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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

ANDERSON, L’ARBITRO CHE HA «ESPULSO» LA MALASORTE


«Anderson l’arbitro che non do­veva nascere». Anderson è un ragazzo atletico, con il sor­riso sempre stampato sul viso che ti vie­ne incontro manifestando allegria e vo­glia di vivere. Ma ad Anderson, che vive in Italia da quasi 14 anni, la vita non ha sempre sorriso. Sin da quel lontano 1978 quando la mamma di Anderson, Iva Mar­ques, a soli 17 anni rimase incinta. Ci troviamo ad Aimores un comune di ventimila abitanti nello stato di Minas Gerais in Brasile dove la famiglia di Iva Marques vive. Quella sera Iva esce da ca­sa; Iva è una bella e ragazza brasiliana di 17 anni ancora ignara di quello che da lì a poco le sarebbe accaduto. Iva incontra un uomo più grande di lei, conosciuto in paese non proprio per esse­re uno stinco di Santo. Iva dapprima è fat­ta oggetto di attenzioni che dopo poco di­ventano minacce e che sfociano in una violenza carnale.
Come purtroppo spesso accade in que­ste occasioni, anche per Iva subentra la vergogna ed il pudore di denunciare il fe­roce gesto subito; il timore di essere trop­po repentinamente giudicata e dentro una ferita che non si rimarginerà mai. È questo uno dei drammi che una donna deve affrontare quando viene violentata. Ma oltre a dover fare i conti con la violen­za subita di lì a pochi mesi Iva deve fare i conti ancor più con se stessa, con la parte più intima della sua persona. Da quella violenza brutale ed inaspettata Iva si ri­trova incinta. Quale scelta? Che fare? I ge­nitori di Iva non vogliono che la figlia ten­ga quel bambino. Crescerebbe senza un padre, è frutto di una violenza, Iva è anco­ra poco più che una bambina sono le mo­tivazioni che inducono i genitori di Iva a far di tutto per convincerla ad abortire.
Intanto il ventre di questa ragazzina cresce e oramai non si può più nasconde­re all’esterno e diventa anche in paese di dominio pubblico. Così Iva decide di scappare da amici a Belo Horizonte per­ché lei quel figlio lo vuole a tutti i costi. E così il 26 luglio del 1979 a Belo Horizonte nasce il piccolo Anderson.
La vita per Iva ed il piccolo Anderson è durissima. La madre lavora giorno e not­te per poter sfamare quel bambino che più di ogni altra cosa ha desiderato e che la vita gli ha regalato. Anderson è un bam­bino che cresce sapendo dell’abuso che la madre aveva subito da un uomo che vi­veva ai margini della legalità e che, infat­ti, fu ucciso in una sparatoria pochi anni dopo la sua nascita.
Una vita fatta di rinunce e di stenti che portano il giovane Anderson a iniziare a lavorare alla sola età di 12 anni in un mer­cato di ortofrutta. Spesso il compenso che viene riconosciuto non è neanche in denaro ma in provviste alimentari. Nono­stante tutto Anderson è un bambino alle­gro, ama la vita; una vita che gli ha donato l’amore incondizionato di una madre che vive con lui e per lui; ma Anderson ama il calcio come ogni bambino brasilia­no che si rispetti. Ma al pallone non è por­tato e­quindi inizia ad arbitrare a livello di­lettantistico in Brasile. Una passione quella dell’arbitraggio che non lo abban­dona neanche quando il 3 marzo del 2000 a 20 anni arriva in Italia per salutare un amico e trovare fortuna nel nostro pae­se. Sono mesi ed anni durissimi per il gio­vane Anderson che lavora come magaz­ziniere, facchino, trasportatore per po­chi soldi e che ancora oggi si ricorda di 500 grammi di pasta durata per più di un mese. Beveva litri di acqua per riempire lo stomaco e pochi grammi di pasta al giorno per non morire di fame. Poi incon­tra Gaetano Altavilla e la sua vita miglio­ra. Quasi un padre il signor Altavilla che gli permette di farsi un permesso di sog­giorno, avere una piccola casa e guada­gnare q­ualche soldo e soprattutto inizia­re a coltivare il sogno dell’arbitraggio an­che in Italia. Inizia ad arbitrare le squa­dre d­ilettanti ma s’iscrive al corso di arbi­traggio per diventare professionista. An­derson si è ormai stabilizzato nel nostro paese e così chiama la mamma Iva per far­la venire in Italia.
Lentamente e con coraggio e con Dio accanto come sempre ricorda Anderson la qualità della vita migliora. Anderson frequenta una Chiesa Evangelica a Mila­no e lì incontra una giovane ragazza, Crisala Fernanda, e la sposa. Assieme prendono casa a Pero, vicino a Milano. Anderson cambia lavoro ed assieme alla moglie vanno a lavorare in una ditta ac­canto a dove abitano. È la ditta della fami­glia Bertini «persone speciali» dice An­derson «rappresentano la mia famiglia e non smetterò mai di ringraziarli abba­stanza » ci tiene a sottolineare.
Ormai Anderson è un uomo perfetta­mente inserito e anche l’arbitraggio, la sua vera passione, va a gon­fie vele. Anderson è l’unico arbitro straniero che, parti­to dalla promozione a livel­lo dilettantistico, si ritrovi oggi ad arbitrare in serie C a livello professionistico. Ha perdonato tutti Anderson; ha perdonato il padre, che non c’è più, i nonni, che non volevano che nasces­se, e tutti coloro che hanno cercato di fermare questa ir­resistibile voglia di vita. «Jesus is my coach» conti­nua a ri­petere con l’entusia­smo e la voglia di vivere che solo chi ha vi­sto la morte così vicina può avere.