciali persistenti della Germania. A tutti gli effetti, un bailout di oltre 500 miliardi di euro del sistema bancario tedesco da parte dei partner europei di cui pochi si sono ancora accorti.
Dai primi anni 2000, la Germania accumula avanzi commerciali persistenti verso alcuni partner europei. Nell’ambito di un’unione monetaria, un Paese esportatore netto, che consuma e investe meno di quanto produce, non può che accumulare passività finanziarie dei Paesi importatori netti come pagamento ed essere quindi esportatore netto di capitali verso i Paesi importatori di merci.
Gli americani chiamano questa dinamica vendor-financing : ti vendo qualcosa ma te ne finanzio l’acquisto. Una politica commerciale che dà facili successi ma che alla lunga è estremamente pericolosa, come prima o poi rischiano di scoprire anche i cinesi che finanziano il Tesoro Usa. E infatti il sistema bancario tedesco, a furia di erogare credito che andava a finanziare anche le bolle immobiliari in Spagna e Irlanda (ma anche in Usa, tanto che la prima banca saltata nella crisi dei Subprime fu la tedesca Ikb nel 2007) si ritrovò nel 2008 esposto per più di 900 miliardi di euro verso i Paesi della periferia dell’eurozona. Cifra pari a oltre due volte e mezzo il capitale totale delle banche tedesche.
Inizialmente la Banca centrale europea (Bce) fece imporre a Paesi come l’Irlanda, che avevano finanze pubbliche perfettamente sane, di rovinarle per salvare il proprio sistema bancario. A vantaggio anche delle banche estere creditrici che poterono rientrare dai crediti facili erogati. Anche gli altri Paesi dovettero garantire i propri sistemi bancari, peggiorando il proprio merito di credito sovrano e quindi indebolendo ulteriormente il loro sistema bancario carico di obbligazioni dello stesso Stato. E i flussi interbancari internazionali si invertirono.
Al persistere della crisi, alla fine del 2011, la Bce decise di erogare credito generoso a buon mercato (Ltro) per evitare l’avvitamento dell’aumento dei tassi sul debito sovrano e bancario. Manovra giustamente presentata da Draghi come di politica monetaria, perché l’aumento dei tassi stava distruggendo il mercato comune forzando le aziende dei Paesi periferici a finanziarsi a tassi molto più alti dei loro concorrenti in altri Paesi e impedendo la trasmissione degli stimoli monetari espansivi della Bce a sostegno delle economie in crisi.
Coi soldi ricevuti, le banche dei Paesi periferici in crisi in parte proseguirono il rimborso dei crediti interbancari ricevuti soprattutto dalla Germania e in parte ricomprarono dall’estero il debito sovrano nazionale.
Ma quando una banca tedesca chiede a una banca italiana di rimborsare un credito interbancario, o di pagarle un Btp che le ha venduto, la banca tedesca vuole essere accreditata presso la Bundesbank. La banca italiana quindi chiede alla Banca d’Italia di addebitarla in conto e accreditare la Bundesbank. Il rapporto tra le due banche private si estingue ma la Bundesbank resta creditrice, e la Banca d’Italia debitrice, sul sistema di pagamento della Bce noto come Target 2.
E infatti, mentre l’esposizione verso la periferia dell’eurozona del sistema bancario tedesco scese da oltre 900 miliardi di euro del 2008 ai 380 circa di oggi, il saldo creditore della Bundesbank su Target 2 esplose e si colloca oggi a oltre 520 miliardi.
In questo processo, il settore privato tedesco si è disfatto di molti crediti dubbi. Non sente più il rischio, e non trasmette quindi alla politica l’urgenza di venire incontro ai debitori per sperare di vedere rimborsati almeno parte dei finanziamenti erogati all’estero. Facile quindi pretendere la ristrutturazione del debito pubblico greco, ormai venduto, o il bailin dei depositanti ciprioti. E diventare intransigenti dopo aver inondato l’Europa del credito facile creato dalle proprie esportazioni e di cui ci si è nel frattempo largamente disfatti.
Ma la maggior parte del credito concesso dalle banche tedesche alla periferia dell’eurozona è stato in pratica semplicemente passato alla Bundesbank come saldo di Target 2. E dei saldi di Target 2 rispondono in solido gli azionisti della Bce, e quindi anche la Germania, ma solo per il 27%. Ecco quindi come il sistema bancario tedesco è stato di fatto salvato mutualizzando i suoi crediti dubbi verso la periferia a spese di tutti i Paesi dell’eurozona.
L’Italia ha i suoi drammatici problemi. Gli altri Paesi periferici, meglio di noi, stanno già ristrutturandosi. Ma, diversamente da loro e dalla stessa Germania, l’Italia non ha avuto un peggioramento altrettanto vistoso delle finanze pubbliche e degli squilibri dei conti con l’estero da quando ha aderito all’euro. Avrebbe quindi buon titolo, se appena riuscisse a fare qualche vero progresso in campo domestico, per chiedere alla Germania quella solidarietà che ora nega dopo averne, inconsciamente, approfittato. E rilanciare così, al suo turno di presidenza tra pochi mesi, il progetto europeo.