Matteo Persivale, Corriere della Sera 11/1/2014, 11 gennaio 2014
IL FASCINO DEGLI INTELLIGENTI
Tra i 9,7 milioni di britannici che, il 2 gennaio, si sono sintonizzati su Bbc One per seguire il ritorno in tv dopo due anni di assenza di Sherlock Holmes e del dottor Watson, c’erano indubbiamente legioni di fan irriducibili del protagonista Benedict Cumberbatch che non perdono nessuno dei suoi film o spettacoli teatrali e che guarderebbero «Sherlock» anche se a loro, in fondo, il personaggio di Arthur Conan Doyle magari non piacesse granché (migliaia di fan spiritose nei Paesi anglofoni si sono battezzate «Cumberbitches», cioè «Cumberstronze», si dicono devote praticanti del «Cumberlove», e sono attive anche su Twitter con l’account, inevitabile, @Cumberbitches che sfiora i 100 mila follower).
Perché Cumberbatch, alto e bello (e cooptato anche dalla moda – ha sfilato in passerella a Londra per uno dei suoi stilisti preferiti, Spencer Hart, che firma molti degli abiti del telefilm), è uno Sherlock moderno che indaga con lo smartphone e vive nella Londra di oggi, sfidando un Moriarty che ha i Bee Gees come suoneria del cellulare, e di lavoro Irene Adler fa la dominatrix (Watson fortunatamente è rimasto un medico di buon carattere, interpretato dallo Hobbit Martin Freeman, reduce dall’Afghanistan proprio come quello di Conan Doyle, triste segno che certe cose non cambiano mai attraverso i secoli).
Ma un simile ascolto, 9,7 milioni – è un’audience da partita della nazionale di calcio più che da telefilm – non si spiega in altro modo che con l’attrazione che in questi tempi difficili proviamo per l’intelligenza – e Holmes, probabilmente il personaggio più intelligente della storia della letteratura, è l’oggetto ideale della adorazione di massa.
C’è anche una versione americana della storia di Holmes e Watson, «Elementary», in onda anche in Italia, con Sherlock in trasferta a New York per disintossicarsi dalla cocaina e Watson che diventa una donna, la dottoressa che si occupa di evitargli ricadute.La tecnologia ha reso «smart» i telefonini. La scienza ha reso «smart» le medicine: i farmaci nootropi, le cosiddette «smart drugs» studiate per espandere le capacità cognitive (in fondo l’umile caffeina è la sostanza psicoattiva più utilizzata del mondo: era inevitabile che da lì si partisse per stimolare in modo sempre più sofisticato il nostro cervello, e la nostra capacità di attenzione e concentrazione). Ormai da qualche anno siamo arrivati al punto che un software è in grado di battere il campione mondiale di scacchi (che una volta, per esempio ai tempi di Bobby Fischer, veniva guardato come un uomo di intelligenza mostruosa e adesso invece può essere umiliato da un PC).
E il futuro che ci aspetta ’ come nel film «Her» di Spike Jonze, lanciato verso gli Oscar – è quello di intelligenze artificiali capaci di imparare, evolversi e perfino di farci di innamorare di loro (specialmente se hanno la voce di Scarlett Johansson). Insomma in questo 2014 incerto la classica intelligenza vittoriana del detective maestro di deduzione, specie se portata ai nostri tempi e trapiantata nel cranio elegante di un bellissimo uomo, non può che rassicurarci.
Dandoci ancora una speranza del primato umano sui computer, e placando con un benvenuto bonus di ironia la sete – apparentemente inestinguibile – del mercato per libri che affrontino in maniera pop un tema sulla carta parecchio ostico come le neuroscienze (non soltanto i bestseller come In un batter di ciglia. Il potere segreto del pensiero intuitivo e Fuoriclasse. Storia naturale del successo di Malcolm Gladwell).
Non poteva mancare, in una pubblicistica di dimensioni impressionanti, specialmente negli Stati Uniti, un titolo dedicato alle neuroscienze applicate ai romanzi e racconti di Arthur Conan Doyle (che di mestiere faceva il medico): Mastermind. Pensare come Sherlock Holmes di Maria Konnikova (Ponte alle Grazie) nel quale l’autrice mette a punto, tramite un’analisi dei testi di Conan Doyle, i sei passi che permetterebbero di pensare come Holmes (nel telefilm con Cumberbatch, più semplicemente e con grande eleganza visiva, le deduzioni vengono rese tramite piccoli frammenti di testo che fuoriescono, galleggiando nell’aria come vapore, dai corpi e dagli oggetti analizzati dall’occhio infallibile del detective.
E dallo scorso ottobre (chiuderà il 13 aprile) al Museo Civico di Storia Naturale ottiene un successo confortante la mostra «Brain» sul funzionamento del cervello (www.mostrabrain.it ). Pensare che risalgono al neolitico i primi tentativi di trapanare il cranio umano, nessun intervento di chirurgia è più antico di questo: per curare malattie’ Per farne uscire dei «demoni»’ E sono arrivate fino a oggi delle culture sommerse (basate su tradizioni non scientifiche) che sostengono l’utilità di praticare un piccolo foro nel cranio – un «terzo occhio» – per potenziare le facoltà cognitive (un documentario dell’anno scorso raccontava di come anche John Lennon fosse tentato di sottoporsi a questo intervento). Ci si mette perfino il Pentagono, che effettua esperimenti per capire se una blanda elettrostimolazione (attraverso uno speciale elmetto) possa stimolare le facoltà di concentrazione dei soldati.
La seconda puntata di «Sherlock» è andata in onda nel Regno Unito domenica scorsa, la terza (e ultima) della serie, domani sera (in Italia non si sa). Intanto, il palazzo che viene usato dal telefilm per gli esterni e dovrebbe essere quello di Baker Street, al famoso numero 221/B (in realtà è più a nord, a Camden) è meta di pellegrinaggi di fan fotografanti. E lo Sherlock di Cumberbatch sarà uno dei protagonisti della grande mostra organizzata dal Museum of London e che apre il 17 ottobre (fino al 12 aprile 2015).