Guido Gentili, Il Sole 24 Ore 11/1/2014, 11 gennaio 2014
IL CIRCOLO VIZIOSO CHE «GELA» IL CREDITO
In un mondo che corre comunque veloce e dove la Cina annuncia il sorpasso sugli Stati Uniti divenendo la più grande potenza commerciale del mondo, non esistono certezze consolidate. Figuriamoci in Europa se, volendo semplificare al massimo, si fa eccezione per la solida Germania. Per non parlare dell’Italia, tanto enorme per la stazza del suo debito pubblico quanto, di conseguenza, fragile ed esposta sui mercati. E a corto di credito "produttivo", a fronte di un sistema bancario e assicurativo imbottito di titoli pubblici italiani.
Non ha fatto in tempo il presidente della Bce, Mario Draghi, a confermare che in Europa la «ripresa è debole e modesta» che la sola notizia sulla creazione di nuovi posti di lavoro in Usa a dicembre, risultata più bassa del previsto, è soffiata gelida sulle piazze finanziarie. Nonostante il fatto che la disoccupazione negli Stati Uniti sia scesa dal 7% al 6,7% (ma ci sarebbero molti americani che non cercano più lavoro, e questo spiegherebbe in parte il trend) mentre l’Eurozona è «stabile» al 12,1%.
Fatto sta, per venire al fronte Sud dell’area euro, che a novembre l’Italia ha, a sua volta, registrato la crescita più forte, su base annua, del tasso di disoccupazione. Seconda solo dopo Cipro, come rilevato da Eurostat: 12,7% rispetto all’11, 3% del novembre 2012.
Questo brutto record, aggiunto al 41,6% segnalato dall’Istat riguardo la disoccupazione giovanile, ci restituisce l’immagine di una grande economia di cui la crisi ha aggredito le radici. In un contesto di possibile deflazione continentale avvertito come minaccia dallo stesso Draghi, che ha riproposto non a caso in chiave antideflazionista il concetto espresso nel luglio 2012, quando profetizzò che la Bce avrebbe fatto tutto il fattibile per difendere l’euro.
Allora bastò la sola evocazione di misure straordinarie a calmierare i mercati e far scattare la discesa degli spread.
O ggi, di fronte a un mostro di sicuro ancora più pericoloso, e stanti le resistenze di una Germania capace sì di rinnovarsi e di innovare a getto continuo, ma sempre impietrita al cospetto del fantasma di Weimar e dell’inflazione, è impossibile fare previsioni sulla rete di sicurezza che potrebbe stendere la Bce a sostegno dell’economia europea e dei paesi più in difficoltà.
Né più di tanto, in Italia, si possono ricavare segnali "salvifici" dalla tendenziale flessione dello spread tra Btp e Bund tedeschi. Ieri siamo tornati sopra quota 200, per la precisione a 208, a conferma che è inutile sfoderare toni trionfalistici. E il Tesoro, senza particolari problemi (ma domanda in leggero calo) ha piazzato Bot annuali per 8,5 miliardi al rendimento dello 0,735%, in risalita però rispetto allo 0,707% dell’asta di dicembre. Nulla di sconvolgente, ma considerata l’enorme liquidità in giro per i mercati, un segnale in controtendenza.
Di spessore ben diverso il dato Bankitalia, riferito a novembre 2013, sul totale dei titoli di Stato in pancia al sistema bancario. Siamo arrivati a quota 403 miliardi di euro (un altro record), segno che le banche italiane (le assicurazioni a loro volta volta ne hanno in portafoglio per circa 240 miliardi) hanno continuato ad acquistare bond dello Stato a piene mani usufruendo della liquidità al tassi dell’1% fornita dalla Bce.
In questo modo, a partire dalla fine del 2011, sono usciti gli investitori esteri e sono entrati quelli italiani. Un ricambio che era nei piani della Bce, che ha contribuito ad allentare le tensioni sullo spread ma che, alla lunga, ha mostrato anche un altro volto. Quello appunto di un sistema bancario che acquista a buon mercato titoli di Stato: strada assai più redditizia e sicura, in tempi di recessione e di sofferenze creditizie in aumento, rispetto a quella di fare credito al sistema delle imprese e delle famiglie. Sempre novembre 2013 indica che i prestiti alle aziende sono calati al 6% su base annua. Un altro record per un Paese che si sta avvitando su se stesso in termini creditizi, con la domanda e l’offerta che calano assieme e rincorrendosi di fatto l’una con l’altra.
È certamente - oltre che per le stesse banche, alla lunga, divenendo depositarie di un debito sovrano rischioso - anche un problema per Draghi, in termini di trasmissione della politica monetaria. E dovrebbe esserlo per la classe dirigente politica, ora impegnata in un confronto programmatico dai contorni poco definiti. Ma è soprattutto un problema per le imprese, in un sistema bancocentrico e a prevalente trazione imprenditoriale medio-piccola, come il nostro. Finora, in particolare sul fronte dell’export, queste sono riuscite comunque a tenere alta la testa. Ma è l’ultima linea di difesa dell’economia reale: travolta questa, non ci sarebbe più niente o quasi.