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 2014  gennaio 12 Domenica calendario

“IO, PESSIMISTA IN BILICO TRA LIBRI E POLITICA”


Signor Grass, il Novecento è stato segnato da tre ideologie: fascismo, nazismo, comunismo. Cosa hanno lasciato?
Quello che è rimasto ha prodotto il capitalismo sotto forma di ideologia nata dai rimasugli di quelle tre storiche concezioni del mondo. Diventa sempre più forte, almeno quello europeo, diverso da paese a paese, ma con lo stesso pesante controllo sulla società, generando forme di neoliberalismo che ricordano l’Ottocento. Il capitalismo e l’economia di mercato, si fondano su veri e propri dogmi, esattamente come, ad esempio, la religione – vedi il cristianesimo – o come i partiti di massa, vedi quello comunista. Hanno regole talmente rigide che possono portare al crollo del sistema medesimo, così come è stato per il Partito comunista. Pensiamo all’ enorme quantità di denaro che circola quotidianamente nei sistemi capitalistici, al boom dell’informatica, un sistema di gigantesche proporzioni che può essere paralizzato improvvisamente da un semplice virus. Quello che è rimasto delle ideologie è, di fatto, un potere incontrollato privo di opposizione e di confronto critico.
Lei racconta nel suo libro “Il mio secolo” che il Kaiser all’inizio del Novecento disse: “Quando vi troverete faccia a faccia con il nemico sappiate batterlo. Nessuna grazia, nessun prigioniero”.
Era un’anticipazione?
Ho riportato nel mio libro un documento trovato in un archivio. È stato anche per me una sorpresa scoprire che all’inizio del secolo sia stata compiuta un’azione di polizia internazionale, portata avanti da tedeschi, inglesi, americani, francesi, giapponesi, italiani e russi. È la rievocazione di un discorso fatto dal Kaiser per comandare un’azione punitiva contro i ribelli cinesi: i Boxer, che lottavano contro l’imperatrice. Questo modo di fare colonialismo poi ha fatto scuola.
Il Novecento che cosa ha portato agli uomini oltre alle guerre?
Ha portato tanto progresso. Basti pensare alla medicina: i trapianti di organi, ad esempio. Ha portato anche grandi illusioni. Dopo l’esperienza delle due Guerre Mondiali, eravamo convinti che sarebbe arrivata la pace per sempre, invece c’è stato il Kosovo e non solo. Poi il ritorno dei nazionalismi. Se penso alla Germania, dopo dieci anni dalla caduta del muro, ci sono ancora problemi irrisolti di giustizia sociale tra Est e Ovest: esiste una Germania di prima classe e una di seconda, paragonabile alla situazione tra il Nord e il Sud Italia. Si dice che con il tempo si arriverà a un livellamento, al momento la situazione sta solo peggiorando.
Perché novanta tedeschi su cento votarono a favore di Hitler?
In realtà quando salì al potere lo fece attraverso democratiche elezioni e con un numero molto basso di voti. Vinse grazie all’aiuto dei nazionalisti, dei liberali e del partito cristiano-democratico. I comunisti erano già stati banditi, solo i socialdemocratici si opposero a Hitler. Quelle successive furono un plebiscito, ma in Germania era già in atto il regime e esisteva solo il partito di Hitler.
Quali furono le promesse che Hitler fece per convincere i tedeschi a votarlo la prima volta?
Lui ha promesso lavoro ai disoccupati e sicurezza sociale. Non si deve dimenticare che la classe industriale già prima del ’33 aveva stretto un patto con Hitler.
Come si conciliano Beethoven e le SS?
Non so dare una risposta, se non che ci sono state contraddizioni in ogni popolo. Come si fa a conciliare Dante con Mussolini?
Da cosa nasce l’antisemitismo nel vostro paese?
La Germania in origine era cristiana. Non solo da noi, ma in tutta Europa, gli ebrei sono stati spesso indicati come la causa del male: ad esempio nel Medioevo furono considerati responsabili del diffondersi della peste. Successivamente, con l’avvento del nazionalismo, si è sviluppato un antisemitismo popolare e razzista, che unito alla propaganda di Hitler ha prodotto Auschwitz.
Lei ha definito Auschwitz “il prodotto della perversione dello Stato unitario tedesco”.
Nella storia dell’ebraismo ci sono sempre state persecuzioni, ma quello che è successo in Germania è stato il prodotto di un sistema, di una vera e propria strategia della distruzione organizzata su larga scala. Per questo sono sempre stato a favore di un federalismo politico che esalti le pluralità culturali esistenti. Stessa cosa in Italia: forse i conflitti tra Nord e Sud sarebbero meno violenti. Bisogna per questo stare attenti a quella che criticamente chiamo la “Repubblica di Berlino”. L’idea di questa nuova capitale nasce chiaramente con un obiettivo che è lontano da quello federalista.
Cosa è stato il miracolo tedesco?
Dopo la fine della guerra c’erano undici milioni di fuggiaschi che provenivano dalle regioni dell’Est della Germania, arrivarono con niente e dovevano ricominciare da zero. Con l’aiuto della Stato, che non li ha isolati ma li ha coinvolti nella ricostruzione della Germania, hanno avuto la forza di rifarsi una nuova esistenza. Queste persone sono diventate la forza della nuova economia tedesca. A questo bisogna aggiungere l’arrivo degli aiuti del piano Marshall.
Un esempio di quello che lei ha detto è stato Willy Brandt.
Sì, anche se per me rimane ancora una grande sorpresa pensare al fatto che uno che è stato costretto a fuggire dalla Germania, come ha fatto lui, sia poi diventato Cancelliere. All’inizio della sua carriera politica ci sono state delle forze politiche che hanno tentato di diffamarlo perché era un figlio illegittimo oltre che emigrante. Brandt aveva un’idea precisa per quel che riguardava la politica interna: la democratizzazione della società attraverso un dialogo continuo con l’Est. Senza questa politica di distensione non si sarebbe mai arrivati alla caduta del muro tra i due blocchi.
Il Muro di Berlino cosa ha significato per la Germania?
Una crescita diversa del popolo tedesco. Un popolo che doveva sostenere il peso di una guerra perduta e il senso di colpa per quello che aveva provocato. I tedeschi dell’Est hanno dovuto sopportare l’arroganza dell’Ovest che, sia prima sia dopo la caduta del Muro, si è considerato vincitore.
Secondo lei cos’è mancato?
È mancata l’idea di un avvicinamento reciproco delle due comunità: una si sentiva più forte e l’altra si sentiva accettata solo perché più debole. La caduta del Muro ha accentuato la condizione del più ricco verso il più povero e viceversa.
Quali erano le differenze tra la Germania Ovest e quella dell’Est?
L’Ovest aveva ricevuto gli aiuti del piano Marshall, l’Est no. L’altra differenza è che nell’Est si è tentato in tutti i modi di allontanarsi da una dimensione fascista e dalle responsabilità a questa connesse, nascondendosi dietro un’ideologia di sinistra. Nell’Ovest erano rimasti attivi fino agli anni Settanta alcuni vecchi nazisti – giudici, avvocati e altri ancora – che dopo la guerra avevano semplicemente cambiato partito , ma non la loro visione di società. Tutto questo nell’Est non esisteva, lì si è passati dalla costrizione di un’ideologia a quella di un’altra, dalla camicia bruna dei nazisti a quella blu dei “pionieri” del Partito comunista.
Cosa rappresenta oggi la Germania per l’Europa?
La Germania è un paese ricco con un forte peso e la sua funzione è duplice: da una parte di forza economica trainante, dall’altra perché si riconosce fortemente nell’Europa. La Germania può avere un ruolo molto importante: fare da tramite tra l’Europa Sud-Est e quella dell’Ovest. Io credo in una Germania Federale all’interno di un’Europa federale. Un Parlamento europeo è necessario per avere un quadro chiaro dei conflitti, di qualsiasi natura, tra gli stati. La federazione deve avere una carta sociale e dovrebbe essere anche indipendente dagli Stati Uniti. L’America ha un grosso potere di controllo sull’Europa, oggi più di prima, perché, con la fine dell’Unione Sovietica, è rimasta l’unica superpotenza.
L’Europa per la Germania?
È una grande opportunità, anche se la Germania, pericolosamente, vede la possibilità di scaricare i suoi problemi irrisolti sull’Europa. Mi scusi signor Biagi, lei continua a parlare solo di politica, in realtà io sono uno scrittore e anche un pittore. Lei non sta sfruttando queste due opportunità. La mia vita è la letteratura, la politica è solo una parte di questa vita. Non voglio che il mio impegno politico faccia dimenticare il mio essere scrittore. Il problema della repubblica di Weimar è stato che gli intellettuali si sono allontanati dall’impegno politico e questo ha reso la Repubblica molto debole. Sono convinto che l’impegno politico per un intellettuale sia molto importante, ma non deve sopraffare la sua professione. Questo è l’insegnamento che ho avuto da ragazzo.
Signor Grass, è vero che nei suoi libri, oltre alla politica, esistono altri elementi altrettanto interessanti e importanti, ma chi meglio di lei che ha scritto libri come “Il tamburo di latta”, “È una lunga storia” dedicato alla riunificazione delle due Germanie, che fa parte del partito socialdemocratico, può spiegarci certi fatti accaduti nel suo paese che hanno condizionato la storia dell’Europa. Lei per la letteratura ha ricevuto il Premio Nobel: è stato un riscatto morale?
Quando mi hanno dato questo premio ne sono stato felice, ma non ha rappresentato un motivo per cambiare la mia vita. Anche dopo il Nobel, quando inizio a scrivere un libro, il foglio è sempre bianco, esattamente come era prima e la paura è rimasta sempre la stessa.
Lei ha paura?
Sempre, quando scrivo. Quel foglio va riempito e non voglio deludere i lettori. Molti dei miei libri raccontano di Danzica, la mia città natale, fino al dopoguerra polacco, questo mi ha portato ad avere un pubblico molto attento non solo in Germania ma anche in Polonia, dove i miei libri erano letti anche quando la censura dominava nel paese. I miei libri sono serviti ad avvicinare i due paesi, al di là del valore letterario. A Stoccolma è stato premiato il mio lavoro di scrittore e non il mio pensiero politico.
Io sono qui a intervistarla perché la considero uno dei più importanti scrittori del Novecento.
Lei si è definito un pessimista innamorato della vita. Da cosa nasce l’a m a re zza?
Il fatto che sia pessimista non ha nulla a che vedere con l’amarezza. Trovo crudele ogni tentativo di manipolare l’uomo attraverso l’ideologia. Questo mi porta a essere pessimista, ma non necessariamente triste. Ci siamo sempre immaginati Sisifo come un povero sconfitto. Camus lo interpreta in un modo nuovo, come un ribelle che chiede a Dio di lasciargli il peso della propria esistenza. Teorema del dramma del vivere affrontato con coraggio e lucidità. Questa immagine mi appartiene profondamente, Sisifo sa che la pietra non resterà mai sulla cima del monte dove l’ha spinta. Per questo motivo possiamo immaginarcelo come persona perché apre una visione dell’uomo problematica, irta di ostacoli, pessimistica anche, ma n on necessariamente disperata. Nonostante tutto continuo a nutrire un grande amore per la vita.
Quando pensa al futuro cosa vede?
Prima di tutto quando penso al futuro penso ai miei nipoti che sono diventati tredici, io ho otto figli, caso inusuale per la Germania. Mi preoccupa il fatto che con la globalizzazione non si riuscirà a unire rispetto per il pianeta con le nostre esigenze economiche. Questa è la grande preoccupazione che ho per i miei nipoti.