Maria Pia Fusco, La Repubblica 12/1/2014, 12 gennaio 2014
A HOLLYWOOD IO PREFERIVO ROMA
Un piccolo soggiorno, due poltroncine, un tavolinetto d’appoggio, una libreria, una decina di ritratti disegnati alle pareti, una finestra sul Tevere. È qui che vive Piero Tosi, una casa semplice nel centro di Roma, vicino piazza Navona. Niente ricorda la sua magnifica carriera, il maestro che del costume ha fatto un’arte, che per cinquant’anni ha vestito il teatro e il cinema italiano più bello. Quello di Visconti, Pasolini, Monicelli, Bolognini, De Sica, Cavani, Zeffirelli. «Non c’è spazio, sono due camere e cucina, c’era roba ovunque, neanche un posto per sedermi. Mi sono liberato di tutto, il materiale fotografico è al Centro Sperimentale e il resto al Fondo Gramsci. Io non ho più bisogno di niente», dice sbrigativo, senza amarezza.
Nessun rimpianto. L’ultimo film nel ’93, La Traviata, e poi una consulenza a Gianni Amelio per Le chiavi di casa.
«Intorno mi sono spariti tutti, i miei registi, i miei amici, De Sica, Visconti, Fellini, Antonioni. Non ci sono più Bolognini e Tirelli, con loro ho diviso la casa quando sono venuto a Roma. È scomparso un mondo che era il mio, gli anni Cinquanta, vitali, rampanti, effervescenti. Ognuno ha il suo tempo, è finito il tempo del twist, l’ultimo ballo che ho ballato. E il cinema come lo facevo io oggi è démodé ». Sarà fuori moda ma ha lasciato il segno se i membri dell’Academy, dopo cinque candidature mancate, a marzo gli daranno l’Oscar alla carriera, insieme ad Angela Lansbury, Steve Martin e Angelina Jolie. Lui non ci sarà. «Detesto l’aereo, diventi un pacco. E mi guardi, sono una gelatina acciaccata. E poi: gente che piange, collassa, ringrazia madri, mogli, suocere, figli, parenti lontani. Non potrei, mi verrebbe troppo da ridere: sono un toscano. Ma sarebbe una bugia se dicessi che non mi fa piacere, è un riconoscimento talmente clamoroso, un segno di stima da parte di colleghi bravi, anche più bravi di me».
Tosi è toscano di Sesto Fiorentino, nato il 10 aprile 1927. I segni del tempo ci sono, cammina a fatica, accudito da un paio di giovani che si alternano, occhiali scuri proteggono gli occhi indeboliti, ha bisogno di pause per riprendere fiato, ma i lineamenti del volto incorniciato d’argento restano nobili, belli, la memoria è lucida, la mente brillante. E se ha bisogno di energia la recupera miracolosamente, lo sanno bene gli allievi del Centro Sperimentale dove insegna. «Mi piace il contatto con i giovani, a volte li sgrido, voglio che imparino a curare i dettagli, sono essenziali. Però mi vogliono bene. Del resto un vecchio muore di noia se non fa niente». La noia la sconfigge anche continuando a frequentare la gloriosa Sartoria Tirelli. È lì che i suoi disegni sono diventati abiti, costumi, ornamenti.
Aspirante pittore, allievo di Ottone Rosai, cerca le radici della passione per lo spettacolo ripensando a quand’era bambino: «Il cinema era un lusso proibito. Durante la guerra fummo sfollati in campagna, prendevo il tram per andare a scuola a Firenze. Nel tratto a piedi che facevo al ritorno da scuola un giorno vidi per terra una striscetta lucida. La raccolsi, era un frammento di pellicola e guardandola attraverso la luce ci vidi ombre strane, misteriose, qualcosa di magico. Solo dopo ho ricostruito: qualche mese prima avevano girato in quella zona un film con Miriam di San Servolo. Quel frammento mi ossessionò a lungo».
La passione vera scoppierà poi a Roma, nel Dopoguerra. «Eravamo avidi di cinema, frequentavo i cineclub, ho visto tutto il possibile».
Bellissima fu il suo primo film, la sua prima volta con Visconti. «Era un uomo che esigeva il massimo dai suoi collaboratori, e che non risparmiava rimbrotti agli attori che pure adorava. Ma si metteva in lizza anche lui, e dava grande sicurezza a tutti perché sapeva con chiarezza quello che voleva». Il primo giorno sul set Tosi vide Anna Magnani con un vestito che non gli piaceva, troppo stirato. «Entrai in un palazzo e cominciai a bussare alle porte chiedendo alle donne una vestaglietta, un vestito qualunque, un abito che avesse una vita addosso. “È per Anna Magnani!”, dicevo, e tutti erano felici di collaborare». Tutt’altra cosa l’impegno per Il Gattopardo.
«Ero aiutato da attori straordinari, Delon indossava il costume e subito era il personaggio, Burt Lancaster diventava il Principe perché imitava Visconti, modello perfetto. E non poteva esserci Angelica migliore di Claudia Cardinale. Per lei lavorai su diversi costumi: uno azzurrino, uno era il risultato di una stratificazione di colori che dava un color medusa, il bianco per il ballo, con garza di Dior per l’effetto trasparente e luccichio dorato. Le decorazioni di organza e nastri sulla gonna e la scollatura le trovai, autentiche, al mercato delle pulci di Parigi ». Con Visconti Tosi ha reso indimenticabile la contessa interpretata da Alida Valli in ha studiato il re e i nobili della Baviera in Ludwig, ha vestito i personaggi di Morte a Venezia e, in teatro, ha firmato le scene e i costumi di un insuperabile Macbeth, diretto da Thomas Schippers. Non che fosse semplice vestire i poveri: «Bisogna cominciare dalla materia, stingerla, lavorarla, ridurla vissuta, fare il vestito e dargli ancora vita. Quando ho cominciato io, nei magazzini c’erano scomparti con scritto “popolo” ed era tutta roba uguale, una foggia che andava bene per Ottocento e Novecento, per le donne fiorellini e pallini, grigio sporcato per gli uomini. Fu una lotta convincere i proprietari a partire dalla materia e a costringere le sarte a fare il lavoro in più». Poveri erano I compagni di Monicelli — «L’ho adorato, toscano come me, arguto, simpatico, mai stato vecchio» — operai di una fabbrica che si battono per l’orario guidati da un professore socialista, Mastroianni: «Marcello era l’ideale per un costumista, persona docile, sempre di buon umore, pronto a tutto».
Malgrado le offerte e le sollecitazioni Piero Tosi non ha mai sentito il richiamo di Hollywood, e non soltanto perché detesta gli aerei. Dice: «Era tanto bello il cinema che facevamo in Italia, perché farlo altrove?».