Salvo Fallica, L’Unità 12/1/2014, 12 gennaio 2014
FRASSICA: IO E IL MARESCIALLO
«Dopo tanti anni con la divisa del maresciallo Cecchini nella fiction “Don Matteo” mi sono identificato con il personaggio. Se vedo passare qualcuno con il rosso lo rimprovero, se vedo qualcuno che non rispetta le regole mi sento di intervenire con spirito civico. Credo che sia uno dei messaggi più belli della fiction, impegnarsi con semplicità ed autenticità affinché vi sia più legalità».
È questo l’incipit del dialogo con l’Unità di Nino Frassica, un’intervista che partendo dalla popolare fiction parla dei linguaggi della tv e si estende a quelli del cinema, del teatro. Dalla tv all’attualità, il passo è breve. Ed in primo piano vi è la battaglia per la cultura della legalità. Frassica anticipa anche alcuni progetti cinematografici del regista Rocco Mortelliti tratti dai romanzi storici di Andrea Camilleri. Con il suo stile ironico riprende il discorso iniziale: «Sa che mi piace così tanto la divisa da carabiniere che la metterei anche fuori dal set? Purtroppo non me lo consentono, vi è una legge che lo vieta. Ma vi è gente che mi ferma per strada e mi chiama maresciallo Cecchini. Vi sono altri aneddoti simpatici, persone che mi chiedono un consiglio come se fossi un vero maresciallo...». Fa una pausa, sorride, ed aggiunge: «Il dialogo con la gente fa parte di questo mestiere, ed è anche il mondo reale al quale guardare con attenzione».
Qual è il segreto del successo della fiction «Don Matteo»?
«Credo che la gente percepisca come veri i personaggi protagonisti. Persone perbene, oneste, che credono in quello che fanno. Rappresentano tanti italiani che ogni giorno compiono il loro dovere da cittadini, ma soprattutto è gente che non ha perduto la speranza. Inoltre rappresentano una Italia profonda, quella che un tempo veniva definita “la provincia”, che esiste tutt’ora».
Nella nuova serie vi è il racconto di uno scontro generazionale...
«Sì, fra il maresciallo (che è diventato nonno) e il capitano (genero di Cecchini) su come educare il nipotino. Con leggerezza, ironia ed intelligenza, vi è in atto uno scontro sui modelli educativi. La storia è ambientata a Spoleto, ma potrebbe essere ad Acireale, a Taormina, a Bolzano, vi è l’Italia profonda sullo sfondo».
Di recente, in una fiction con Pozzetto, ha affrontato drammi sociali come l’usura...
«Un racconto dai toni più forti, sempre con un lieto fine. Dove vi è non solo il coraggio della denuncia finale da parte dell’imprenditore contro gli usurai, ma anche la storia di persone che hanno perduto tutto ma non la voglia di ricominciare. Di tornare a lavorare con enormi sacrifici, con la forza delle idee, la tenacia, la caparbietà. È una Italia che esiste ed è giusto raccontarla, con spirito di speranza».
Quanto è importante insistere in tv sulla battaglia per la legalità?
«È fondamentale, la tv entra nelle case di tutti gli italiani».
La battaglia antimafia è partita proprio dalla Sicilia. Che sensazione prova?
«È un fatto del quale essere orgogliosi da siciliani, dunque da italiani. Ricordo in primo luogo la battaglia dei giovani di “Addiopizzo”, all’inizio erano pochi, poi sono cresciuti. I giovani siciliani sono all’avanguardia nella lotta alla mafia, vi è un vento nuovo a Palermo, a Catania, a Messina e in tante altre realtà isolane.
Ricordo anche la battaglia per la legalità di Confindustria Sicilia che è diventata un modello per l’Italia intera. La battaglia è lunga, ma non coglierne gli elementi positivi e nuovi, significa volgere lo sguardo da un’altra parte. Bisogna incoraggiarli i giovani, sono i mafiosi che debbono vivere nella paura, non le persone oneste».
Nino Frassica attento osservatore della realtà, ha sempre puntato sui linguaggi, sui giochi linguistici, sulle espressioni originali...
«La mia comicità è intimamente legata ai linguaggi. Già dagli inizi della mia attività artistica non ho mai cercato la battuta facile, sfidando l’impopolarità con i “non sense”, i paradossi, le battute surreali. Il grande Arbore mi notò e mi chiamò. Fu una scelta coraggiosa quella di puntare su una nuova comicità, sembrava una sfida impossibile nell’Italia degli anni ’80, invece la trasmissione è diventata un fenomeno storico-artistico, un modello culturale ancora oggi ricordato per la qualità e l’innovazione».
Di recente, un altro passaggio importante nella sua carriera è stato un ruolo da protagonista ne «La scomparsa di Patò», trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Andrea Camilleri. Cosa è per Frassica il cinema?
«Amo il cinema così come amo il teatro. Per un camilleriano come me, recitare in un film pirandelliano e sciasciano tratto da un suo romanzo, è stato il massimo. Il regista Mortelliti conosce il mondo camilleriano in maniera profonda e nel film vi è il vero linguaggio letterario di Camilleri. Il film ha successo in tante parti del mondo».
Quali sono i nuovi progetti in cantiere?
«Il regista Mortelliti vuol realizzare l’intera trilogia del fantasy camilleriano. Un progetto importante. Con Mortelliti vi è una ottima collaborazione anche nel teatro, sempre su opere camilleriane».
E Frassica dovrebbe avere un ruolo da protagonista in tutta la trilogia, partendo dal film «Il casellante»...
«Vi è una trattativa in corso, non mi faccia aggiungere altro...».
Sa che in alcune università si parla di Frassica anche in merito al rapporto tra filosofia e aneddoti? Si citano i suoi famosi “nanetti”...
«Mi fa molto piacere. La comicità è cultura, e vedo che si va verso il superamento di alcuni steccati fra accademia e cultura popolare. La cultura è una dimensione ampia, dove convivono mondi diversi. E’ sbagliato ghettizzarne alcuni».
Chiudiamo con un “nanetto”...
«E’ bello guardare alla storia, ma se dalla critica e dall’accademia si viene riconosciuti in vita è molto meglio. Di gran lunga molto meglio. Anche perché non si sa mai...»