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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

BOB WILSON, IL LOUVRE DEI SUOI STIVALI


E meno male che la Nike di Samotracia risulta al momento irreperibile causa improrogabili lavori di restauro che dovrebbero concludersi solo questa estate. Altrimenti raggiungere la camera-dépendance che Bob Wilson ha messo in piedi, fino al 14 febbraio, al Louvre sarebbe stata un’impresa quasi impossibile. Perché Living Rooms , questo è il titolo dell’installazione firmata dall’eclettico artista texano profeta del radical-minimal-snob, si trova già schiacciata tra le due presenze femminili molto ingombranti che polarizzano l’attenzione dei visitatori, obbligandoli a marce forzate e a gimkane spesso insensate: da una parte la Gioconda di Leonardo, a quanto pare unico simbolo universalmente identificabile di un museo da otto milioni di passaggi all’anno; dall’altra Lady Gaga, che proprio Wilson ha trasformato per la sua mostra parigina nel Marat assassinato nel bagno di Jacques-Louis David, tableau vivant elettronico che riesce persino a rubare la scena e l’obiettivo dei turisti a Monna Lisa (meno successo sembrano invece riscuotere i Video Portrait della Germanotta come il Giovanni Battista del Solario o l’infelicemademoiselle di Ingres).
Problemi logistici a parte, il progetto avviato dal Louvre nel 2005 con l’ex ministro della Giustizia francese Robert Badinter di trasformare intellettuali e artisti in «curatori per un giorno» o quasi del museo sembra aver trovato con il 73enne Wilson (nato a Waco il 4 ottobre 1941) la sua più felice messa in scena. Dopo Badinter (che si era dedicato al tema delle carceri utilizzando, ad esempio, le stampe ottocentesche di Horace Vernet) c’erano stati così Toni Morrison, Anselm Kiefer, Pierre Boulez, Umberto Eco, Patrice Chéreau, Jean-Marie Gustave Le Clézio: a loro era stato chiesto di creare la propria playlist ideale di opere d’arte, giocando su un tema a loro particolarmente caro (il corpo, le frontiere, i frammenti, l’infinità delle liste, il museo del mondo) e scegliendo tra le collezioni dei musei parigini e quelle personali per allestire una personalissima living room . Anche perché, come ha ribadito l’attuale presidente-direttore Henry Loyrette che si appresta a lasciare la carica a Jean-Luc Martinez (l’insediamento ufficiale è fissato per il prossimo 15 aprile), «uno dei compiti del museo è quello di mettere le sue opere a disposizione degli artisti»
Nel catalogo ideale del Nobel Morrison c’erano così La zattera della Medusa di Géricault, l’ultimo autoritratto incompiuto di Francis Bacon e Retranslation , installazione happening di Peter Welz e William Forsythe; in quello di Kiefer (oltre a Athanor, lavoro site-specific dedicato appunto al Louvre) una valanga di disegni e schizzi italiani, da Tiepolo a Palma il Giovane, dalla scuola di Raffaello a Francesco Francia. Eco aveva invece riunito sotto la denominazione Mille e tre (titolo della mostra che aveva curato e ispirato al Don Giovanni di Mozart) gli elenchi contemporanei firmati da Annette Messager, John Baldessari, Herman de Vries e Louise Bourgeois accanto agli inventari ottocenteschi di Johan Barthold mentre l’altro Nobel scelto dal Louvre, Le Clézio, aveva assemblato Basquiat con una testa romana di Atena, un’installazione anticonformista di Bertrand Lavier (Black et Decker ) con una statuetta magica dell’Africa centrale. A margine, poi, una lunga programmazione (differente per ciascuno dei curatori) di concerti, conferenze, spettacoli.
Ma se ognuno di loro aveva portato «solo» qualcosa di privato nelle stanze del museo, Wilson si è spinto oltre, da buon performer a tutto campo, traslocando nella Salle de la Chapelle con «gli oggetti da cui trae la propria ispirazione artistica», oggetti che arrivano dal suo appartamento newyorkese e dalla sua casa-fondazione di Watermill, Long Island, dove vengono accolti giovani artisti in cerca di fortuna. Il risultato è uno spazio ideale (lontanissimo dai clamori della Gioconda e di Lady Gaga) in bilico tra stanza da letto, salotto, wunderkammer, laboratorio surrealista. Al centro, chiuso da una quinta che sembra quasi rubata dall’allestimento degli Shakespeares Sonette di Spoleto o della Madame Butterfly a suo tempo messa in scena da Wilson per l’Opéra de Paris (dove ritornerà dal 14 febbraio), un grande letto e un paio di stivali texani argentati, mentre, a ribadire la dimensione molto privata di queste Living Rooms , c’è una vasca da bagno di legno, copia di quella realmente presente nell’appartamento del regista, ma anche diretto omaggio al made in Italy visto che si tratta della Woodline prodotta dalla mantovana Agape.
Alle pareti (l’allestimento è co-curato da Wilson e Philippe Malgouyres) c’è poi una corposa selezione della collezione personale di Wilson, iniziata quando aveva solo dodici anni, sublime sintesi di una raffinatezza formale solo all’apparenza low-cost, ma sempre e comunque trendy: un guanto di lana rosa da bambino trovato sulla Settima Avenue a New York («La mia collezione come quella di Breton e degli altri surrealisti si integra con oggetti trovati che non saranno mai perduti, sia che si tratti di un biglietto del treno, di un telefono in plastica rossa, di una pagina strappata di giornale»); il primo (non proprio bellissimo) quadro acquistato da Wilson per 75 centesimi; il ritratto di Albert Einstein che gli avrebbe ispirato nel 1976 il suo primo spettacolo di successo Einstein on the Beach ; una maschera degli inizi del XX secolo che arriva dall’Isola di Nunivak (al largo dell’Alaska); una sedia degli Shaker e altre di Wright, Rietvield e Gio Ponti; una fotografia scattata da Mapplethorpe con Philip Glass e Wilson giovanissimi; un vaso del ceramista tedesco Hedwig Bollhagen; una statua di Buddha (Laos, XVIII secolo); una moneta di piume delle Isole Salomone (non a caso al Metropolitan Museum di New York fino al 2 marzo c’è una mostra, Feathered Walls, dedicata alle piume).
È uno strano mix di disegni, ceramiche, maschere, oggetti etnici, opere d’arte e pezzi di design modernista che sembra assolutamente casuale, ma che non lo è. Almeno nel caso di Bob Wilson perché ci vuole davvero coraggio per mettere insieme il piccolo quadretto di Paul Thek (1933-1988), artista emergente da poco passato per una retrospettiva dal Whitney, e un paio di scarpette di Marlene Dietrich. Il coraggio del collezionista.