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 2014  gennaio 13 Lunedì calendario

L’ULTIMA TESTIMONE DI BERLINO ’36


Mai chiedere l’età alle signore. Ma c’è un certificato di nascita trascritto nei servizi demografici del comune di Brescia a sottrarci dall’imbarazzo: 14 ottobre 1914. Novantanove stagioni ed oltre sulle spalle di una signora che fu atleta, testimone diretta, e dunque reliquia agonistica, al tempo dell’Olimpiade berlinese del 1936.
La signora è Gabre Gabric. Lo sport come vocazione irriducibile. Discobola in arte atletica, due partecipazioni olimpiche, ventidue presenze in nazionale, quattro titoli e sette primati italiani. Un marito, Alessandro Calvesi, vale a dire l’eccellenza tecnica predicata internazionalmente fino alla scomparsa. Un genero, Eddy Ottoz, fuoriclasse degli ostacoli, l’unico bianco capace d’impensierire e battere i fenomeni neri, podio nel ’68 a Città del Messico e cinque titoli continentali. Un nipote, Laurent, trasgressore in famiglia avendo tolto al padre un primato sui 110 rimasto imbattuto per 26 anni.
Nella residenza bresciana e da una mente conservata in disarmante lucidità raccogliamo brani d’una lunga vita legata a filo doppio con la pratica sportiva.
«Vissi la primissima infanzia a Zara, trascorrendo poi sei anni a Chicago da uno zio. Quando, quindicenne, rientrai in Dalmazia, ignoravo praticamente l’italiano. Respirai la vitalità di quel magnifico pezzo d’Italia che avrebbe di lì a poco visto nascere fenomeni come Ottavio Missoni e Cesare Rubini che ritrovai anni dopo ai Giochi di Londra del 1948, quelli dell’immediato dopoguerra: una città affascinante piegata e piagata dai bombardamenti, e grande fame, ovunque, anche tra gli atleti».
Su Berlino, la sua prima Olimpiade, «parliamo del paleolitico», le memorie sono un torrente, ed è necessario farne selezione.
«Confesso, la mia gara fu un fallimento, pioggia e freddo, le mani gelate, un disco che sembrava di piombo e un giudice di gara nevrotico che pretendeva ad ogni lancio la ripresa e la pulizia dell’attrezzo. Pessima figura. Ma il resto dell’esperienza tedesca fu vacanza, esaltata dai successi italiani, atletica compresa, con la vittoria di Ondina Valla sugli 80 ostacoli e i sette millesimi che tennero sotto il podio nella stessa finale la mia amica più cara, Claudia Testoni, poi dominatrice della specialità con il titolo europeo e tre primati mondiali. Ricordo il grande Giulio Gaudini nel fioretto, gli altri schermidori, la finale contro l’Austria degli azzurri del calcio con i due gol di Annibale Frossi, il ct Vittorio Pozzo, un galantuomo, impegnato personalmente nella stiratura delle sue camicie. Ricordo la visita al villaggio di Umberto di Savoia, l’amabilità e l’educazione di Jesse Owens, il suo gesto, rimasto indelebile nella memoria della velocista italiana, poggiare una coperta sulle spalle intirizzite di Fernanda Bullano nel giorno delle finali delle staffette 4x100. Ho un ricordo confuso di Hitler in tribuna. Superfluo dire che avrebbe pagato oro perché nel salto in lungo vincesse Luz Long, l’ariano Long. Ma la mancata stretta di mano ad Owens, che leggo spesso citata, è un falso storico, poiché fin dalla prima giornata di gare il cerimoniale del Comitato olimpico internazionale era intervenuto a chiarire i dettagli del protocollo».
Per Gabre Gabric il dopo Berlino fu ancora a lungo agonismo, la conoscenza di Sandro Calvesi in un raduno collegiale a Parma, il matrimonio nel 1941 in piena guerra, una parentesi calabra a Catanzaro con la locale squadra di basket, l’immersione nello sport con la fondazione dell’Atletica Brescia 1951, la gestione, a fianco del marito, fino al 1980, dell’intensa attività organizzativa locale e internazionale, il giornalismo, praticato assiduamente, le dirigenze negli organismi sportivi locali, la presenza fissa, fino all’altro ieri, nei vari campionati master disseminati sul territorio nazionale, «mi spiace, sono ferma da due stagioni, ho l’energia di una quercia, ma l’età è l’età... al supermercato sono seguita, ma a distanza, da un’assistente, ho figlie, generi e nipoti meravigliosi, ma in cucina non desidero nessuno, scelgo io cosa mangiare».
Tocco finale, una insospettabile passione giallorossa: «In televisione, telegiornali nelle ore canoniche e sport, atletica avanti tutto, quando è stagione, e calcio, sempre. Un grande gioco, spesso rovinato dall’ambiente. Colori preferiti, quelli rossoneri del Milan. Ma devo rivelare un debole per le maglie romane e un’attenzione particolare per Francesco Totti: fuoriclasse in campo e persona rimarchevole, con la sua sorprendente autoironia, con una vita privata lontana dai riflettori, con la sua generosità, mai dichiarata né tantomeno ostentata. Roma e Brescia sono lontane, ma gli stringerei volentieri la mano».
Augusto Frasca