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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

IL DENARO IN LETTERATURA


Economia e letteratura: un binomio complesso di cui è difficile definire i confini sfuggenti. Una intrigante descrizione ne ha dato il sociologo della letteratura Lucien Goldmann, che si è avventurato a definire la «forme romanesque» come «la trasposizione sul piano letterario della vita quotidiana nella società individualista nata dalla produzione per il mercato», rendendo addirittura la forma letteraria del romanzo una costola dell’organizzazione capitalistica dell’economia. Un accostamento che può essere legittimo solo nel senso allargato di una «lotta per l’esistenza» che si svolge in un mondo in cui ogni vita, anche la più mistica, si dipana nella cornice di un adeguamento fra fini e mezzi.
Questa citazione di Goldmann è riportata nella bella analisi critica che Enrico Reggiani (insegna Letteratura inglese alla Cattolica) ha fatto di un testo poco noto: A Manchester Strike, di Harriet Martineau, una scrittrice e sociologa inglese del secolo scorso (Anthony Giddens l’ha definita «una fondatrice negletta della sociologia»), che non si peritò di mettere i piedi nel piatto di «economia e letteratura» con una serie di racconti – le «Illustrations of Political Economy» di cui A Manchester Strike è uno dei tanti – che perseguivano un fine originale: spiegare i concetti economici attraverso un racconto, piegare il romanzo a fini divulgativi, far scaturire da lotte, gioie e dolori una «lezione di economia», senza calcare la mano sulle spiegazioni e lasciando che siano i fatti e i personaggi a «insegnare».
Quando la Martineau andava pubblicando le «Illustrations...», poco più che trentenne (uscirono fra il 1832 e il 1834), la società vittoriana non apprezzava le donne scrittrici: basti pensare a Mary Anne Evans, che pubblicò i suoi libri sotto lo pseudonimo di George Eliot per farsi prendere sul serio (e George Eliot, affermando la sua facciata maschile, disse di Harriet – ricorda Reggiani – che era «la sola donna inglese che possedesse veramente l’arte dello scrivere»). La Martineau, invece, non solo pubblicò sotto il suo nome, ma diventò famosa: le «Illustrations» si rivelarono un bestseller (come ricorda Giacomo Becattini, quei pamphlet «...riempivano gli scaffali delle biblioteche circolanti») e la fama dell’autrice si estese anche fuori dell’Inghilterra. Charles Darwin, durante la sua spedizione alle isole Galapagos, ricevette una lettera dalle sue sorelle in cui raccontavano della Martineau, di come, anche a detta del fratello Erasmus Darwin, tutti leggevano i suoi libretti...(fra Erasmus e Harriet ci fu poi una relazione che tuttavia non durò). E fra gli estimatori della Martineau possiamo contare luminari del calibro di John Stuart Mill, Thomas Carlyle (cui si deve la definizione dell’economia come «la scienza triste»), Alfred Marshall e John Maynard Keynes.
L’originalità dell’approccio – insegnare l’economia con dei racconti – farebbe scuola ancora oggi. Non mancavano aspetti economici nella letteratura di allora – torna alla mente quella linea deliziosa nel Middlemarch di George Eliot: «Dorothea studia l’economia politica per il modo migliore di spendere i soldi così da fare il meglio o il meno peggio» – ma non c’era niente di paragonabile all’impresa della Martineau. Allora, che cosa si racconta in A Manchester Strike?
La trama è semplice. In un’area in quel di Manchester che racchiude varie imprese tessili i lavoratori chiedono una «eguaglianza dei salari»: cioè a dire, le differenti imprese pagano gli operai in modo diverso, e questi chiedono che tutti abbiano gli stessi salari (parametrati, ovviamente, al più alto livello). Non si mettono d’accordo e scatta uno sciopero. Lo sciopero a un certo punto finisce con un accordo per eguagliare i salari al livello medio delle varie fabbriche. Ma nel frattempo delle commesse sono state perse, la situazione delle aziende si è deteriorata e molti dei lavoratori vanno a perdere il posto. La morale? (alla fine di ogni libretto c’è una «morale»). L’antagonismo di quelle che oggi si chiamerebbero «parti sociali» è perdente, e il «bene comune» non deve mai perdere di vista il fatto che lavoratori e datori di lavoro sono sulla stessa barca.
Ma non è un semplice apologo. Quel che dà dignità letteraria al racconto è la vivacità dei personaggi, dal militante Clack al conciliante Allen fra gli esponenti del sindacato, dai bambini e le mogli che ruotano attorno a famiglie che vivono alla giornata (sempre uno scellino in meno del necessario) ai manager, gli imprenditori illuminati e quelli ottusi e quelli spietati, oltre a tanti personaggi di contorno che danno sale e spezie al dipanarsi degli eventi.
Al manager illuminato Wentworth, che si dà ogni tanto a qualche didattica esternazione, la Martineau mette in bocca una dichiarazione che oggi ci sembra datata: «Noi fabbricanti facciamo per voi quello che possiamo aumentando il capitale dal quale voi dovete trarre i mezzi di sussistenza; e voi dovete fare il resto adeguando il vostro numero ai mezzi di sussistenza». Come si può immaginare, Karl Marx non apprezzò, e, 35 anni dopo la pubblicazione di A Manchester Strike, nel «Capitale» staffilò la «vecchia zitella» (era vecchia al tempo della pubblicazione di «Das Kapital» ma giovane quando scrisse il libretto) che aveva messo siffatte frasi in bocca a «quel beau idéal del suo capitalista».
Lo sprezzante Beau idéal di Marx sta nel titolo dell’opera di Reggiani e l’autore delinea con finezza la figura dei «capitalisti» dell’epoca e come si andavano formando in quel tempo vittoriano le gerarchie sociali e produttive che, nei primi decenni della rivoluzione industriale, sarebbero andate a plasmare il volto dell’economia di mercato. Reggiani ha inquadrato con acutezza la «filosofia» della Martineau – nei suoi aspetti letterari, spirituali e socio-economici – in quell’epoca così ricca di fermenti. Forse avrebbe potuto darci qualche notizia biografica in più sulla vita affascinante di una donna segnata dalla malattia e sostenuta da una ferrea vocazione al lavoro della penna. E forse avrebbe potuto risparmiarsi qualche leziosità lessicografica (i riferimenti del racconto a piazze e vie di Manchester e dintorni diventano «particulari microcronotopici»). Ma dobbiamo essere grati a Enrico Reggiani per aver riportato all’attenzione una figura poco nota ma cruciale dell’Ottocento, per averci ricordato come la letteratura possa essere un veicolo di divulgazione dell’economia, e, in particolare, per averci messo sotto il naso la «morale» di A Manchester Strike: una morale che, malgrado gli strali di Marx, conserva ancora oggi tutta la sua attualità.