Raffaele Panizza, SportWeek 11/1/2014, 11 gennaio 2014
INTERVISTA A MAGNUS CARISEN
Ci sediamo di fianco al nuovo campione del mondo di scacchi consapevoli che la nostra presenza, con tutta probabilità, è destinata a non suscitare in lui il benché minimo interesse. E Magnus Carlsen infatti non solo conferma, ma si supera: volta le spalle, chiacchiera in norvegese per cinque minuti infiniti col manager, ordina una serie di tramezzini al salmone che mangia con calma, ritorna a chiacchierare in norvegese col manager, e solo alla fine si volta e fa: «Non sopporto gli impegni mattutini», dice, nonostante sia mezzogiorno, «tantomeno quelli fissati di lunedì». Prendiamo la dichiarazione come una forma di scuse e iniziarne l’intervista a questo ventitreenne eccezionale, divenuto gran maestro di scacchi a tredici anni, campione del mondo lo scorso 22 novembre battendo in dieci partite il quarantaquattrenne Viswanathan Anand, inserito da Cosmopolitan tra gli uomini più sexy del mondo e trasformato in modello, nonostante il volto accartocciato, dal marchio olandese d’abbigliamento G-Star. Da poco, la Federazione scacchistica mondiale gli ha assegnato un punteggio record pari a 2.872. Il precedente detentore del primato, Garry Kasparov, si era fermato a 2.851.
Ci sono pensieri strani che vengono a visitarla durante gli incontri?
«Di solito sketch di film comici, o video esilaranti visti su Internet. A quel punto mi si stampa un sorriso sulla faccia, spesso nei momenti più tirati delle partite, mentre il mio avversario è concentrato. Atteggiamento che alcuni leggono come provocatorio, ma che in realtà non lo è».
Racconti una scenetta che disturba la sua concentrazione.
«No, davvero, mi vergogno».
E perché mai?
«In passato l’ho fatto. Ma ho constatato che di solito sono cose che nessun altro trova divertenti».
Qual è stata la volta che ha pensato più a lungo, prima di una mossa?
«Cinquantasei minuti. Avevo quattordici anni».
Si considera un genio?
«Niente affatto. Ho solo molto, molto talento per gli scacchi».
Se Kasparov era universalmente considerato tale, allora lo è anche lei.
«Appunto. Kasparov è un uomo brillante, ha una mente veloce, ma sono fermamente convinto che non fosse un genio neppure lui».
Che cosa ricorda della sua prima partita contro il russo?
«Ricordo che avevo tredici anni e mi annoiavo. Quando toccava a lui mi alzavo dal tavolo e andavo a vedere le partite degli altri giocatori. Tanto, la mia mossa sarebbe stata comunque la stessa, a prescindere dalla sua».
Dopo il pareggio s’è complimentato?
«Non ha detto una parola. Mi ha stretto la mano ed è andato via».
È vero che è in grado di leggere nel pensiero?
«Chi ve l’ha detto?».
Lo sostiene la leggenda degli scacchi Victor Korchnoi. Dice: «Carisen è un mediocre giocatore, ma ha il potere di ipnotizzare gli avversaci».
«Credo che ormai sia la mia reputazione a ipnotizzarne molti. Per il resto, lasciate stare Korchnoi, è un pazzo di ottant’anni che ama provocare e cercare conflitti».
Trucchi da mentalista non ne usa mai?
«Solo in situazioni disperate».
Ad esempio?
«Porto l’avversario a credere di potermi battere in poche mosse, poi colpisco. Una strategia che ho usato a Londra contro Vladimir Kramnik, ad esempio, e ha portato bene».
Che cosa prova quando un avversario va in crisi?
«Un grande piacere. Amo vederlo soffrire».
Ha provato più piacere fisico a tirare il calcio d’inizio della gara tra Real Madrid e Real Valladolid o a vincere il Campionato del mondo?
«Sono tifoso del Real Madrid, e la botta di adrenalina che ho sentito al Santiago Bernabeu è stata speciale. Forse l’unico momento di tutta la mia vita in cui la mia mente si è offuscata completamente».
La gente si aspetta che lei abbia opinioni interessanti anche sul clima, sulla politica, su come salvare il mondo dalle carestie?
«Le persone che mi conoscono no di certo, quello è sicuro. Riesco a dare opinioni solo su ciò che ho studiato approfonditamente. È per questo che non mi considero un genio».
Non ha mai inventato nulla?
«Ho scritto una canzone, una volta. Poi, mi son reso conto che era uguale a un motivetto che avevo sentito alla radio, il giorno prima».
Perché non s’è diplomato?
«Perché la scuola non mi interessava».
Si sentiva capito dai professori?
«Ci discutevo spesso, animatamente. Non in maniera irrispettosa, s’intende. Ma sapete com’è: a dieci anni sei convinto di aver ragione su tutto, è normale».
Normalmente s’inizia a 16 anni a discutere l’autorità dei docenti.
«Ma io non contestavo la loro autorità. Contestavo luoghi, date, cifre. Contestavo i fatti».
La sua faccia le piace?
«In generale sì».
È a suo agio con le ragazze?
«Sono ancora molto timido, ma meno di prima. Il successo aiuta, e capita che siano loro a fare il primo passo».
Il primo bacio se lo ricorda?
«Sì».
Quando l’ha dato?
«Preferirei non dirvelo».
Nelle foto che ha scattato per la campagna pubblicitaria G-Star c’è qualcosa di sinistro, nel suo sguardo.
«Anche mia madre non è molto felice di vedermi con quell’espressione stampata sulla faccia».
Coglie qualcosa di vero?
«Non so, non credo di essere cattivo. Ma so di apparire spesso annoiato, profondamente disinteressato, oppure infelice e torvo. Ma non è detto che corrisponda a come mi sento veramente».
C’è qualcosa che è totalmente incapace di fare? Montare uno scaffale Ikea, ad esempio.
«Sì, aprire le porte. Son davvero negato».
Quelle con le serrature complicate?
«No, anche quelle facili. Non riesco mai a capire in quale direzione far scorrere il chiavistello. O come premere il pulsante su un pomello. Se occorre spingere oppure tirare. Stamattina ad esempio sono rimasto chiuso nella mia stanza d’albergo e per farmi uscire è dovuto intervenire il personale della reception».
Rimane intrappolato anche nelle toilette degli aerei?
«Quelle sono le uniche che riesco a interpretare: quando azzecchi la mossa te ne accorgi subito, perché c’è una lucina verde che si accende».