Stefano Semeraro, La Stampa 12/1/2014, 12 gennaio 2014
IL TENNIS DI NEWCOMBE “FEDERER NON È FINITO E HO NOSTALGIA DI PANATTA”
John Newcombe è stato l’ultimo dei Grandi Australiani che hanno dominato il tennis fra gli anni ’50 e ’60. Nel 1967 e nel 1974 è stato al vertice delle classifiche, ma fuori dal campo ancora oggi, a quasi 70 anni (splendidamente portati) «Baffo» John è un numero 1 per simpatia, umanità, saggezza.
In Australia ha fatto scandalo la sua idea di creare un 5º Slam, in Cina.
«Perché no? Servirebbe ad aprire le porte del tennis a una nazione enorme. E se la Cina fosse disposta a pagare un miliardo agli attuali 4 Slam, sarebbe un affare per tutti».
Conta più la tradizione o il denaro?
«In qualche decennio anche lo Slam cinese avrebbe una sua tradizione. Na Li ha già vinto a Parigi fra le donne, in futuro avremo anche un cinese maschio vincitore di uno Slam».
Altri cambiamenti?
«Vorrei che la Coppa Davis diventasse una competizione lunga 2 settimane, riservata alle 8 migliori nazioni, da disputare in un continente ogni 2 anni: i quarti a Roma, Parigi, Londra e Amburgo, semifinali a Parigi e Wimbledon, finale a Wimbledon».
Lei è stato un grande anche in doppio: è d’accordo con McEnroe che vorrebbe abolirlo?
«Non si può abolire il doppio, è un terreno di coltura per i tennisti. Il 90 per cento di chi gioca a tennis al mondo gioca più il doppio che il singolo. E a Brisbane, quando Federer ha giocato il doppio, non c’era un posto libero».
Cosa pensa della moda dei campioni-coach? Becker ed Edberg sapranno ripetere per Djokovic e Federer quello che Lendl ha fatto per Murray?
«Dipende da Djokovic e Federer. Murray aveva bisogno di uno come Lendl, che gli mostrasse l’ultimo sentiero verso la vetta. Ma Andy era disposto ad ascoltare la lezione. Quanto a Becker, non so cosa possa fare più che rendere felice Djokovic sedendosi nel suo box».
E Federer?
«Se vuole tornare a battere Djokovic e Nadal deve andare più a rete. Da fondocampo non ce la fa più. Il suo primo Wimbledon lo vinse col serve&volley su ogni punto, in seguito gli è bastato dominare da fondo e ha smarrito l’arte della volée. Edberg può aiutarlo. Bisogna vedere se Roger vuole ascoltarlo».
Il tennis di oggi non si addice agli attaccanti.
«Non è necessario giocare ogni punto a rete. Uno come Stakhovsky manda in confusione tutti con la sua velocità, alternando punti da fondo e attacchi. Il futuro appartiene a quei giocatori».
Lei nel 1975 a 31 anni battè il 22enne Connors nella finale degli Australian Open. Il 32 enne Federer può ancora vincere uno Slam?
«Credo di sì. Nelle ultime sei settimane si è allenato molto, i problemi alla schiena sembrano superati. Il fisico e la testa sono pronti, non so se è pronto il suo tennis: a Sydney l’ho visto sbagliare troppi dritti. Le sue chance deve giocarsele qui e a Wimbledon».
È vero che per prepararsi a battere Connors correva ogni giorno cinque miglia in salita e beveva solo birra?
«Le “Connors Hills” sono ancora lì, quando arrivavo in cima facevo anche un balletto. Quella della birra invece è una storia che piace molto ai giornalisti (ride, ndr)».
A maggio tornerà a Roma per festeggiare i suoi 70 anni con la Racchetta d’Oro della Fit. Qual è il suo più bel ricordo dell’Italia?
«Tanti miei colleghi non sopportavano il calore del pubblico italiano, io lo adoravo: per gli italiani anche il tennis è teatro. Uno dei miei magic moments è stata la vittoria a Roma nel 1969. E poi il match di Davis del ’76 contro Panatta. Io avevo vinto il 1º set, lui il 2º, il pubblico impazzì per 5 minuti. Quando fummo pronti per riprendere, al Foro si sarebbe sentito cadere uno spillo. Allora gettai la racchetta e urlai al pubblico: “Ehi, perché non mi applaudite? Anch’io gioco bene!”. Un minuto e mezzo di cori: “Newcombe!” Newcombe!”. Il mio capitano non la prese bene, ma per me fu il massimo. Mi è sempre piaciuto giocare contro Adriano, ma più ancora apprezzo la sua amicizia».
Oggi al tennis mancano personalità forti, non crede?
«No, ma è vero che un match come Ferrer-Berdych è noioso, tutti i punti sono uguali. Mi diverte invece Murray: dietro ogni suo colpo c’è un pensiero».
Mancano gli australiani...
«C’è qualche giovane interessante: le segnalo Kokkinakis».
Il filo della tradizione «aussie» si è spezzato: come mai?
«È successo nel 1968, con l’arrivo del professionismo. La Federazione escluse i “pro” dalla Coppa Davis: per 5 anni smettemmo di viaggiare con i giovani e non riuscimmo a trasmettere loro i nostri segreti. Una cultura andò persa. Ma Rafter sta lavorando bene, fra 5-6 anni l’Australia tornerà nella top-10».
Lei commenta il tennis in tv: la vedremo mai nelle vesti di coach?
«No, guardi: sono sposato da 46 anni, ho sei nipoti e un business in Texas con il mio tennis-ranch. E soprattutto devo migliorare il mio golf».