Gaia Piccardi, Corriere della Sera 14/1/2014, 14 gennaio 2014
RIVOLUZIONE KOSTNER
Ha chiesto tempo, perché il senso di Carolina per il ghiaccio tornasse il meraviglioso peccato originale che l’ha fatta scivolare fino a qui, vigilia dell’Europeo di Budapest, la sua dodicesima scalata al continente. E al sicuro nella bolla di Oberstdorf, dove ogni creazione (un oro mondiale, 5 continentali, più tutto il resto: tanta roba) e ogni distruzione (Los Angeles 2009, Vancouver 2010) sono nate, ha silenziosamente rivoluzionato il suo piccolo mondo antico: via Humoresque (corto) e Scheherezade (lungo), i programmi con cui aveva cominciato la stagione (terza a Pechino e seconda a Mosca nel Grand Prix) ma che non avevano fatto innamorare le giurie, e dentro l’Ave Maria riveduta e corretta (era il gala della stagione 2005-2006, ora parte con un triplo-triplo) e soprattutto il magico Bolero dell’anno scorso, il lungo portentoso dell’oro di Zagabria e dei record. Un golpe in piena regola — e totale consapevolezza —, a se stessa. Domato il mal di schiena che per un attimo aveva messo a rischio Budapest, facendole considerare in un momento di confusione l’idea di puntare dritto su Sochi, ora che Carolina Kostner è tornata Sua Grazia, con la vertigine bianca della patinoire spalancata sotto le lame, tutto può succedere. In un mese, Europeo e Olimpiade. Creazione o distruzione.
Carolina, a quasi 27 anni (l’8 febbraio, Acquario, auguri), di fronte al 12° Europeo e alla terza Olimpiade, come si sente cambiata rispetto alla bambina che portò la bandiera dell’Italia ai Giochi di Torino?
«Sento di aver fatto un pezzettone di strada, e di essere andata molto ma molto oltre quello che immaginavo da piccola».
Il picco è stato l’oro mondiale.
«Quel giorno, a Nizza, mi sono sentita in cima al mondo. Invincibile. Poi sono successe tante cose che mi hanno fatto capire che quella sensazione era effimera. Allora ho pensato che quella medaglia dovesse essere un punto di partenza e non d’arrivo. Ho ancora così tanto da imparare...».
L’esperienza non le manca: perché tanta indecisione sui programmi?
«Lori, la mia preziosa coreografa, è ripartita da Oberstdorf prima di Natale dicendomi che la decisione spettava a me, perché un programma te lo devi sentire addosso come una seconda pelle. E io non riuscivo a decidermi: adoro sia il Bolero che Scheherezade, e tornare a Ravel non è certo garanzia di successo. Come sul ghiaccio sono da sola, così da sola ho preso la decisione di cambiare tutto».
Forse il Bolero aveva talmente alzato l’asticella, che tutto il resto visto da lassù sembrava mezza collina.
«È così... Già con Mozart e l’oro di Nizza pensavo di essere salita su: invece il Bolero mi ha fatto volare ancora più in alto. Ho passato settimane a paragonare Scheherezade con l’estasi di Ravel e non mi sono fatta un favore!».
Non teme che le giurie, a Budapest e Sochi, possano interpretare il ritorno al passato come una retromarcia anziché un segnale di intelligenza e flessibilità?
«No. Per la giuria è importante che gli elementi ci siano. Sono più io che mi chiedevo: saper cambiare è giusto o sbagliato? È segno di fragilità o coraggio? È stata più una cosa tra me e me, insomma...».
Ghiaccio a parte, qual è il suo stato d’animo oggi?
«Sento che ho molti pensieri per la testa. Vorrei non rifare gli errori già commessi in passato, vorrei essere nella forma di Nizza perché quando non mi sento al meglio, alta come sono e con il fisico che ho, faccio più fatica».
La perfezione non esiste, Carolina. O invece sì?
«Mi disturba che dopo Vancouver era tutto un oh poverina , oh che peccato, oh come mi dispiace ... Poi ho attraversato un periodo in cui tutto mi veniva facile, sono diventata campionessa del mondo e adesso la medaglia sembra scontata. E invece ogni volta devi ripartire daccapo: nuovi programmi, nuove avversarie, nuove ansie...».
E l’Olimpiade alle porte non aiuta.
«Sono andata al Quirinale, vedo crescere l’interesse nei miei confronti, mi sento gli occhi addosso e ho paura di sbagliare: temo di non potermi permettere di essere imperfetta. Ho le mie fasi, le mie fragilità... Mi sforzo di accogliere qualsiasi risultato con filosofia, ma ancora non riesco a prendere la vita con spirito e leggerezza come vorrei. Poi mi do la colpa, e tutto si appesantisce».
L’aspettativa del sesto oro europeo, come Katarina Witt (1983-1988), è così pesante da gestire?
«Tanti mi dicono: ne hai già vinti cinque, il sesto viene da sé... Non è così. L’Europeo di Budapest non va sottovalutato. Le russe (Sotnikova, 17 anni, argento l’anno scorso a Zagabria dietro Carolina, e Lipnitskaia, regina a Mosca a fine novembre davanti all’azzurra a dispetto dei suoi 15 anni e 158 cm, ndr ) sono forti e motivatissime da Sochi e dalla loro competizione interna. Io ho perso qualche chilometro di allenamento ma se ci riesco voglio divertirmi, pattinare per il gusto di esprimere la mia creatività. Chiedo all’energia del Bolero di sostenermi».
In bocca al lupo. Tornando indietro, dopo quindici anni di pattinaggio al top, rifarebbe tutto? Proprio tutto?
«Avrei voluto evitare tante cose, ma tutte insieme, nel bene e nel male, mi hanno portato ad essere la persona che sono oggi. Non cambierei mai la delusione di Vancouver con l’oro di Nizza. Io sono questa, pregi e difetti. Prendere o lasciare».